Nonostante la più sofferta delle partite dell’Europeo, alla fine l’Italia di Mancini è riuscita a superare il record di quella di Pozzo, 31 risultati utili consecutivi, e ad eguagliare il risultato di quella di Conte del 2016, conquistandosi un posto per i quarti di finale. L’Austria è stata un’avversaria ben diversa dalle precedenti, e sorprendente rispetto a come ci si aspettava avrebbe giocato, riuscendo a portare l’Italia fino ai supplementari, trovando persino il gol del vantaggio con Arnautovic, fortunatamente annullato per fuorigioco. Non sappiamo se da qui in avanti l’Italia si troverà nuovamente di fronte un avversario spigoloso e asfissiante nel pressing come l’Austria, ma questa partita può essere stata utile per portarci su una nuova dimensione, anche dal punto di vista emotivo, contribuendo a forgiare l’identità e l’adattabilità di una squadra coraggiosa, giovane e piena di risorse e alternative.
L’Austria ha scelto di confermare la struttura che l’aveva portata al successo contro l’Ucraina, nell’ultima partita dei gironi, con una linea di 4 difensori e Baumgartner, Sabitzer e Laimer alle spalle di Arnautovic. Un sistema che a tratti prendeva la forma del 4-2-3-1, del 4-2-2-2, o del 4-1-4-1, e consentiva loro di portare un giocatore (Sabitzer) a ridosso del playmaker azzurro (Jorginho) mentre la punta Arnautovic cercava di invitare i difensori a far defluire il possesso lateralmente, e i due esterni si tenevano pronti ad uscire verso il terzino corrispondente in appoggio.
Fin dai primi minuti di gioco l’Austria ha portato in campo un’intensità che l’Italia non aveva ancora affrontato in questo Europeo, con un blocco medio-alto e scalate rapide, cercando di non esporsi troppo a passaggi tra le linee e gestito il pallone con attenzione, costruendo anche diverse azioni veloci partendo da dietro.
C’è stato qualcosa di meno fluido nel pressing alto dell’Italia, stavolta. Con Immobile a ballare tra i due centrali toccava a Verratti o Barella uscire su Grillitsch, ma spesso il numero 10 dell’Austria riusciva a ricevere e ad avanzare.
Il pressing dell’Italia non è stato particolarmente puntuale sulle prime linee come in passato, e anche se il blocco azzurro è rimasto difficilmente penetrabile dal centrocampo in giù. Questa specie di passività ha portato gli Azzurri a creare azioni d’attacco soprattutto con ripartenze lunghe, almeno nella prima fase di gara. Più che crearci problemi difensivi, il sistema austriaco ha portato la nazionale di Mancini a recuperare la palla più lontano del solito dalla porta avversaria, spendendo così tante energie per attaccare rapidamente in campo lungo.
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Qui sopra due occasioni indicative del tema caratterizzante dell’inizio della partita. Ripartenza fulminea dell’Italia, Barella che fronte alla porta vede il taglio di Immobile tra Dragovic e Hinteregger, e lo lancia.
L’Italia avrebbe comunque potuto trarre vantaggio da queste ripartenze, ma diverse imprecisioni hanno portato a sprecare tutte le occasioni create negli spazi. Dato che queste verticalizzazioni repentine portavano la squadra ad allungarsi molto – non esattamente il piano di gioco ideale sul lungo periodo, costringendo gli Azzurri a esporsi a transizioni difensive complicate – Mancini ha poi cercato di alzare il baricentro della squadra col pallone, di “salire insieme” per essere pronti a riaggredire meglio e ad attaccare meglio.
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Due belle riaggressioni dell’Italia, con Verratti che serve Spinazzola direttamente col tocco dell’anticipo, e con Acerbi altissimo sull’esterno.
Con l’avanzamento dell’Italia, la squadra di Foda ha scelto di difendere con un baricentro più basso, proteggendo l’area con un 4-1-4-1 che vedeva Grillitsch come volante e un atteggiamento molto aggressivo sugli scivolamenti laterali, per assorbire i tipici sovraccarichi di catena laterale dell’Italia di Mancini. Sono stati fondamentali, in questo senso, i ripiegamenti continui e martellanti di Laimer, sul lato destro della difesa austriaca (sul lato in cui tipicamente l’Italia sviluppa di più il proprio gioco, grazie alla presenza del triangolo Spinazzola-Insigne-Verratti), che andavano a completare un blocco in ausilio del terzino Lainer, forse il giocatore maggiormente in difficoltà di tutta la catena, insieme a Schlager e Grillitsch, sempre pronti a spostarsi di lato.
Qua sopra un’immagine significativa degli scivolamenti laterali molto aggressivi dell’Austria: Laimer (esterno alto) in un primo momento si era abbassato per assorbire l’avanzamento di Spinazzola, Lainer (terzino) era rimasto stretto per dare copertura nello spazio di mezzo, e quindi diventavano determinanti Schlager e Grillitsch per bilanciare. Una volta acquisita una consistenza numerica sul lato forte, i riferimenti sull’uomo diventavano meno rigidi e l’Austria pensava soprattutto ad asfissiare il portatore: Laimer lascia Spinazzola per raddoppiare Verratti.
La partecipazione molto attiva di Acerbi dallo stesso lato ha generato diverse rotazioni interessanti, e nonostante l’intasamento, l’Italia è comunque riuscita a trovare qualche spiraglio grazie alla resistenza al pressing di Verratti, alla vicinanza di Jorginho e agli spunti di Spinazzola.
Un brutto inizio di secondo tempo
Dall’altro lato c’è stato qualche problema in più: Berardi è stato più meccanico rispetto alle partite precedenti, ed è stato indicativo il fatto che nel primo tempo abbia avuto due palloni molto invitanti per tirare dal mezzo corridoio di destra, con lo specchio praticamente libero, ma in entrambi i casi ha perso l’attimo.
Non è stata serata, per Berardi.
Barella, a causa probabilmente di due falli duri subiti all’inizio della partita, non ha avuto la solita fluidità nelle sovrapposizioni e nelle uscite in pressione, e Di Lorenzo è rimasto più bloccato del solito, forse per compensare le numerose salite di Acerbi sul lato opposto.
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Una delle azioni confuse sulla destra del primo tempo. Nonostante l’inerzia positiva sulla palla scoperta, la palla è poi tornata indietro da Barella a Di Lorenzo, e infine Berardi (che aveva ricevuto da Verratti) verticalizza male per Barella.
Con il passare dei minuti Immobile ha iniziato ad abbassarsi per uscire dalla giungla di maglie rosse, cercando di trovare qualche combinazione rapida in appoggio ai centrocampisti e ricevendo diverse volte anche con la porta alle spalle. La miglior giocata della sua partita, probabilmente, rimane quel palo preso calciando da fuori area che avrebbe potuto sbloccare il risultato, ma la lucidità della punta della Lazio, forse anche a causa delle tante corse in profondità per stressare i due centrali austriaci, è andata via via calando.
In effetti, in quella che può comunque essere definita un’egregia prova difensiva da parte dell’Austria per strategia e applicazione (e intensità), forse il nodo più delicato è stato proprio lo spazio alle spalle dei due centrali. Hinteregger e Dragovic hanno senz’altro giocato una partita di grande aggressività e partecipazione alla copertura dei compagni di fascia, ma quando venivano puntati centralmente facevano fatica ad assorbire col tempo giusto l’avversario, anche quando difendevano molto più bassi.
Un’altra occasione con Immobile in profondità, questa volta su azione manovrata, con giocata a muro di Berardi, sprecata però da Barella con un lancio impervio. L’Italia non ha ottenuto molto da questo tipo di situazioni, ma era un pattern ricorrente.
Dal punto di vista offensivo la squadra di Foda non ha avuto tantissime occasioni per organizzare un attacco posizionale, ma in qualche occasione l’Austria ha preso fiducia e ha iniziato ad alzare il baricentro, potendo palleggiare più lontano dalla propria area, e forse proprio per questo acquisendo più convinzione.
Ci sono stati dei momenti in cui la squadra di Foda ha occupato la metà campo dell’Italia con tutti e 10 gli uomini di movimento, alzando contemporaneamente entrambi i terzini ai fianchi di Grillitsch, che a sua volta formava un trio di impostazione con Dragovic e Hinteregger.
Il momento più delicato della partita, per l’Italia, è arrivato all’inizio del secondo tempo, in un segmento in cui si sono sommati una serie di deficit improvvisi: innanzitutto il calo fisico di Verratti, che pur continuando a governare il pallone con la consueta eleganza è sembrato iniziare a patire sulle distanze medie; poi quello di Barella, al suo fianco, che probabilmente ha subito i postumi di una condizione non ottimale; infine le imprecisioni di Berardi, aumentate col passare dei minuti. Tutto ciò ha portato a possessi più insicuri, spezzettati e imprecisi, con l’Austria che ne ha approfittato per alzare con decisione l’altezza del pressing.
Una delle ripartenze concesse nel peggior momento dell’Italia. Finisce con il tiro di Sabitzer deviato fortuitamente da Bonucci in angolo.
Cambiare in corsa si può
Fortunatamente per l’Italia, gli sprazzi positivi dell’Austria non hanno portato gol nel tempo regolamentare, anche se il fuorigioco di Arnautovic è stato davvero una questione di pochi centimetri (e non è stata l’unica occasione in cui Di Lorenzo ha sofferto il confronto con Alaba). Nel secondo tempo era comunque arrivato il momento di cambiare qualcosa, e le prime sostituzioni di Mancini sono state un po’ quelle che tutti stavano aspettando: Barella e Verratti, acciaccati, hanno lasciato il posto a Pessina e Locatelli.
Il giocatore dell’Atalanta, prendendo il posto di Barella, poteva focalizzarsi, così come fatto col Galles, ad attaccare l’area e dare supporto a Berardi sulla destra. Locatelli, posizionato a sinistra al posto di Verratti, come al solito tendeva a muoversi di più senza palla e a tenerla meno rispetto al parigino.
Qualche minuto dopo è toccato a Berardi uscire per Chiesa, che in realtà non ha da subito trovato spazi invitanti in cui scatenarsi, dato che l’Austria stava vivendo un’intensa trance difensiva e riusciva a farlo ricevere voltato, costringendolo a tornare indietro. Belotti, entrato al posto contemporaneamente a Chiesa al posto di Immobile, ha portato un po’ di fisicità in più nei duelli con i difensori e in generale più lucidità.
Ecco come si presentava l’Italia dopo le sostituzioni. In questa azione, subito un beneficio dell’interpretazione di Locatelli, che si butta senza palla tra le linee per ricevere da Jorginho. Seguirà poi un filtrante di Insigne per Belotti e un suo cross basso non finalizzato.
Ci è voluto un po’ prima che le nuove dinamiche propiziate dai subentrati prendessero forma, anche perché dall’80esimo al 95esimo l’Italia è stata per lo più chiusa nel suo 4-5-1 di contenimento, con il serbatoio che pareva a secco. Nei supplementari, però, ci sono state due azioni esemplificative delle differenze portate da Chiesa e Pessina sulla destra.
Nella prima azione, Di Lorenzo verticalizza per Belotti, Pessina inizia a correre verso il centro dell’area ancor prima che la palla lo raggiunga, mentre Chiesa si propone in ampiezza, largo quanto basta per essere fuori linea da Alaba. Alla fine, Belotti ha scelto di servire lui, e Chiesa ha tirato in porta. Nella seconda azione, quella del gol, Spinazzola riceve tra le linee (con Insigne aperto a sinistra), e mentre Belotti si butta in profondità verso quel lato, Pessina attacca l’area tagliando davanti ad Alaba e trascinandolo verso il centro, creando lo spazio per il passaggio verso Chiesa.
Il diverso modo di attaccare l’area di Pessina e il fatto che Chiesa fosse molto più reattivo con le ricezioni (sfruttando in ampiezza il proprio piede forte) sono piccoli particolari che hanno permesso all’Italia di far fluire più velocemente il pallone negli ultimi metri, insieme ovviamente alla propensione alla lotta di Belotti. Una volta che è tornata la capacità di stressare la linea difensiva austriaca con imprevedibilità, l’Italia ha trovato nuova linfa vitale.
Non bisognerebbe però farne una questione di chi fosse meglio far giocare dal primo minuto, o che i cambi siano arrivati troppo tardi. Come al solito il risultato può viziare ogni tipo di conclusione, ma qualcuno potrebbe sostenere che forse gli stessi cambi fatti 45 minuti prima non avrebbero avuto lo stesso impatto, o che è proprio entrando dalla panchina che un giocatore elettrico come Chiesa può creare ancora più scompiglio, per esempio. Belotti ha contribuito a chiudere la partita proteggendo ogni pallone, anche letteralmente da terra, ma le occasioni suggerite dalle corse in profondità di Immobile, oppure il palo che ha preso nel primo tempo, avrebbero potuto indirizzare la gara anche prima.
La forte episodicità del calcio, tanto più in partite come questa, ci spinge naturalmente verso giudizi netti e risposte semplici, e la Nazionale è sempre la miglior palestra per far spingere a ognuno le proprie istanze. È bello così e fa parte dell’esperienza del gioco, ma forse è proprio il caso di rilassarci e goderci l’abbondanza di soluzioni di questa Italia, che nella sua imperfezione riesce comunque a essere una fucina di occasioni e un ostacolo difficile da superare per molti.
Ribaltiamo il punto di vista: quante altre squadre saranno capaci di una partita di sacrificio e intensità come l’Austria, per limitare gli Azzurri?