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L'Italia è sulla strada giusta
21 nov 2018
21 nov 2018
Le partite contro Portogallo e USA hanno confermato delle buone indicazioni.
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C’era molta attesa per l’Italia di Mancini dopo le convincenti partite di ottobre contro Ucraina e Polonia, che avevano segnato un punto di svolta tattico del tecnico italiano e disegnato un’Italia finalmente centrata sulle caratteristiche dei propri giocatori migliori. Nei due impegni precedenti Roberto Mancini aveva impiegato lo stesso undici titolare, mostrando come la struttura portante della sua formazione fosse già definita.

Anche nella partita di Nations League contro il Portogallo dello scorso sabato, il ct ha scelto la sua formazione tipo, considerando che una vittoria avrebbe aperto qualche speranza per la vittoria del girone; nell’amichevole contro gli USA, invece, ha osservato la risposta in campo di alcuni giocatori poco (o mai) impiegati in Nazionale.

Il solo nuovo innesto contro il Portogallo è stato Ciro Immobile, che sostituiva l’infortunato Federico Bernardeschi: una differenza rilevante perché inseriva un centravanti di ruolo in una formazione che aveva rinunciato a un riferimento fisso in attacco nelle due partite precedenti. La partita ha confermato l’identità tattica della nazionale italiana, basata sul dominio del pallone e sul recupero precoce dello stesso per mezzo del pressing e del gegenpressing.

Come funziona il modulo fluido dell’Italia

L’Italia è riuscita a definire il contesto strategico della partita, raggiungendo una percentuale di possesso del 69.3% (nel primo tempo è stata addirittura del 73%) e una precisione dei passaggi del 89.5%. Per raggiungere il proprio obiettivo tattico gli azzurri hanno adottato in fase di possesso palla una struttura posizionale diversa dal 4-3-3 di partenza: sulla linea arretrata Florenzi restava al fianco di Bonucci, mentre dal lato opposto Biraghi si alzava fornendo ampiezza alla manovra.

Quindi, in fase di impostazione bassa si creava una linea difensiva a tre, mentre più avanti Verratti si affiancava a Jorginho per supportarlo nella costruzione della manovra; e l’altra mezzala, Barella, occupava invece l’half spaces di destra, con Insigne che tagliava internamente ad occupare quello di sinistra. Chiesa rimaneva aperto a destra, disegnando una sorta di WM, in cui la fase di costruzione bassa era appannaggio dei tre difensori centrali e dei due interni di centrocampo, con il pallone che arrivava nella zona di rifinitura passando per il quadrilatero costituito da Jorginho e Verratti con, più avanti, Barella e Insigne. Sulle fasce, larghi, Biraghi e Chiesa garantivano l’ampiezza necessaria a dilatare le maglie della difesa avversaria.

La pass map dell’Italia evidenzia la diversa altezza media di ricezione dei due terzini e la diversa posizione delle mezzali e degli esterni offensivi (oltre che l’enorme volume di gioco dell’asse Jorginho, Verratti, Insigne).

Il possesso palla dell’Italia si è basato su una circolazione il più possibile corta, interna e insistita, funzionale a chiamare avanti il pressing avversario per giocargli alle spalle o, in alternativa, verso l'uomo libero aperto in fascia dopo avere attirato la densità difensiva del Portogallo verso il centro.

La squadra di Fernando Santos si è schierata con un 4-3-3 che in fase difensiva teneva i due terzini, Cancelo e Mario Rui, stretti vicino ai due difensori centrali. E a causa di questa scelta gli esterni offensivi Bernardo Silva e Bruma erano costretti a rimanere larghi, deputati al controllo di Biraghi e Chiesa, lasciando i tre centrocampisti in inferiorità numerica contro il quadrilatero interno dell’Italia. Il vantaggio numerico in mezzo al campo, unito alla capacità tecnica e all’abilità dei centrocampisti azzurri di giocare una circolazione palla sul breve capace di muovere gli avversari, hanno consegnato di fatto il possesso palla agli azzurri, schiacciando il Portogallo nella propria metà campo (il baricentro dei lusitani è stato molto basso, posizionato ai 42 metri).

In particolare, l’Italia si è mossa sull’asse di centro sinistra, lungo la direttrice Jorginho, Verratti, Insigne. Jorginho ha giocato l’incredibile numero di 125 passaggi (Bonucci, il secondo 123) e Verratti 110 in 81 minuti di gioco. I due centrocampisti si sono scambiati il pallone per ben 65 volte, per attirare fuori posizione la mezzala destra Pizzi o il mediano Ruben Neves: così Insigne è stato in grado di ricevere ripetutamente nell’half-spaces di destra alle spalle di Pizzi.

Ma se le fasi di impostazione e di avanzamento della manovra sono state particolarmente efficaci, non sono andate altrettanto bene quelle di rifinitura e conclusione: l’Italia è andata al tiro 15 volte, generando 1.5 xG, ma senza riuscire a segnare alcuna rete, centrando lo specchio della porta di Rui Patricio solamente tre volte. A fronte di un possesso palla di quasi il 70% gli azzurri hanno costretto i portoghesi a 45 interventi difensivi nella propria area di rigore, mentre hanno dovuto effettuare ben 69 interventi nei propri 16 metri.

Ad influenzare l’efficacia azzurra nell’ultimo terzo di campo sono state soprattutto le prestazioni di Federico Chiesa e Ciro Immobile. Una buona fetta degli attacchi azzurri, dopo avere sovraccaricato il lato sinistro del campo con il possesso, prevedeva la ricerca di Chiesa in isolamento sulla fascia destra. Il giocatore della Fiorentina ha giocato una partita abbastanza imprecisa e poco incisiva: ha sbagliato ben 7 dei soli 28 passaggi tentati e ha provato solamente 2 dribbling, riuscendo a saltare l’avversario solamente una volta.

Anche l’adattabilità di una centravanti dalle caratteristiche di Immobile nella Nazionale immaginata da Mancini rimane un quesito aperto: il laziale ama attaccare la profondità in spazi larghi, all’interno comunque di una manovra diretta e verticale. Inserito in un attacco che ama il gioco corto e che inevitabilmente, per questo, schiaccia gli avversari nella propria metà campo restringendo il campo alle spalle della linea arretrata e le distanze tra i difensori, Immobile ha avuto meno spazi da attaccare. Soprattutto, è stato costretto dai ritmi della manovra a selezionare le occasioni e scegliere con molta più pazienza i tempi dei movimenti in profondità, rispetto ai continui scatti in avanti che il gioco del suo club richiede e che le sue qualità prediligono.

L’Italia aggressiva

Il possesso palla stretto e con elevata densità di uomini attorno al pallone è una condizione che favorisce la riaggressione immediata dopo la perdita del possesso. L’Italia ha applicato con costanza il gegenpressing; ha pressato con continuità e successo la costruzione bassa del Portogallo, utilizzando un pressing offensivo orientato sull’uomo e innescato dai passaggi all’indietro o dalla semplice trasmissione palla tra i centrali o tra il centrale e il terzino avversari.

Il pressing italiano ha funzionato, limitando al 73.5% la precisione dei passaggi lusitani, forzando spesso il portiere Rui Patricio al lancio lungo (con il 45% di precisione). Il Portogallo ha prodotto appena 9 tiri e 0.5 xG, essenzialmente nella parte centrale del secondo tempo.

La mappa delle palle recuperate dei 63 palloni recuperati dall’Italia, di cui ben 28 nella metà campo avversaria. L’altezza media del recupero palla è stata molto alta (46.9 metri) così come il baricentro della squadra (56.9 metri).

Il contesto tattico però è cambiato nel quarto d’ora successivo all’ingresso di Joao Mario a metà secondo tempo, con cui il Portogallo è passato dal 4-3-3 al 4-2-3-1, proteggendo meglio il centro del campo con il doppio mediano e la posizione più stretta dei due esterni offensivi. Variate le posizioni in mezzo al campo, in un ambiente più favorevole al contrasto della circolazione del pallone interna degli azzurri, il Portogallo ha alzato il pressing e dopo l’inserimento di Joao Mario è riuscito a pareggiare il possesso palla dell’Italia e a calciare 4 volte verso la porta di Donnarumma - senza, dall’altro lato, subire nemmeno un tiro.

In questa fase di gioco la circolazione del pallone degli azzurri è stata sporcata e resa meno efficace da una maggiore aggressività degli avversari nella fase di recupero palla, e gli azzurri sono stati costretti a qualche fase di difesa posizionale, di sicuro meno efficace del pressing effettuato per gran parte del match.

Come sono andati gli esperimenti contro gli USA?

Contro gli Stati Uniti, scesi anch’essi in campo in formazione abbastanza sperimentale, Mancini ha cambiato ben 7 dei titolari. In difesa, assieme a Bonucci, hanno giocato Sirigu, Acerbi, De Sciglio e Emerson Palmieri. In mezzo al campo il debuttante Sensi ha sostituito Jorginho, mentre in attacco Berardi e Lasagna hanno preso il posto rispettivamente di Insigne e Immobile.

Nonostante i tanti giocatori nuovi, Mancini non ha voluto variare troppo la struttura portante della squadra, mantenendo inalterati alcuni punti fermi: la presenza di un regista difensivo come Bonucci, la posizione di Verratti (sempre mezzala) e l’impiego di Federico Chiesa come esterno aperto a destra, da sfruttare in isolamento contro il diretto avversario. L’Italia ha ovviamente proseguito la strada del possesso palla (73.5% con l’88% di precisione) e del pressing offensivo (molto alti il baricentro – 56.9 metri – e l’altezza media di recupero palla - 47.9 metri -, 29 palle su 65 recuperate nella metà campo avversaria) che ha avuto un buon successo, favorita anche dalla prestazione abbastanza deludente della formazione schierata dal tecnico ad interim Dave Sarachan.

Ancora una volta la struttura posizionale in fase di possesso ha disegnato un quadrilatero interno con Sensi e Verratti arretrati e l’altra mezzala, Barella, e Berardi, più avanzati ad occupare gli half-spaces. Dietro, De Sciglio ha costruito in fase di impostazione la linea arretrata a 3 con Bonucci e Acerbi, mentre Emerson Palmieri, prendeva l’ampiezza lasciata libera dalla posizione interna di Berardi.

La mappa delle posizioni media nel primo tempo evidenziano bene la posizione più avanzata di Emerson Palmieri (n. 21) rispetto a quella di De Sciglio (2) e la posizione interna assunta da Berardi (11).

La fase di rifinitura e finalizzazione hanno di nuovo rappresentato i momenti del gioco meno convincenti. Nei 45’ giocati, Chiesa ha sbagliato 8 dei suoi 25 passaggi, ha perso 11 palloni e non ha tentato nemmeno un dribbling. Lasagna, come Immobile, ha caratteristiche che poco si sposano con il calcio giocato dalla Nazionale, amando muoversi in profondità su spazi ampi per esaltare la sua velocità ed non essendo in possesso di doti tecniche abbastanza evolute da sostenere con continuità il palleggio dei suoi compagni di squadra.

Berardi è stato impiegato nel primo tempo nell’half-spaces di sinistra, mentre nel secondo tempo, fino al momento della sua sostituzione, ha occupato il ruolo di esterno destro largo sulla fascia. Dei tre, Berardi è stato il più efficace, calciando in porta per tre volte, più di ogni suo compagno di squadra, pur all’interno di una partita non troppo brillante. In generale l’Italia ha calciato verso la porta di Horvath per 17 volte, subendo solamente 3 tiri. Le migliori occasioni, avute da Chiesa e Lasagna, sono però nate da lanci lunghi, rispettivamente di De Sciglio e Bonucci, in controtendenza con lo stile di gioco corto dell’Italia.

In verde (Italia) e in blu (USA) la mappa dei tiri della partita (via mlssoccer.com, il sito ufficiale della MLS).

All’interno di una partita in cui l’aspetto tattico è stato meno preciso delle occasioni precedenti per i tanti cambi di formazione effettuati, particolare attenzione andava posta alle prestazioni dei nuovi giocatori impiegati. I migliori sono stati senza dubbio i tre esordienti assoluti, Stefano Sensi, Vincenzo Grifo e Moise Kean.

Il centrocampista del Sassuolo ha sostituito Jorginho, giocando una splendida partita nel ruolo di mediano: nel suo club Sensi è molto più frequentemente impiegato da mezzala di possesso del 4-3-3, o addirittura, come mezzapunta di sinistra del 3-4-3.

Davanti alla difesa De Zerbi gli preferisce Magnanelli o Locatelli, ma Sensi ha le caratteristiche per giocare il calcio progettato da Mancini, prediligendo il gioco corto e il mantenimento del pallone finalizzato ad attirare la pressione avversaria per disordinarne la struttura difensiva. Ha giocato ben 109 passaggi, più di ogni suo compagno di squadra, sbagliandone solo 5 (Verratti ne ha giocati 3 in meno, sbagliandone però ben 12 in più), ha creato 3 occasioni da gol (nessuno come lui in partita), ha dribblato 4 volte gli avversari (Emerson Palmieri 3 volte) e ha recuperato 5 palloni. La prestazione di Sensi è andata anche al di là delle aspettative e fa guardare con ottimismo a un’alternativa efficace a Jorginho e Verratti.

Vincenzo Grifo ha giocato come vertice sinistro avanzato del quadrilatero di centrocampo, nella posizione occupata abitualmente da Insigne: in fase di possesso ha giocato in maniera ordinata, trovando con sufficiente naturalezza la posizione corretta all’interno del disegno della manovra palleggiata degli azzurri e si è distinto nella fase di recupero del pallone (4 i palloni recuperati in 45 minuti di gioco), favorito forse dal pressing abitualmente utilizzato dalla sua squadra di club, l’Hoffenheim di Julian Nagelsmann.

Infine Moise Kean, il primo nato dopo il 2000 a esordire nella Nazionale italiana, è riuscito con buona continuità a dialogare coi compagni e ha trovato il tempo di attaccare le spalle della difesa degli USA.

Che futuro ci aspetta?

La strada degli azzurri sembra già tracciata, ed è quella di un calcio di possesso e pressing che la Nazionale sembra riuscire a giocare con successo e discreta naturalezza. I margini di miglioramento rimangono ampi e alcune questioni devono ancora trovare una soluzione convincente. Piuttosto che qualcuno «che la butti dentro», Roberto Mancini deve trovare un centravanti in grado di integrarsi tatticamente con il gioco degli azzurri, che attaccano quasi sempre contro difese schierate e in spazi inevitabilmente ridotti.

Dei tre centravanti visti all’opera il più convincente, se pur nei pochi minuti di impiego, è stato Kean, ma si tratta di un calciatore ancora molto giovane e che non ha giocato nemmeno un minuto in campionato. Chissà che la soluzione migliore non sia quelle vista nelle partite contro Ucraina e Polonia, quando l’impiego di Bernardeschi ha forzato i tre attaccanti azzurri a muoversi e a scambiare continuamente la propria posizione (e anche il gol di Politano contro gli Usa sembra confermare la necessità di un giocatore abile negli spazi stretti per concludere l’azione).

Con l’impiego di un centravanti le zone d’azione di Chiesa e Insigne si sono cristallizzate, creando una maggiore rigidità, pagata con una minore efficacia, nell’attacco degli azzurri. La rosa di giocatori da cui attingere i titolari deve al tempo stesso consolidarsi ed essere allargata: giocatori considerabili titolari come Chiesa, Barella e lo stesso Bernardeschi devono essere aspettati nella loro crescita; per il ruolo di terzino (destro e sinistro) andranno fatte delle scelte e i positivi esordi di Sensi, Grifo e Kean devono essere seguiti con cura all’interno del progetto di sviluppo della nazionale.

Oggi ancora più che in passato sembra importante non avere troppa fretta, non ci si deve lasciar prendere dal panico per eventuali battute d’arresto che possono verificarsi. Mancini dovrà avere il coraggio di tirare dritto con coerenza e impegno per la strada disegnata, che sembra anche l’unica possibile per tornare a essere pienamente competitivi nel panorama del calcio internazionale.

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