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Come stanno i campioni del 2006
09 lug 2018
Come se la passano i giocatori che hanno vinto la Coppa del Mondo 12 anni fa.
(articolo)
22 min
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C’è un famoso verso di una famosa canzone di un famoso gruppo romano che sussurra voluttuoso «sei la nazionale / del 2006»; per quanto ovviamente si riferisca a tutto l’insieme umano ed emotivo dei 23 della Nazionale più le persone a casa che li guardano, all’estate, alla giovinezza di un certo target musicale, alla felicità della coppa, alle gioie assurde delle vittorie sportive e tutte queste cose, mi ha dato da pensare. Come la ricchezza degli anni ’80, l’occidente, la trap, l’impero romano o le storie d’amore, quando un evento storico e/o umano raggiunge l’apice puoi stare certo che ci sarà la sua caduta. La spedizione vittoriosa di Lippi non può fare eccezione.

Come stanno quelli della Nazionale del 2006 ora? Se il 9 luglio è un picco di unicità tattica e tecnica sportiva del nostro calcio, culmine di un’ascesa iniziata dai primi anni ’90, com’è stato il seguente declino per i 23 convocati? Sono mai riusciti a sorpassare la loro stessa leggenda, o almeno a farci i conti? Vediamo chi non c’è riuscito, chi è finito nel limbo e chi invece ha battuto il ricordo del sé campione del Mondo.

I giocatori che NON hanno superato quella vittoria

Christian Zaccardo

Dopo una stagione discreta col Carpi in A e un’altra col Vicenza in B (col numero 9 sulle spalle…), Cristian Zaccardo (classe ’81) ha trovato un posto nella squadra maltese dell’Hamrun Spartans (ottavi, al momento, nella prima serie di Malta) tramite Linkedin; il suo profilo esiste ancora e l’immagine di copertina è lui con la coppa del mondo, ovviamente. Ha un canale YouTube in cui gioca a ping pong e fa vedere la sua bella vita a Malta, confonde le congiunzioni con i verbi e fa altre cose così normali che non si può non volergli bene. Mette video rubati da canali ufficiali di sue finte, suoi anticipi, suoi gol, di lui che gioca con due tigri. Quest’anno ha fatto tre gol e un assist. Inserisce tutti i suoi video nella categoria “Umorismo”

Fabio Cannavaro

La parabola discendente di Cannavaro inizia subito dopo quel Mondiale, e il Pallone d’Oro che ha sigillato quelle prestazioni commoventi. Ceduto dalla Juventus post-calciopoli per non giocare in Serie B, Cannavaro si è spostato al Real Madrid insieme a Fabio Capello; ha vissuto tre stagioni più opache del solito, in cui ha difeso amministrando e senza l’esuberanza che lo ha reso speciale. Ha vinto due campionati spagnoli ed è poi tornato, in scadenza di contratto, a Torino.

La stagione 2009/10 della Juventus è imbarazzante e Cannavaro è l’ombra di ciò che è stato, inviso ai tifosi che lo odiano ancora per essere andato via dopo calciopoli al contrario di altri veterani. Si accasa negli Emirati Arabi all’Al-Alhi a giugno 2010 con un biennale, dopo un anno decide di rescindere per problemi fisici ma resta come dirigente. A gennaio del 2012 finisce nel giro della nuova fantomatica lega dell’Est Bengala, la Bengal Premier League Soccer, che contava di avere sei team con un “Icon Player” e draft alla NBA, e fare poi un gironcino all’italiana seguito da play-off con semifinali e finali per decidere un vincitore. Cannavaro era l’Icon Player dei Bengal Tuskers, ma c’erano anche Crespo, Fowler, Pires, Okocha, Sorin.

La lega non è mai partita per motivi non meglio specificati (probabilmente: soldi e disorganizzazione) e Cannavaro si è ritrovato a casa, a studiare per fare l’allenatore. A dicembre inizia il corso Uefa Pro, prende l’abilitazione e torna all’Al-Ahli come vice, vince il campionato e se ne va. Richiamato da Marcello Lippi, allena il Guangzhou Evergrande in Cina, è primo e ai quarti di Champions League asiatica e viene esonerato (perché, poi, non si sa). Torna in Arabia a guidare i campioni in carica dell’Al-Nassr, perde parecchio e viene esonerato. Il 9 giugno 2016 torna in Cina, al Tianjin Quanjian in seconda divisione, lo porta in Chinese Super League e arriva terzo; rescinde il suo contratto e torna al Guangzhou portandosi come vice il fratello Paolo. Ora è a 5 punti dallo Shanghai Sipg.

Alessandro Del Piero

Alessandro Del Piero sta al confine tra i noiosi e il limbo: dopo i Mondiali del 2006 e la risalita e le prime nuove vittorie con la Juventus è finito dall’altra parte del mondo, in Australia, in seguito ad un addio sofferto alla Vecchia Signora. Al Sydney FC Del Piero gioca benino, un po’ acciaccato e un po’ semplicemente vecchio, e finisce in mezzo alla classifica. Finisce la sua carriera in India, al Delhi Dynamos, a 40 anni, in pieno crepuscolo di energie e voglia, con 10 presenze e un solo gol. Da campione del mondo e bandiera juventina si sarebbe meritato qualche soddisfazione in più, ma l’età e qualche scelta lo hanno lasciato sprofondare tra quelli che dopo il 2006 non hanno più svoltato.

Vincenzo Iaquinta

Vincenzo Iaquinta si è costruito un futuro ad alti livelli anche grazie al suo unico gol nei mondiali del 2006, propiziato da un lancio di Pirlo e dall’imprecisione del difensore ghanese che marcava l’attaccante. Nella stagione successiva all’Udinese, nonostante Iaquinta continuasse a segnare, ha mostrato segnali di insofferenza verso società e piazza; a fine anno la cessione alla Juventus, con cui firma un quinquennale, sembrava già scritta. Nonostante il futuro fosse costruito, o almeno progettato, sono sempre state le fondamenta i problemi di Vincenzo Iaquinta: la fragilità degli arti inferiori ne ha precluso la continuità, nonostante il suo apporto, quando possibile, non sia mai mancato.

Iaquinta ha perso il posto a Torino con l’arrivo di Antonio Conte, è restato acciaccato o fuori rosa fino alla fine del suo contratto, nonostante un prestito al Cesena (poco fruttuoso). Nel 2014 ha deciso di prendere le certificazioni per allenare a Coverciano; nel 2015 è stato rinviato a giudizio insieme al padre per detenzione illegale di armi, aggravato dal favoreggiamento per l'associazione di stampo mafioso ‘ndrangheta. Il padre Giuseppe risponde alla banda capitanata dal boss Nicolino Grande Aracri.

Mauro German Camoranesi

Dopo il mondiale del 2006 Mauro German Camoranesi ha aumentato l’entropia nel suo spirito e nel suo gioco, con annessi scatti d’ira, indolenze e acciacchi fisici che gli hanno fatto terminare la carriera in Sudamerica tra una rissa e l’altra. Nonostante il temperamento tutt’altro che accondiscendente, Camoranesi a un certo punto ha deciso che comunque anche lui poteva essere un allenatore: dopo un paio di esperienze fallimentari nel sud del mondo è tornato a Coverciano nell’ottobre 2017 per seguire il corso per allenatori UEFA A/UEFA B.

Massimo Oddo

Oddo ha giocato per venticinque minuti contro l’Ucraina il 30 giugno 2006. Non ricordo assolutamente quel tempo ma sicuramente lui sì. Di suo in quell’estate del 2006 ci restano quella mezzora scarsa un po’ sgranata, degli aneddoti sulla sua presunta abilità come barbiere – racconta Zambrotta: «un giorno il Mister, che ovviamente era stato informato di tutto, lo chiama in presenza della squadra e gli fa questa domanda: “Allora Massimo, te la senti? Ti senti pronto?” Lui, che dall’inizio del Mondiale non aveva ancora giocato una partita, rispose: “Certamente Mister, sono prontissimo”. E allora Lippi disse: “Bene, allora ti aspetto nello stanzino del barbiere così mi puoi dare una sistemata ai capelli”» –, il fatto che effettivamente tagliò i capelli di Camoranesi a fine torneo in mezzo al campo, e una sua intervista alticcio come un ragazzino.

D’altronde vorrei vedere voi, dopo aver vinto la coppa del mondo e averne giocato venticinque minuti. La sua carriera successiva è mediocre, tra il Milan, vari prestiti e il Lecce. Se la sua vita da calciatore non poteva mai arrivare a sfiorare quel picco, fuori dal campo Oddo ha lavorato su sé stesso: ha studiato da alto dirigente e si è laureato con 108 in Scienze giuridiche, economiche e manageriali; ha le idee chiare sul calcio, fin troppo chiare. La sua ingenuità gli ha portato una brutta batosta quando allenava il Pescara, ma sembra essere stata affinata al suo arrivo ad Udine. Invece ora, esonerato anche dall’Udinese dopo una serie di risultati terribili consecutivi, non se la passa benissimo. Tra le due esperienze però ha dimostrato di poter migliorare, quindi perché non dargli una terza possibilità?

Quelli che sono rimasti imprigionati nel limbo

Gianluigi Buffon

Dal 2006 a oggi l’immagine di Buffon si è istituzionalizzata: ha smussato i tratti controversi della sua gioventù, ed è voluto diventare il calciatore con sempre la dichiarazione pacata ed esatta, almeno fino a quest’anno. È stata una stagione particolarmente dura per Buffon, che forse immaginava di poter chiudere la sua carriera dopo una Champions League chiusa in modo meno amaro e l’ultimo campionato del mondo. Se Buffon sembrava aver retto bene l’urto dell’eliminazione dei Mondiali, con delle parole tristi ma concilianti e positive, ha totalmente perso il controllo dopo la partita contro il Real Madrid.

Buffon però non si è rassegnato a questo senso d’amarezza, e ha deciso per un finale di carriera totalmente diverso, firmando per il PSG. In Francia continuerà ad interpretare il Sisifo della Champions League, sperando stavolta di riuscire a portare il masso in cima alla montagna. Fino a quel momento sarà imprigionato in un limbo a cui si è quasi auto-condannato.

Fabio Grosso

Il Mondiale del 2006 è la faccia di Fabio Grosso estasiata dopo il gol contro la Germania. È la prima cosa che vi viene in mente, Grosso che scuote la testa incredulo, a meno che non siate così sadici da pensare a Zidane che esce dal campo passando di fianco alla coppa dorata.

Dal 2006 al 2008 Grosso è un vincente: dopo i mondiali arriva all’Inter per una stagione non indimenticabile ma che culmina comunque con uno Scudetto; nell’estate del 2007 arriva tra le fila dell’Olympique Lione, e vince Supercoppa di Francia, Coppa di Francia e lo scudetto segnando il gol partita con lo Strasburgo.

La seconda vita di Grosso, più difficile, è da allenatore: nel 2013 prende il patentino Uefa Pro da allenatore e viene affiancato a Zanchetta nella primavera della Juventus (squadra con cui ha finito la carriera con un altro Scudetto) per poi sostituirlo a marzo dell’anno successivo dopo un periodo deludente. Da buona tradizione Juve, arriva fino alle finali di campionato e coppa Italia primavera e perde. Ora allena il Bari che, dopo aver corteggiato le prime posizioni, si è qualificata per i playoff, perdendo malamente al primo turno contro il Cittadella. Grosso sembra aver superato in maniera positiva il momento più bello della sua vita, siamo noi che non potremo di certo mai slegarlo da quell’immagine.

Gennaro Gattuso

Gennaro Gattuso sembrava indirizzato, dopo il 2006, ad una prosecuzione relativamente tranquilla della sua carriera tra le braccia del Milan. A fine contratto, però, nel 2012, ha deciso di farsi da solo, come allenatore, così come si era fatto da solo come giocatore.

E allora vai: giocatore-allenatore per gli Svizzeri del Sion, dopo poco esonerato dal suo ruolo manageriale. L’anno successivo arriva al Palermo di Zamparini, si fa esonerare dopo un mese e mezzo. Il giugno successivo finisce all’OFI Creta, prova a dimettersi a ottobre, resta dopo le insistenze societarie, ma si dimette a fine dicembre. Arriva al Pisa, lo porta in serie B dopo i Play-off della Lega Pro, fa un anno di serie cadetta ma la società è pesantemente inadempiente; riaccompagna i toscani nella lega inferiore in una situazione difficile, vincendo il rispetto di locali e avversari.

Ingaggiato nella primavera del Milan nel 2017, ci resta solo sei mesi, richiamato ad allenare la prima squadra. Dopo un inizio folle (gol di testa del portiere del Benevento Brignoli al 90’ che regala il primo punto nella storia delle “streghe” in Serie A, dopo 14 partite senza punti) Gattuso ha ripreso la squadra per i capelli e ha ridato una forma e una sostanza ai rossoneri. In Ontario, a Oshawa, si celebra il Gattuso-Day il 25 giugno.

Alberto Gilardino

Alberto Gilardino gioca ancora a pallone, è l’unico attaccante tra quelli del 2006. Dopo aver vinto ancora col Milan e aver preso il posto di Luca Toni alla Fiorentina, ha iniziato una peregrinazione con Genoa, Bologna, ancora Genoa, che lo vede anche approdare al Guangzhou di Cannavaro nel 2014, poi da lì in prestito alla Fiorentina, poi in Italia al Palermo col quale arriva a 188 gol in Serie A (come Del Piero, per capirsi).

Il suo passaggio all’Empoli e al Pescara non ha lasciato segni. Svincolato, ha firmato con lo Spezia, dove indossa il 10 sulla schiena e ancora si toglie qualche sfizio. Purtroppo, se Gattuso ha la sua giornata dedicata in una bella cittadina canadese, a lui tocca l’altro lato della medaglia: Povia gli ha dedicato una canzone. Per quanto alla fine Gilardino sia uno che sta ancora facendo a buoni livelli ciò che ama fare, questa sua irrequietezza e il fatto che ancora giochi, accettando anche compromessi come la discesa in B nonostante l’età, lo fa sembrare ancora insoddisfatto, alla ricerca di qualcosa.

Angelo Peruzzi

Angelo Peruzzi si è ritirato nel 2007, appena un anno dopo aver vinto il Mondiale come terzo portiere chioccia. Di lui abbiamo varie interessanti storie: dopo aver seguito la Nazionale di Lippi dal 2008 al 2010 è tornato a Blera, comune nel Viterbese, dove si è fatto eleggere nella giunta locale con grandi preferenze in una lista civica di centro-destra.

È diventato vicesindaco con deleghe al turismo, all’agricoltura e (figurati) allo sport. Grazie a questa avventura politica possiamo avere il suo curriculum pubblicato online. Nel frattempo è diventato vice allenatore della Sampdoria nella sfortunata gestione Ferrara che dura cinque mesi; nel 2016 è tornato a Roma, dove fa il club manager della Lazio e si dice che sia uno dei segreti del successo del gruppo di Simone Inzaghi.

Marco Amelia

La parabola di Marco Amelia post-mondiale è intricata e si è conclusa in maniera un po’ banale. Poco dopo il mondiale ha segnato col suo Livorno contro il Partizan Belgrado in coppa UEFA (ma d’altronde Amelia nella giovanili giocava anche da attaccante) e per fare il figo al ritorno in aereo si mette a leggere il saggio sull’erotismo di Francesco Alberoni, poi lancia un appello per avere la foto del tabellone di Belgrado in cui c’è il suo nome come autore del gol.

È felice a Livorno e quindi ci resta altre due stagioni prima di passare al Palermo, in lotta per un posto da titolare con Fontana; finisce al Genoa l’anno dopo e anche lì lotta con Scarpi per essere una prima scelta. Al Milan dal 2010, fa il secondo ad un fragile Abbiati, gioca pure un pochino, ai rossoneri piace e in spogliatoio sta bene: si fa quattro stagioni prima di lasciare nel 2014. Siccome è presidente e ct onorario del Rocca Priora (squadra dilettantistica laziale) decide che (e magari pesa anche il fatto di essere un campione del mondo) potrebbe meritarsi un posto da titolare: gioca un match. A febbraio arriva il Perugia a prelevarlo e portarlo in B, ma anche lì gioca solo una partita. Ad agosto 2015 arriva una telefonata, è in inglese: a quanto pare, visto che Courtois si è fatto male, Mourinho vuole Amelia per fare il vice di Begovic. A fine stagione si svincola nuovamente e ad inizio 2017 lo sceglie il Vicenza, di nuovo in B, per finire la carriera.

Da allora la storia si è fatta un po’ meno interessante: commentatore per la Rai e corsi di allenatore a Coverciano.

Simone Barone

Per capire se Simone Barone ce l’ha fatta bisognerebbe innanzitutto capire cosa hanno significato per Barone i Mondiali del 2006. Nonostante le due presenze e la stima di Lippi, la presenza di Simone Barone alla spedizione in Germania ha ancora i connotati del sogno, dell’ipnagogico: di lui si ricorda solo una maglia sferzata dal vento che segue Inzaghi in contropiede, si ricorda solo l’attesa della palla per un appoggio facile in rete, appoggio che non arriverà mai perché la punta titolare ha scartato Čech e ha segnato per conto suo rendendosi le cose molto più difficili. Viene da pensare al Mondiale di Barone come quello di chi c’era e non c’era. Un Mondiale vissuto attraverso gli occhi dei più grandi, dei più titolari, nonostante nessuno possa sapere effettivamente l’apporto umano e le dinamiche di gruppo che si installano in un gruppo di atleti simile per una missione simile.

Simone Barone fa pensare a tutte queste cose. La sua carriera successiva è in discesa: col Torino fino alla B, ingaggiato dal Cagliari con un triennale rescisso però al termine della prima stagione. Resta per una stagione svincolato ma si allena e non si arrende, finisce al Livorno in Serie B e gioca la sua ultima stagione con 20 presenze e due gol prima di ritirarsi a Gennaio 2013. Anche per lui l’unica via sembra quella dell’allenatore: dalle giovanili del Modena a quelle del Parma, finisce poi per seguire Zambrotta (dov’è che vanno a finire i calciatori ex 2006 che non sanno bene dove andare?!) in India al Delhi Dynamos come vice. Da luglio 2017 ha trovato casa come tecnico dell’U-16 della Juventus.

Gianluca Zambrotta

Gianluca Zambrotta, già terzino formato, è stato lanciato nel calcio internazionale dal Mondiale e da calciopoli: dopo gli scandali bianconeri ha raggiunto Barcellona col compagno di squadra Thuram. Dopo due anni al servizio di Rijkaard è tornato in Italia, al Milan, si è preso uno Scudetto nel 2011 ed è restato svincolato, tornando ad allenarsi a Como.

Si è poi impegnato per prendere l’abilitazione per fare l’allenatore ed è stato ingaggiato dal Chiasso come giocatore e vice-allenatore, ma a fine novembre ha preso il comando dopo l’esonero del tecnico e ha portato i suoi dall’ultimo al terzultimo posto. È stato esonerato nel 2015, finendo per rifugiarsi ovviamente in India, ad allenare i Dehli Dynamos al posto di Roberto Carlos. Dall’estate del 2017 ha ritrovato Fabio Capello (e Brocchi) allo Jiangsu Suning, in Cina, dove ha fatto da assistente al tecnico in un’annata difficile in cui si centra solo la salvezza.

Da fine marzo 2018 è di nuovo senza squadra. Tra Chiasso e l’India ha partecipato al reality di Rai 2 “Monte Bianco”, in cui dei VIP devono scalare (è facile da intuire) il Monte Bianco, aiutati da apposite guide. Ha eliminato presto l’unico altro atleta, e quindi unico suo rivale, in una sfida sostanzialmente atletica (Stefano Maniscalco, campione di karate) in una prova sinceramente incomprensibile in cui scalavano su dei crepacci che sembrano denti di satanassi, per poi vincere agilmente il reality contro i concorrenti rimasti: una modella, un’attrice e conduttrice, un giornalista. Bravo Gianluca, bella prova.

Marco Materazzi

Dopo l’eroico Mondiale del 2006, dove è partito dalla panchina e ha finito per segnare in finale, Materazzi è diventato un calciatore culto per tutti i tifosi nerazzurri, anche grazie ai dieci gol che hanno permesso all’Inter di vincere il titolo 2006/07; è stato tra gli uomini che Mourinho ha portato alla vittoria del triplete e questo già potrebbe bastare per fargli raggiungere la stessa gioia della vittoria del mondiale del 2006. Resta un dubbio però, che riguarda il suo ego e la sua sovraesposizione mediatica: nonostante il triplete Materazzi sembra ancora tormentato, sembra gli manchi qualcosa, gli serva qualcosa – per fare un esempio, ha querelato i Manetti Bros per una frase pronunciata ne “L’ispettore Coliandro”. Quindi sì, di sicuro ha superato la vittoria del Mondiale con altre vittorie, ma non siamo sicuri Materazzi abbia ottenuto la pace interiore che si merita o sia riuscito a scostarsi troppo da quella vittoria.

Quelli che hanno superato del tutto la vittoria dei Mondiali

Daniele De Rossi

De Rossi, a 35 anni, ha appena disputato una delle stagioni migliori della sua carriera. È capitano della Roma da solo un anno e ogni tanto perde ancora il controllo, come ai Mondiali del 2006. Il peso degli anni passati gli si è cucito addosso sulle rughe attorno agli occhi e sulla barba.

Andrea Barzagli

Andrea Barzagli gioca ancora nella Juventus e ha da poco rinnovato per un’ultima stagione. È forse il giocatore il cui status è più migliorato dai Mondiali del 2006, dove sembrava un semplice comprimario. Barzagli è finito a giocare nel Wolfsburg con Zaccardo, vincendo il campionato tedesco, da cui è arrivato alla Juventus come giocatore bollito per poi far parte di una delle difese più celebrate della contemporaneità calcistica.

Luca Toni

Neanche Luca Toni faceva parte dei calciatori arrivati all’apice della loro carriera nel 2006: al contrario dopo la Fiorentina, nel 2007, nonostante i 30 anni, è finito in Germania, al Bayern di Monaco per due stagioni, amato a tal punto da avere una canzone bruttissima dedicata a lui.

Capocannoniere della Bundesliga l’annata seguente, con buone prestazioni in quella successiva, si infortuna nell’estate del 2009, gioca poco e non va d’accordo con Van Gaal (lo accuserà di avere poca simpatia per i giocatori latini).

Torna in prestito alla Roma, poi viene ingaggiato dal Genoa, poi dalla Juventus a gennaio 2011. A Torino la sua esperienza non è fortunatissima, ma segna il primo gol di sempre per i bianconeri allo Stadium contro il Notts County all’inaugurazione del nuovo impianto. Quando il tramonto sembra inevitabile, Toni prende la via degli Emirati Arabi per sei mesi, rescinde il contratto e nell’estate 2012 ritorna alla Fiorentina, senza brillare. Col contratto scaduto viene ingaggiato dall’Hellas Verona e fa due stagioni pazzesche, da rinato, con 48 gol in 95 partite. Vince il titolo di capocannoniere (insieme ad Icardi) nel 2014/15, il più anziano a riuscirci in Serie A.

Ha festeggiato l’ultimo gol in Serie A in assoluto, con la maglia del Verona, nella partita di addio: su rigore fa il cucchiaio a Neto della Juventus e festeggia facendo quel suo gesto che vuol dire anche un po’ “sono matto”. Si è sposato con Marta Cecchetto l’anno scorso, ha una figlia che si chiama Bianca, sta prendendo le certificazioni per allenare e gli vogliamo tutti ancora bene.

Francesco Totti

Totti ha terminato la sua carriera poco più di un anno fa, in uno dei momenti di sport più vicini ad un rito messianico collettivo, con una città intera in lacrime. Anche da dirigente non si è allontanato da Roma. Prova pure a pensare di diventare allenatore, ma niente: gli impegni dirigenziali con la Roma sono troppi e troppo importanti per seguire il corso come meriterebbe. Solo Roma.

Alessandro Nesta

Nesta è arrivato al Mondiale del 2006 da difensore fragile e meraviglioso. Si infortunò contro la Repubblica Ceca, alla terza partita del girone, lasciando il posto all’uomo del destino, Marco Materazzi. Nesta chiuderà la carriera senza aver mai giocato una partita a eliminazione diretta dei campionati del Mondo. Si è consolato con tantissimi successi nel Milan, che hanno consolidato la sua immagine come uno dei difensori italiani più forti di sempre: due scudetti, una Coppa Italia, due Champions League, due Supercoppe Europee, due Supercoppe Italiane e una Coppa del mondo per club.

A luglio del 2012 è stato ingaggiato dal Montréal Impact, in MLS, dove ha trovato una piccola colonia di italiani figli dello stesso calcio: Corradi, Di Vaio, Ferrari. Dopo poco più di un anno (e un campionato canadese conquistato) Nesta si è ritirato e nel 2014 ha sentito anche lui il richiamo dell’India,

Al Chennaiyin, sotto la guida di Materazzi, ha giocato tre partite (una contro i Dehli Dynamos di Del Piero) e poi ha annunciato di nuovo il ritiro. È passato allora in zona panchina: consulente video del Montréal, poi tecnico del Miami FC (in cui gioca tale Roberto Baggio Kcira) con cui ottiene un settimo posto prima e un primo posto la stagione successiva, ma perde in finale dei playoff. A novembre 2017 si è dimesso. Quest’anno è stato chiamato a sorpresa al Perugia, a una giornata dal termine del campionato. L’idea era quella di dare una spinta ulteriore alla squadra per i playoff, dove il Perugia è stato però eliminato dal Venezia.

Filippo Inzaghi

Inzaghi se n’è andato dal Milan come uno dei grandi senatori: dopo undici anni in rossonero ha chiuso la carriera a 38 anni nel 2012, sei anni dopo la vittoria dei Mondiali e ha continuato ad esultare a ogni suo gol con la stessa energia che avrebbe usato nella finale di Berlino. Nel frattempo è riuscito a vincere anche una Champions League, dove ha fatto valere ancora le proprie doti mistiche con una doppietta in finale contro il Liverpool.

A differenza di altri campioni del mondo, Inzaghi ha evitato tutta la trafila del declino-del-grande-campione con viaggi dall’altra parte del mondo e stagioni così così in luoghi in cui non conosci la lingua di nessuno per finire ogni tanto nei boxini dei siti di sport con video di tuoi gol normalissimi.

È rimasto a Milano, al Milan. Ha allenato gli Allievi Nazionali, ha preso l’abilitazione, ha portato i ragazzi alle fasi finali del torneo nazionale. Il buon lavoro l’ha fatto promuovere in Primavera per la stagione 2013/14, con cui ha vinto a Viareggio nel 2014. La sfortuna di Filippo Inzaghi è quella di essere capitato nel fine/cambio/evoluzione di ciclo di un Milan disorientato, che ha visto nella sua rapida cavalcata una preparazione da tecnico che forse l’ex attaccante ancora non aveva: appuntatogli il ruolo di mister della prima squadra a giugno 2014. Ha finito la stagione seguente decimo, esonerato. La sua storia di eroe di ritorno passa di nuovo dalle piccole: a luglio 2016 ha preso il Venezia in Lega Pro e lo ha portato in Serie B, e poi subito a giocarsi le semifinali dei playoff, dove infine ha ceduto al Palermo.

Lo vedremo comunque in Serie A, visto che da qualche settimana è il nuovo allenatore del Bologna.

Simone Perrotta

Dopo i Mondiali del 2006 Perrotta è rimasto alla Roma, dove ha continuato a fare gol importanti cadendo. Ha abbracciato poi la fine della carriera come il primo dei tifosi. Ha deciso di finire «come ex calciatore della Roma e non come ex di un'altra squadra».

In seguito Perrotta (che ha pure una statua in suo onore ad Ashton-under-Lyne, dov’è nato) si è mosso tra le istituzioni del calcio italiano, affiancandosi a Tommasi nella Associazione Italiana Calciatori tra i consiglieri federali della FIGC, ricoprendo i ruoli di responsabile del dipartimento giovanile e junior.

Andrea Pirlo

Pirlo is not impressed

Un post condiviso da Andrea Pirlo Official (@andreapirlo21) in data: Mag 19, 2018 at 2:23 PDT

Pirlo dopo i Mondiali del 2006 ha avuto altre due vite, entrambe di successo. C’è stata la seconda metà del suo decennio col Milan, che gli ha regalato la sua seconda Champions League; ma dopo un’annata difficile per via degli infortuni è finito ai bordi del progetto tattico dell’allenatore, Allegri.

Rimasto svincolato, è stato messo sotto contratto dalla Juventus di Conte, arretrato di 20 metri sul campo in cabina di regia per la sua terza vita sportiva. Si è presentato con due assist a settembre 2011 e ha partecipato da protagonista a quattro degli scudetti della rinascita bianconera, firmando anche la propria rinascita ad alti livelli e in Nazionale. Nel luglio del 2015 è passato a titolo gratuito al New York City per regalare palloni e assist ai più bisognosi oltreoceano, prima di annunciare il suo ritiro nel novembre 2017.

Pirlo è riuscito a il sé stesso che ha vinto nel 2006, ha cristallizzato il suo personaggio e il suo modo di stare in un campo di calcio assolutamente unico. Viene riconosciuto ovunque come Maestro e lui sembra pascersi di questa immagine. Si fa fotografare nelle vigne o seduto sul bordo di piscine ai confini del pianeta terra. Qualche settimana fa ha salutato ufficialmente il calcio con una partita in cui, in mezzo a grandi campioni, era il più elegante di tutti.

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