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Le mille storie dell’impresa dell’ItalBasket
05 lug 2021
Il racconto da Belgrado di una notte indimenticabile, che riporta l'Italia alle Olimpiadi 17 anni dopo Atene.
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11 min
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Cagliari, Belgrado, Siauliai, Lubiana, Berlino, Istanbul, Foshan. Basterebbero i nomi di queste sette città a dare l’idea della dimensione di un’impresa. Quella compiuta dall’Italia del basket, che per la prima volta nella sua storia ha battuto la Serbia in uno dei principali tornei della pallacanestro FIBA. E l’ha fatto a casa sua, nel suo storico fortino - il Pionir - davanti a un pubblico meno numeroso del solito per via della pandemia ma indubbiamente caldo e ostile. L’unica vittoria in gare ufficiali contro di loro, prima di ieri notte, risaliva all’1 luglio 2009 e ai Giochi del Mediterraneo di Pescara. Era il quarto di finale del torneo, in quella squadra giocava Gigi Datome e in panchina sedeva Carlo Recalcati, l’uomo di Atene.

L’azzurro di cui si tinge la notte del Pionir è fortissimo, e riscatta in un colpo solo Lubiana, Lille, Torino, Istanbul, Wuhan. Nella notte che riporta l’Italia del basket ai Giochi Olimpici sono tante le storie che si intrecciano tra loro, fino a comporre un mosaico difficile da descrivere a parole per quanto bello e inatteso. La generazione “più forte di sempre” raggiunge il risultato più importante della sua epoca quando meno te l’aspetti e quando è già in atto un ricambio generazionale.

Le notti delle delusioni sono un ricordo più sbiadito, specie di fronte a quello dell’intraprendenza di un giovane 20enne con i capelli arancioni, o alla freddezza d’esecuzione di un fresco 30enne reduce da 12 mesi difficili da descrivere a parole, o alla maturazione di un 25enne diventato grande in Germania dopo anni formativi in Serie A. Se le facce di Nico Mannion, Achille Polonara e Simone Fontecchio sono la copertina più vivida, quella del Pionir è una vittoria di 12 giocatori, di un capo allenatore e dei suoi tre assistenti, di tutto un gruppo che è stato il primo a crederci sin dal primo giorno, quando tutti pensavano sarebbe stato semplicemente impossibile — o, peggio ancora, una perdita di tempo presentarsi a Belgrado.

I tre “stranieri”

È l’1 luglio 2018, quando a Groningen Nico Mannion entra per la prima volta nella storia del basket italiano. Il figlio di Pace, indimenticato tiratore della provincia italiana negli anni ‘90 dopo alterne fortune in NBA, diventa uno dei più giovani di sempre a vestire l’azzurro. Il suo debutto rapisce sicuramente lo sguardo: ben 29 minuti in campo per quella che è, a tutti gli effetti, la sua prima partita tra i professionisti.

Da quella sera non tutto è filato per il verso giusto: una stagione complessa ad Arizona, l’unica al college, che ne fa precipitare le quotazioni al Draft. La chiamata dei Golden State Warriors con un two-way contract, ma i minuti a inizio stagione latitano. Un po’ di spazio nelle rotazioni arriva dopo l’esperienza nella bolla della G-League, qualcosa si intravede, ma non abbastanza. Poi, per Nico, arriva Belgrado.

«Quest’anno non ho giocato molto, ma ho lavorato duro ogni giorno», ci dice, emozionato, dopo una finale chiusa da miglior realizzatore azzurro con 24 punti, spaccando in due la partita con le sue penetrazioni a canestro e un glaciale 9/9 ai liberi. «Non penso che il lavoro possa crescere all’infinito: credo che se lavori duro ogni giorno prima o poi la tua chance arriva. Ho lavorato ogni giorno, anche nel poco d’estate che ho avuto prima di unirmi a questa squadra, e qualcosa si incomincia a vedere. Dobbiamo continuare così».

Per Nico è una notte speciale, resa tale anche dalla presenza sugli spalti di papà Pace e mamma Gaia: «Non è come lo immaginavo, è molto di più. È qualcosa di indescrivibile. L’ultima volta che l’Italia ha giocato l’Olimpiade avevo 3 anni, il sostegno che abbiamo sentito e avvertito da parte della gente è incredibile. Ho visto mia mamma piangere in tribuna, la loro presenza qui significa tutto. Sono venuti dallo Utah a Belgrado solo per vedermi giocare, senza potermi salutare per via dei protocolli. Mi sento fortunato e benedetto».

https://twitter.com/warriors/status/1411784652369514497

Anche gli Warriors non hanno mancato di sottolineare la prestazione del loro playmaker.

Un altro volto della notte del Pionir è senza dubbio quello di Achille Polonara. Dodici mesi fa, trionfante nella bolla ACB di Valencia, con la sua corsa emozionata sui gradoni del palasport dopo aver servito l’assist per il canestro vincente di Luca Vildoza per il titolo del Baskonia. Oggi, la tripla “della staffa”, con l’esultanza raccolta in uno sguardo destinato a entrare nella storia del basket azzurro. Un canestro, una partita (22 punti, 12 rimbalzi, 6/8 da 3, titolo di MVP del torneo), una settimana che lo consacrano a stella del basket continentale, alla vigilia di una nuova esperienza importante con la maglia del Fenerbahce.

Prima, però, c’è l’Olimpiade: «Avevamo una gran voglia di vincere», ha detto dopo il match. «Ci godiamo questa sera, e da domani pensiamo a Tokyo». Dopo la partita contro Portorico, sfida in cui era stato il top scorer insieme a Mannion e Fontecchio, Polonara aveva sottolineato una frase che in fondo riassume al meglio l’intera settimana serba degli azzurri: «Questa partita [in riferimento al successo in rimonta, da -17, su Portorico, ndr], ci deve insegnare che le partite secche sono pericolose e ogni possesso va pensato come il più importante della nostra carriera».

Il suo 6/8 da tre all’interno del 41% di squadra e il modo in cui ha bruciato Boban Marjanovic sono state chiavi fondamentali per il +24 costruito nella ripresa. E poi sì, quella tripla in faccia a tutta la Serbia.

“Straniero” azzurro è anche Simone Fontecchio. Dopo annate dalle fortune alterne con Milano e una buona stagione, interrotta dal COVID, a Reggio Emilia, il nativo di Pescara è andato a rinforzare le fila di una squadra di media nobiltà di Eurolega come l’Alba Berlino. La sua stagione in Germania è andata oltre le più rosee aspettative, tanto che il suo nome è uno dei più caldi sul mercato del basket europeo.

«Una notte così me la sono sognata. Oggi pomeriggio non ho dormito per la tensione», ci ha detto dopo la partita, chiusa con 21 punti, 8 rimbalzi e una sequenza con stoppata in difesa e canestro in allontanamento in attacco che ha fatto saltare tutti sul divano. «Il sogno di una vita è fare le Olimpiadi e farlo con questo gruppo qui è davvero qualcosa di speciale. Se lo meritano tutti, dal primo all’ultimo. Siamo al 5 di luglio e questa stagione non è ancora finita. Siamo tutti cotti, marci, stanchissimi, però il sogno ce lo siamo presi, guadagnati e ora ci andiamo a giocare questa roba che è incredibile. È stata una stagione pazzesca, faticosissima, piena di soddisfazioni. Meglio di così non poteva andare».

“Fontecchio is a BEAST”.

Nick e Meo

Anello tra generazioni, a Belgrado, era il “capitano ad interim”, Nicolò Melli. Reduce da una stagione complessa tra New Orleans e Dallas, con poco spazio e tanta panchina, il Melli di Belgrado è stato essenziale e fondamentale pur non contribuendo fattivamente in attacco. Per una partita e mezzo lo “zero” sul tabellino alla voce punti segnati restava persistente, prima del “gol” a inizio ripresa contro la Repubblica Dominicana.

Non sono le statistiche, però, quelle che possono descrivere meglio lo sforzo del capitano azzurro. Basterebbe pensare alla difesa, a tratti commovente, sul suo compagno di squadra ai Mavs Boban Marjanovic, totalmente tolto dalla partita dopo tre prestazioni che l’avevano candidato a MVP della settimana qui a Belgrado. O al ruolo da play aggiunto, da centro di gravità dell’attacco a metà campo. O con i blocchi portati sulle iniziative, su tutti, di Mannion e Stefano Tonut. «Ce lo siamo detti prima della gara: la nostra carriera poteva cambiare con questa partita, ed è cambiata. Perché andare all’Olimpiade è qualcosa di unico. Ora ce la godiamo, è troppo bello. Sono contento per i miei compagni, tutti sono stati bravissimi a dare il loro mattoncino», le sue parole dopo la partita.

Condottiero di questo gruppo è Meo Sacchetti, all’ennesimo successo di una carriera da underdog. Un successo arrivato quando attorno a lui impazza, da mesi, il totonomi sulla sua successione. Un traguardo raggiunto al termine della sua stagione più difficile a livello di club, con l’esonero da parte della Fortitudo Bologna arrivato dopo le prime giornate di un campionato nato male e proseguito tutt’altro che bene.

Il nativo di Altamura ha completato l’opera iniziata nel novembre 2017, con le prime partite di qualificazione al Mondiale che sono state anche le prime tappe nel lunghissimo, estenuante viaggio verso Tokyo. C’è tanto di Sacchetti nella notte del Pionir. C’è nei giocatori, pressoché tutti entrati nel giro azzurro nella sua era da commissario tecnico. C’è nella tranquillità d’animo, nella fame, nella voglia di dimostrare ferocemente su ogni possesso: un tratto distintivo delle squadre “sacchettiane” di maggior successo come Sassari e Cremona.

C’è nello small ball, per necessità più che per scelta, capace però di vincere la lotta a rimbalzo 39-36. E c’è nell’attacco sempre finalizzato a una rapidità d’esecuzione nella ricerca del miglior tiro possibile senza però perdere il controllo della palla (solo 8 palle perse nonostante la pressione, spesso fallosa, dei serbi). C’è nella difesa che cerca di limitare il divario fisico con la maggior parte degli avversari con la ricerca continua dei cambi, pur di non dare punti di riferimento e non concedere vantaggi. C’è nel confronto con gli assistenti, a questo giro tre validissimi allenatori di Serie A: Lele Molin di Trento, con Sacchetti dal primo giorno in azzurro; Piero Bucchi, quest’anno con Roma e Cantù; e Paolo Galbiati, protagonista di una stagione sensazionale in quella Cremona che fu di Sacchetti. Tutti e tre hanno “allenato” la sfida del Pionir insieme a Meo, leader di un’altra squadra che ha saputo essere valore aggiunto in una settimana speciale.

«È stato bello vedere giocare questi ragazzi. Intensi, vivi, senza paura. Sono loro i protagonisti ed è giusto celebrarli. Sarebbe bello che i riflettori di tutto il paese andassero anche su di loro. Questa è un’impresa epica, spero che l’Olimpiade siano un punto di svolta per tutto il movimento. Dopo tanti risultati non in linea con le aspettative, è arrivata la grande impresa, realizzata da un gruppo con giocatori di alto livello. Abbiamo costruito una buona base che bisognerà ampliare. Il futuro è nostro», ha detto Sacchetti dopo la sirena finale.

L’immagine della felicità.

I dodici di Belgrado

Mannion, Polonara, Fontecchio, Melli. La notte del Pionir, però, è anche quella di Stefano Tonut. Dopo la stagione della definitiva consacrazione in Serie A, con il premio di MVP del campionato (primo italiano negli ultimi 7 anni) questo Preolimpico, sempre in crescendo e sempre in maniera incisiva e determinata, senza paura nell’attaccare il ferro una volta messi alle spalle i problemi fisici che hanno rallentato la sua esplosione.

È anche la notte di Alessandro Pajola. Che giovedì ha fatto spaventare tutti con un infortunio nel primo tempo del match contro Portorico. Che ha dimostrato, nelle ore successive, una dedizione e una determinazione con pochi eguali, nel recuperare per esserci nelle gare decisive. Che ha messo in scena, nell’atto finale, il meglio del suo repertorio difensivo - soprattutto contro l’amico e compagno di squadra Milos Teodosic - e anche offensivo, un aspetto del suo gioco emerso soprattutto nella cavalcata tricolore della sua Virtus Bologna.

Il vero momento di svolta della finale: il parziale di 20-9 nel finale del secondo quarto, suggellato dalla tripla sulla sirena proprio di Pajola.

Della squadra campione d’Italia in campo al Pionir c’erano anche Awudu Abass, Amedeo Tessitori e Giampaolo Ricci: i primi due sono gli unici reduci del Mondiale cinese, di cui il terzo è stato uno degli ultimi due tagli della vigilia. Il loro spazio in questa squadra è stato più ridotto, ma il contributo è stato indubbiamente determinante, come quello di Riccardo Moraschini: anche lui reduce da una stagione interminabile con Milano, ha portato la sua mattonella in una gioia azzurra meritata per una carriera esplosa tardi a causa di tanti problemi fisici. E se Michele Vitali e la sua tenace difesa vista a Belgrado appartiene al contingente degli “stranieri” dopo il buon anno a Bamberg (nel suo futuro c’è di nuovo l’Italia, con Venezia), le difficoltà avute in Serbia da Marco Spissu non devono fare dimenticare la crescita costante di un giocatore importante nel ciclo azzurro di Sacchetti.

Nel prossimo futuro degli azzurri c’è innanzitutto qualche giorno di riposo, prima di riprendere la preparazione in vista della partenza per il Giappone. Entro domani, martedì 6, va sciolta la riserva sulla lista dei 12 olimpionici e potrebbe entrare in gioco il nome di Danilo Gallinari, che ha confermato la sua disponibilità una volta conclusa la stagione NBA con gli Atlanta Hawks. Il futuro olimpico della squadra di Sacchetti recita i nomi di Germania (vincitrice a sorpresa del Preolimpico di Spalato e prima avversaria all’alba di domenica 25), Australia e Nigeria; dal girone passeranno le prime due più le due (dei tre gruppi totali) migliori terze, per un tabellone che sarà poi formato tramite sorteggio a gironi conclusi. Un libro, quindi, tutto da scrivere. Con una copertina che torna ad essere azzurra e con i cinque cerchi.

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