Si ringrazia Opta per i dati.
La mancata qualificazione dell’Italia alla fase finale dei Mondiali è sembrata la fine di un’era. Forse l’epoca in cui la Nazionale italiana era una delle migliori al mondo era già conclusa da tempo, ma tutti noi, a ogni Europeo e a ogni Mondiale, tornavamo a illuderci, sperando di vincere utilizzando, se non il talento, oggettivamente sempre più ridotto, le tipiche virtù del calcio Nazionale: la tattica, la scaltrezza, l’opportunismo. Poi è arrivata la Svezia e, in qualche modo, è sembrato inevitabile che la Nazionale di un calcio vecchio, confuso, rassegnato e privo di programmazione, non si qualificasse dai Mondiali.
Da quel punto in poi è partita la gara a trovare la migliore ricetta possibile per fare rinascere il nostro calcio. Con realismo la Nazionale ha trovato in Roberto Mancini l’allenatore cui affidare il progetto di ricostruzione e il cammino verso gli Europei itineranti del 2020. Le ambigue amichevoli di marzo guidate da Di Biagio erano davvero servite a poco: il tecnico aveva giocato per ottenere i risultati utili a una sua eventuale riconferma in panchina, incoraggiato dalla poca chiarezza dei vertici federali.
Risolto il suo contratto con lo Zenit San Pietroburgo - dove non ha raggiunto risultati indimenticabili - Roberto Mancini ha diramato le sue prime convocazioni, che hanno coinvolto ben 30 calciatori. Tra questi, alla prima chiamata, c’erano i difensori Caldara ed Emerson Palmieri, i centrocampisti Mandragora e Baselli e l’attaccante Berardi. Di rilievo anche il ritorno in Nazionale di Mario Balotelli, Simone Zaza e Mimmo Criscito, oltre alla convocazione, un po’ sorprendente, di Claudio Marchisio, reduce da una stagione difficile alla Juventus. Tra gli esclusi, Daniele De Rossi, a cui però il tecnico, come a Buffon, non ha chiuso le porte per una futura convocazione, e l’infortunato Verratti. Gli infortuni hanno però subito privato il tecnico di Bernardeschi, Immobile, Emerson Palmieri e Marchisio.
Il 4-3-3 della Nazionale di Mancini
Mancini ha abbandonato sia il 3-5-2 che il 4-2-4 adottato dal suo predecessore Ventura e, come già Gigi Di Biagio, ha scelto il 4-3-3. Nelle tre partite ha ruotato tutti i 25 giocatori a sua disposizione e il solo Jorginho ha giocato da titolare tutti e tre i match. Nella prima partita, contro l’Arabia Saudita, l’Italia ha schierato Bonucci e Romagnoli come coppia di centrali difensivi con Criscito terzino sinistro; in mezzo al campo, al fianco di Jorginho, hanno giocato i romanisti Florenzi e Pellegrini, mentre ad affiancare il centravanti Balotelli erano a destra Politano e a sinistra Insigne.
Contro il 4-5-1 poco aggressivo dell’Arabia Saudita, l’Italia è riuscita nel primo tempo a fare circolare la palla e ad occupare la metà campo avversaria. Gli azzurri sono riusciti a coinvolgere pienamente Jorginho nell’impostazione della manovra e il mediano del Napoli è stato il giocatore che ha effettuato più passaggi (90) con un’elevatissima accuratezza (93%). Jorginho ha però sbagliato ben 4 dei 6 filtranti giocati, concentrando quindi quasi tutti i suoi errori nei passaggi più rischiosi.
Le caratteristiche dei calciatori hanno plasmato il 4-3-3 di Mancini disegnando un lato dell’attacco più manovriero e uno maggiormente verticale. A sinistra, i tagli interni sotto punta di Insigne costruivano un palleggio più corto e fitto con Pellegrini e soprattutto Criscito, con cui l’esterno del Napoli si è scambiato il pallone per 19 volte. A destra, Politano ha invece attaccato maggiormente la profondità, con tagli sopra la punta, sostituito nella copertura dell’ampiezza da Florenzi e Zappacosta.
La pass map dell’Italia contro l’Arabia Saudita evidenza la centralità di Jorginho nella costruzione della manovra e il diverso funzionamento della catena di destra e di sinistra del 4-3-3 azzurro (via Opta).
Ad un primo tempo giocato in controllo del match, con il baricentro ben piazzato nella metà campo saudita (61.7 m) e senza concedere alcuna occasione da gol agli avversari, ha fatto seguito una ripresa in cui gli azzurri hanno lasciato l’iniziativa agli avversari. L’Italia ha abbassato il baricentro e si è schierata difensivamente con un 4-5-1 allineando i due esterni alle mezzali, preferendo aspettare in posizione medio-bassa a tentativi più aggressivi di recuperare il pallone.
Gli errori individuali di Zappacosta e Criscito hanno consentito all’Arabia Saudita di accorciare le distanze dopo il raddoppio di Belotti e hanno regalato un’altra grossa occasione agli asiatici, sventata da un ottimo intervento di Donnarumma. Sarebbe però errato ricondurre le difficoltà del secondo tempo solo alle distrazioni di singoli calciatori. L’Italia ha progressivamente perso la capacità di mantenere il controllo del pallone, attaccando quasi esclusivamente in verticale e in ripartenza, faticando a recuperare il possesso contro il palleggio dei sauditi.
La partita contro la Francia
L’Arabia Saudita - che nel primo tempo era imbottita di riserve - ha rappresentato un test di livello non troppo elevato. Quattro giorni dopo è arrivata la Francia, cioè una delle squadre favorite dei Mondiali.
Rispetto alla precedente partita Roberto Mancini ha cambiato 7 degli undici titolari. In porta Sirigu ha preso il posto di Donnarumma. Nel reparto difensivo è stato confermato il solo Bonucci, affiancato al centro da Caldara e supportato ai lati da D’Ambrosio a destra e da De Sciglio a sinistra. In mezzo al campo Mandragora ha sostituito Florenzi in posizione di mezzala destra, mentre in attacco i due esterni offensivi scelti sono stati Berardi e Chiesa, schierati “a piede invertito”.
Il 4-3-3 è stato ancora interpretato in maniera prudente in fase di non possesso, con la squadra che ripiegava verso il 4-5-1 quando il pallone era degli avversari e i due esterni offensivi a presidio delle fasce al fianco delle mezzali.
Negli ultimi dieci minuti Mancini ha variato il modulo di gioco, schierando un 4-2-3-1 con Insigne alle spalle di Balotelli, Chiesa e Bonaventura sugli esterni e Mandragora e Cristante come interni. I tre gol subiti, oltre ai due legni colpiti dalla Francia, restituiscono una netta sensazione inferiorità. I “bleus” sembravano poterci colpire ogni volta che superavano la metà campo.
Stavolta è stato il lato sinistro dell’attacco, con un ottimo Federico Chiesa, a cercare con più insistenza la profondità, mentre Berardi ha provato a giocare entrando dentro al campo per servire i compagni con il suo piede sinistro.
La pass-map dell’Italia contro la Francia. Chiesa è il giocatore più avanzato, mentre Berardi preferisce ricevere la palla addosso da D’Ambrosio per poi entrare dentro il campo in conduzione (via Opta).
La prestazione di Federico Chiesa è stata la nota più positiva in una partita che ha impietosamente fotografato il differente stato di salute dei movimenti calcistici francese e italiano. L’esterno della Fiorentina ha effettuato 9 dribbling vincenti su 9 tentativi (M’Bappe 7 su 9) e ha vinto ben 15 dei suoi 16 duelli offensivi. In generale, se la partecipazione al gioco e le capacità associative di Chiesa hanno ancora molti margini di miglioramento, l’intensità di gioco e le qualità individuali del numero 25 dell’Italia sono già di livello molto alto.
Balotelli ha giocato una partita molto simile a quella disputata contro l’Arabia Saudita, preferendo ricevere il pallone addosso, muovendosi con parsimonia in profondità. Il suo contributo in fase di finalizzazione è stato notevole (6 tiri di cui 2 su punizione), ma la partecipazione al gioco ancora discontinua.
La scarna partita di Balotelli contro la Francia (via Opta).
Nel match contro la Francia hanno fatto il loro esordio in maglia azzurra Mattia Caldara, Rolando Mandragora e Domenico Berardi. Il difensore neo-juventino è stato il migliore di una difesa messa in grossa difficoltà dal letale mix di tecnica, fantasia e rapidità dell’attacco francese. Caldara ha vinto 9 dei 16 duelli ingaggiati, di cui 5 sui 6 aerei, mentre i suoi compagni di reparto hanno perso quasi tutti i loro confronti individuali.
Mandragora è stato impegnato in uno sfiancante lavoro di copertura e di contrasto dell’azione avversaria. Dopo solo 15 minuti di gioco e con la squadra già in svantaggio di un gol è stato spostato da sinistra a destra, per provare a coprire meglio, con un centrocampista dalla caratteristiche maggiormente difensive, il lato destro della difesa italiana, continuamente attaccato dalla Francia. Proprio Mandragora, in copertura sull’arrembante Lucas Hernandez, ha commesso l’ingenuo fallo che ha causato il rigore del 2-0 di Griezmann.
In fase di possesso palla Mandragora ha invece faticato a trovare la corretta posizione per ricevere e partecipare attivamente alla manovra della sua squadra. In maniera abbastanza sorprendente per un centrocampista, Mandragora ha effettuato solo 13 passaggi in tutto il match, meno di chiunque altro, e ha toccato il pallone appena 17 volte.
Anche Berardi ha faticato a trovare la giusta posizione e a partecipare la manovra, crescendo però con l’avanzare del match. Ad inizio ripresa è stato brillante a ricevere un lancio lungo di D’Ambrosio e a servire un filtrante tra Il terzino e il centrale avversario che ha portato al tiro Balotelli, mossosi in profondità.
Il pareggio contro l’Olanda
Nell’ultimo test in programma, contro l’Olanda, un’altra grande esclusa dalla fase finale dei Mondiali, Mancini ha lanciato Perin in porta, Rugani in coppia con Romagnoli al centro della difesa, Cristante e Bonaventura come mezzali e Verdi e Insigne a completare il trio d’attacco con Belotti. Rispetto alle due partite precedenti il 4-3-3 dell’Italia ha mostrato alcune tendenze differenti, in virtù dei giocatori scesi in campo e delle caratteristiche tattiche dell’avversario.
Entrambi gli esterni offensivi schierati da Mancini amano giocare sotto il centravanti, ricevendo negli “half-spaces”. Pertanto, se contro Arabia Saudita e Francia uno dei due esterni preferiva muoversi in verticale, nella partita all’Allianz Stadium di Torino, sia Insigne che Verdi provavano a ricevere venendo incontro al pallone o entrando dentro al campo. La profondità era garantita da Andrea Belotti, che, a differenza di Balotelli, si sobbarcava l’onere di abbassare la difesa avversaria.
In fase difensiva lo schieramento posizionale dell’Italia differiva dal 4-5-1 visto nei precedenti match e, adattandosi al 3-5-2 degli avversari, teneva più alti e stretti i due esterni offensivi per contrastare, uomo a uomo, la circolazione bassa dell’Olanda. Ne derivava una fase di non possesso tendenzialmente più aggressiva e votata al recupero attivo del possesso palla.
L’Italia ha tenuto l’iniziativa nel primo tempo, creando un paio di occasioni pericolose sprecate da Belotti e Verdi, su assist rispettivamente di Insigne e Jorginho. I due tiri più pericolosi dell’Italia sono nati da movimenti profondi, alle spalle della difesa dell’Olanda, dei suoi attaccanti. È invece mancato il contributo in inserimento delle due mezzali, Cristante e Bonaventura, ancora più necessario visto che Verdi e Insigne erano impegnati principalmente nella fase di rifinitura tra le linee avversarie.
Come contro l’Arabia Saudita, gli azzurri nel secondo tempo hanno sofferto il palleggio avversario, non trovando più le corrette distanze per recuperare il pallone, finendo, inevitabilmente, per abbassare il proprio baricentro. L’ingresso di Zaza, ma soprattutto di Federico Chiesa, hanno regalato elettricità all’attacco e la capacità di attaccare in campo aperto necessaria nel mutato quadro tattico della ripresa. Proprio la velocità di Chiesa in ripartenza, unita alla determinazione di Simone Zaza in area di rigore, hanno permesso all’Italia di portarsi in vantaggio. Un errore nella copertura della profondità della linea difensiva, in particolare di Criscito, ha però provocato l’espulsione del terzino azzurro e ha costretto Mancini a rinunciare agli ultimi 20 minuti di esperimenti. Il pareggio di Akè è stata l’inevitabile conseguenza del predominio nel palleggio degli olandesi, consolidato dalla superiorità numerica. L’Italia si limitava ad affidarsi alla velocità di Chiesa in ripartenza.
Cosa ci hanno detto queste amichevoli
Come spiegato dallo stesso Mancini nella sua prima conferenza stampa, la possibilità di giocare tre amichevoli e di allenare il gruppo per 12 giorni consecutivi, è stata un’ottima occasione per conoscere, in maniera più profonda e sotto ogni aspetto, calciatori che il tecnico aveva solo visto in TV.
La piena comprensione tecnico-tattica, ma anche emotiva, delle qualità dei giocatori a disposizione è uno dei punti di partenza del profondo lavoro di un allenatore. Da un punto di vista tattico il 4-3-3 sembra il modulo di riferimento dell’Italia, che vedremo probabilmente schierato a settembre negli impegni ufficiali della UEFA Nations League contro Polonia e Portogallo.
Il poco tempo a disposizione e l’elevata rotazione dei titolari non rendono attendibili indicazioni tattiche troppo dettagliate, tuttavia sembra che Mancini voglia giocare il 4-3-3 in maniera piuttosto classica. Le fasi iniziali della manovra dovrebbero essere governate dai difensori centrali e dal mediano, in accordo alle migliori qualità di Bonucci e Jorginho, ma l’avanzamento del pallone assegnato alle catene laterali, dove le caratteristiche degli esterni offensivi orienterebbe uno sviluppo più palleggiato o più diretto. Nelle fasi di recupero del pallone la priorità sembra quella di riordinarsi ed abbassare gli esterni ai fianchi delle mezzali per disegnare una linea di centrocampo a 5 da tenere il più vicino possibile alla linea arretrata. Il pressing sui portatori di palla avversaria si innesca ad altezze medie e solo a partire da una struttura ordinata della squadra. Nonostante la ricerca della compattezza, per ampie frazioni delle partite l’Italia ha sofferto la circolazione palla degli avversari, concedendo lunghe fasi di possesso.
Le scelte a disposizione di Mancini
Già dalla partita del 7 settembre contro la Polonia Roberto Mancini dovrà operare delle scelte, filtrando tra i tanti giocatori impiegati e quelli che, per infortunio, non è riuscito a schierare. In difesa il ruolo più coperto è quello di centrale difensivo. Se Bonucci appare un punto fermo, Mancini potrà scegliere tra Rugani, Caldara e Romagnoli per affiancare il capitano azzurro.
Rugani e Caldara hanno giocato due ottime partite, mentre i due match disputati da Romagnoli non sono stati del tutto esenti da errori. A favore di Rugani potrebbe pesare la maggiore esperienza maturata nel club in partite di alto livello, mentre Romagnoli può mettere sul piatto le sue capacità in fase di costruzione del gioco e l’intesa col compagno di squadra Bonucci al Milan. Senza dimenticare, ovviamente, che Chiellini non ha ufficialmente detto addio alla Nazionale.
Sugli esterni la qualità sembra minore. Nella posizione di terzino manca all’Italia almeno un interprete moderno del ruolo, capace, in un’epoca in cui la difesa del centro del campo è sempre più ossessiva, di ordinare il gioco della squadra dall’esterno, tramite il palleggio o, perché no, entrando dentro il campo. I nostri sono terzini piuttosto classici, piatti e monocordi in fase offensiva e non sempre irreprensibili in fase puramente difensiva. La novità costituita dal ritorno in Nazionale di Criscito, protagonista almeno di un errore grave a partita, ha avuto esiti in chiaroscuro.
Anche in mezzo al campo il livello attuale dei calciatori tra cui Mancini potrà scegliere non è certo paragonabile a quello delle migliori Nazionali. Le tre partite giocate da titolare da Jorginho rappresentano un chiaro indizio della volontà di puntare sull’italo-brasiliano come perno del terzetto di centrocampo, ma, come in occasione delle partite giocate con Di Biagio, il mediano del Napoli ha mostrato qualche difficoltà fuori dal sistema costruito da Sarri. In fase offensiva, privo dei continui movimenti coordinati e riconoscibili dei compagni di squadra, fatica a mantenere efficacia e precisione all’aumentare del ritmo gara. In fase di non possesso, il suo buon timing nella pressione in avanti, viene poco sfruttato in sistemi più prudenti e statici, che ne evidenziano invece i limiti in fase di difesa posizionale.
Accanto a lui, nessuna delle mezzali ha pienamente convinto. Pellegrini è il giocatore che naturalmente interpreta meglio il ruolo e l’esperienza in Champions League ne ha accresciuto l’esperienza internazionale. Rimane però un giocatore ancora non pienamente compiuto. Cristante è esploso nel sistema di Gasperini giocando un ruolo ibrido tra quello di trequartista e di punta di destra, con compiti offensivi di inserimento profondo negli ultimi 20 metri. Non è sembrato totalmente a suo agio spostato 20 metri indietro nel ruolo di mezzala e all’interno di un calcio diverso da quello così peculiare del suo allenatore di club. L’esordiente Mandragora ha alle spalle un solo campionato di Serie A, quello passato con il Crotone, dove nel 4-4-2 di Nicola è stato impiegato come interno, mentre nel 4-3-3 di Zenga ha alternato la posizione di mediano a quelle di mezzala. È apparso in difficoltà nella partita oggettivamente più difficile per il valore degli avversari, ma è un prospetto interessanti su cui ha senso continuare a lavorare. Le caratteristiche atletiche e tecniche ne suggeriscono però uno sviluppo da mediano in un centrocampo a 3, o da interno in un centrocampo a 4. In maniera abbastanza sorprendente non è stato convocato Nicolò Barella, ventunenne come Mandragora e con maggiore esperienza in Serie A. Il dinamismo, la tecnica e l’intensità di gioco del calciatore del Cagliari potrebbero essere davvero utili, in posizione di mezzala, nel 4-3-3 di Mancini. Barella e Mandragora rimangono, in ogni caso, i due più promettenti centrocampisti giovani italiani. Non bisogna dimenticare che fuori dalle convocazioni sono rimasti De Rossi e Verratti e l’eventuale scelta di schierare il centrocampista del PSG, da mediano o da mezzala in coppia con Jorginho, cambierebbe radicalmente la struttura del reparto.
In avanti Federico Chiesa è stato il miglior giocatore delle amichevoli e per caratteristiche e intensità di gioco sembra davvero difficile pensare di potere rinunciare al suo contributo su una delle due fasce. Se le qualità e i difetti di Insigne sono ormai ampiamente noti, il passaggio di Verdi al Napoli e quello possibile di Berardi alla Roma sarebbero utili per consentire ai due calciatori di giocare ad un livello più alto e, se ne avranno la capacità, di fare quel salto di qualità impossibile rimanendo in un club di provincia. Tra gli esterni non va dimenticato Federico Bernardeschi, cresciuto complessivamente nel suo anno alla Juventus.
Infine, nel ruolo di centravanti Balotelli ha mostrato le qualità balistiche che gli sono riconosciute, ma anche una non certo nuova scarsa brillantezza nei movimenti utili a ricevere il pallone e a muovere la difesa avversaria. Probabilmente si giocherà il posto da titolare con Ciro Immobile, che regalerebbe dinamismo e verticalità. In quest’ottica appare fondamentale l’incastro tra le qualità del centravanti scelto con quello dei due esterni al suo fianco.
Le prime amichevoli hanno gettato le basi del lavoro che aspetta il nuovo CT della Nazionale. Hanno confermato, se ce ne fosse bisogno, che il talento a disposizione sconta un gap con quello delle migliori nazionali del mondo, sia nel valore medio che nei picchi. Proprio per questo è ancora più importante la qualità del lavoro dell’allenatore, sia in termini di sviluppo dei singolo all’interno della Nazionale che nella costruzione del progetto di gioco della squadra. La speranza è che la qualità del lavoro di Roberto Mancini sia all’altezza del duro compito che lo aspetta