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Gli atleti italiani sanno accettare la sconfitta meglio di noi
30 lug 2024
30 lug 2024
Dopo il judo e la boxe, le nostre polemiche hanno invaso anche il nuoto e la scherma.
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IMAGO / Insidefoto
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Su Twitter da qualche ora gira un medagliere beffardo, l’account francese che lo ha pubblicato lo chiama il tabellone delle quasi-medaglie. È la classifica delle Nazionali che non sono riuscite a finire sul podio per un soffio e in cima l’Italia stacca tutte le altre Nazionali: sette quarti posti, sette quinti posti, tre sesti posti. È più del triplo di altre grandi Nazionali, come gli Stati Uniti, l’Australia e la Francia.


È una frustrazione a cui non riusciamo ad abituarci in questi giorni. La sensazione che qualcosa di minuscolo e ingiusto si metta sempre tra noi e una medaglia, cioè la sensazione liberatoria di avercela fatta, di essere arrivati in cima al mondo. Il guizzo di un avversario, una chiamata arbitrale dubbia, un errore incomprensibile: tutto in questi giorni sembra congiurare contro la nostra felicità.

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Questa sensazione è diventata quasi soffocante nella scherma, uno sport che fino a qualche anno fa era considerato “un bancomat” per il medagliere italiano, e che adesso invece ci vede soffrire per via di una competizione internazionale sempre più dura. Una situazione che ci è sembrata addirittura catastrofica nella spada maschile e soprattutto nel fioretto femminile, dove nemmeno il talento di Arianna Errigo ci ha permesso di mettere le mani su una medaglia, di qualsiasi metallo. Arianna Errigo è stata una degli otto atleti italiani sconfitti in queste Olimpiadi all'ultima stoccata, decisa da una chiamata arbitrale molto contestata. Lo stesso è successo ieri a Filippo Macchi, che nella finale per l’oro ha perso contro Cheung Ka Long dopo un’altra decisione arbitrale controversa, e altre due volte in cui l’arbitro, nonostante la revisione video, ha deciso di non assegnare il punto.


Dopo la gara abbiamo visto il responsabile tecnico della Nazionale italiana di fioretto, Stefano Cerioni, rivolgersi minacciosamente verso la squadra arbitrale, puntarla con il dito con fare accusatorio, andare davanti ai microfoni a dire in maniera sibillina che: «Spero sia solo incompetenza, non voglio pensare ad altro». Forse è stato proprio il suo sfogo a settare un contesto emotivo che, almeno nei programmi di commento della giornata olimpica della Rai, a quel punto era diventato inquisitorio. E in maniera paradossale, direi, se si pensa che pochi minuti prima dell’argento di Macchi (che comunque deve ancora compiere 23 anni ed è al suo esordio ai Giochi Olimpici), l’Italia aveva dominato in una disciplina (i 100 dorso di nuoto) in cui in tutta la sua storia non era mai riuscita nemmeno a salire sul podio (né nel maschile né nel femminile).


Forse è perché la medaglia d’oro di Thomas Ceccon era quella più “scontata” di questa spedizione olimpica italiana, ma proprio per questo viene un po’ di paura a pensare a quali sarebbero stati i commenti se il nuotatore vicentino fosse arrivato un po’ più in ritardo alla virata, o se Ryan Murphy, che lo aveva battuto un anno fa ai Mondiali di Fukuoka per soli cinque centesimi di secondo, fosse arrivato a queste Olimpiadi un po’ più in forma. Insomma, se non avesse vinto la medaglia d’oro. Ovviamente per Filippo Macchi c’è di mezzo almeno una decisione arbitrale che in molti hanno considerato ingiusta, e non è facile sovrapporre due sport così diversi come la scherma e il nuoto, ma parliamo comunque di situazioni al limite, in cui ce la si gioca per una manciata di centesimi di secondo o per una stoccata che finisce qualche centimetro più in basso o più in alto del previsto. Lo stesso Macchi, dopo aver sbollito la naturale delusione, si è rimproverato di non aver chiuso prima la finale, quando era in vantaggio per 14-12, e ha detto che in generale «la scherma è una sport a discrezione degli arbitri».


Eppure nelle ore successive l’idea che ci fosse un qualche tipo di complotto anti-italiano, o che comunque stessimo soffrendo di un’antipatia da parte degli arbitri, è stata solleticata da molti. Lo ha fatto Stefano Cerioni, come detto, ma anche l’ex schermitrice Elisa Di Francisca, che dallo studio della Rai a Parigi ha detto che «ci hanno rubato le stoccate» e che gli arbitri della scherma «qualche problema con gli italiani evidentemente ce l’hanno». Di Francisca non è nuova a esternazioni di questo tipo e non è di per sé significativa, se non fosse che ha intercettato in televisione (legittimandolo quindi a un livello “più alto”) un sentimento che scorreva già carsico nei gruppi di Whatsapp e su Twitter (o X), dove a un certo punto in Italia è andata in tendenza la parola “vergognosi”.

A conferma che in Italia la classe dirigente è sempre pronta a dimostrarsi peggiore della società di cui è espressione, l’idea è stata addirittura rilanciata dal presidente del CONI, Giovanni Malagò, che ha annunciato la presentazione di una protesta ufficiale. «Il tema è semplice: se hai sei arbitri e li sorteggi e il primo arbitro estratto viene dalla Corea e il secondo è di Taipei devi cambiare», ha detto Malagò, «Questo non si può fare, non è opportuno. Trovatemi un altro sport al mondo in cui hai due arbitri che vengono da nazioni vicine a uno dei Paesi in lizza». «Sono d’accordo con il presidente Malagò», ha aggiunto Paolo Azzi, il presidente della federazione italiana di scherma, «Non mi sono mai sentito così e non ho mai avuto l’abitudine di attaccare gli arbitri nella mia vita. È accaduto qualcosa di inedito, al di sopra di ogni livello di immaginazione. Il discorso del sorteggio degli arbitri è un problema».


«Certo, siamo più fortunati con gli sport in cui ci sono il cronometro e il centimetro», ha chiosato in maniera sarcastica Malagò, sottintendendo che negli sport in cui la vittoria e la sconfitta sono decise da valutazioni oggettive non possono impedirci di vincere le medaglie. Anche in questo caso la sua frase è suonata con toni vagamente paradossali se ci si riusciva ad astrarre per un attimo dalla rabbia del momento presente. Non solo perché negli sport in cui ci sono il cronometro e il centimetro, cioè principalmente l’atletica e il nuoto, l’Italia non è di certo mai stata una super potenza (se non molto di recente), ma anche perché solo poche ore prima la nostra Nazionale nella piscina della Défense Arena si era vista sfuggire un’altra medaglia per un singolo centesimo di secondo (e andatelo a dire a Milorad Cavic che il centesimo di secondo è una misurazione oggettiva).


Nella finale dei 100 metri rana femminile, infatti, Benedetta Pilato aveva da poco fatto una grande gara ma, dopo essere stata recuperata negli ultimi metri di vasca, era finita al quarto posto per un solo centesimo di secondo di ritardo dall'irlandese Mona McSharry (e di poco più di tre decimi dall’oro vinto dalla sudafricana Tatjana Smith). Benedetta Pilato ha 19 anni ed è alla sua seconda Olimpiade solo perché è una delle nuotatrici più precoci nella storia di questo sport in Italia (nel 2019 è diventata l'atleta azzurra più giovane a debuttare in un Mondiale, battendo il precedente record detenuto da Federica Pellegrini). Specializzata nei 50 rana, Pilato ha avuto un anno di avvicinamento alle Olimpiadi non facile, segnato dalla scelta di trasferirsi dalla Puglia a Torino per allenarsi con Antonio Satta e puntare a fare risultati migliori anche nei 100. Una scelta tosta per una ragazza così giovane, e che sportivamente ha pagato solo in tempi recentissimi. Come ha ricordato Luca Soligo, il suo record italiano nei 100 è arrivato solo un mese fa, al Settecolli. Insomma, non è così strano che Pilato si sia commossa già per essersi qualificata a questa finale olimpica (dove, forse bisogna ricordarlo, si compete con le migliori nuotatrici di tutto il mondo), e che dopo la finale abbia detto che «un anno fa non ero nemmeno in grado di farla questa gara».

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La sua onestà e la sua commozione, però, ha lasciato sbigottiti i commentatori della Rai, già pronti al funerale per un’altra medaglia mancata. «Ma veramente?!», ha risposto sconvolta l’intervistatrice quando Pilato le ha detto che quello era stato il giorno più bello della sua vita. «Ci lasci un po’ senza parole, è strano vederti contenta perché tutti si aspettavano di vederti sul podio». Dell’intervista di Pilato si è parlato anche dopo le gare, quando di nuovo Elisa Di Francisca è voluta intervenire sul tema, definendola «surreale». «Io non ci ho capito niente: non so se ci fa o se ci è», ha detto in maniera sprezzante Di Francisca, che ha visto nella gioia di Pilato quella mancanza di cattiveria agonistica che in Italia è la soluzione ad ogni problema. Non lo dico tanto per dire: la stessa Di Francisca aveva detto praticamente le stesse cose tre anni fa, commentando i risultati magri della scherma alle Olimpiadi di Tokyo. «Cipressa non è all'altezza per essere il CT del fioretto: lo dicono i risultati», aveva detto in quell’occasione, «Serve una personalità più forte. A Londra con Cerioni come CT prendemmo tre ori e 5 medaglie. Io non so se Stefano sia disponibile a tornare, ma lui sarebbe il più indicato a ricoprire quel ruolo». È ironico leggerlo oggi che abbiamo negli occhi le immagini di Cerioni che urla contro gli arbitri.


Ancora, non voglio puntare il dito contro Elisa Di Francisca, che poi ha comunque telefonato a Pilato per chiarirsi: commentare a caldo è un compito ingrato. Come detto, però, le sue parole sembrano risuonare dell’isteria collettiva di cui, se avete seguito le Olimpiadi, probabilmente vi sarete già accorti. Le polemiche che hanno riguardato la scherma e il nuoto, infatti, sono solo le ultime in ordine di tempo, dopo quelle che hanno riguardato anche la boxe e il judo, dove Odette Giuffrida è rimasta a mani vuote dopo non aver subito nemmeno un punto in tutto il torneo olimpico. Grazie a noi le polemiche arbitrali sono riuscite ad arrivare anche in uno sport di antichissima tradizione giapponese.

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La sensazione è che, dopo anni in cui medaglieri magri venivano commentati con severità istituzionale, l’exploit alle Olimpiadi di Tokyo abbia cambiato la prospettiva sullo sport olimpico italiano, dove adesso sembra che la vittoria ci debba appartenere di diritto. È una dinamica tossica che abbiamo già sperimentato con Sinner dal momento in cui ha vinto il primo Slam ed è diventato numero uno al mondo, e che adesso in maniera perversa segnala la crescita del cosiddetto movimento in altri sport in cui non siamo abituati a vincere (e quindi anche a perdere), come per l’appunto il nuoto e l’atletica. Viene da chiedersi cosa dovrebbe succedere se medaglie che sentiamo ormai nostre, come quelle d’oro nei 100 metri piani maschili o nel salto in alto, non dovessero arrivare. I commenti ottimisti che abbondavano prima dell’inizio di queste Olimpiadi, per cui non era così impossibile superare le 40 medaglie ottenute in Giappone, sembravano come darle per scontate. Ma alle Olimpiadi, come in qualsiasi altro evento sportivo di alto livello, non c’è nulla di scontato nella vittoria di una medaglia d’oro. E questo vale ancora di più per l’Italia in discipline come l’atletica e il nuoto.


Forse l’aspetto peggiore di queste polemiche è proprio quello di farci perdere di vista la crescita delle nostre Nazionali in questi sport, che è chiaro al di là di quale sarà lo stato del medagliere l’11 agosto. Nel nuoto e dell’atletica - che contestualmente sono proprio i due sport che mettono le basi per un buon medagliere - l’Italia sta portando due tra le Nazionali più forti della propria storia e anche nella scherma ha fatto il solito ottimo lavoro qualificando le sue squadre in tutte le sei specialità e partecipando con il numero massimo di atleti permessi: 24. Nel nuoto, dove non abbiamo la stessa tradizione, questo lo si sta vedendo anche al di là delle medaglie d’oro di Ceccon e Martinenghi. Insomma, lo stesso quarto posto di Pilato assume un sapore diverso se si pensa che in tutta la storia del nuoto italiano le donne in grado di mettere le mani su un bronzo olimpico sono state appena tre (Novella Calligaris, Martina Grimaldi e Simona Quadarella, quest’ultima appena tre anni fa). Pilato è arrivata ad appena un centesimo di secondo dal diventare la quarta, a 19 anni, dopo aver iniziato a puntarci davvero solo da un paio d’anni: obiettivamente, perché non dovrebbe ridere di gioia? A Los Angeles 2028, se non avrà problemi fisici rilevanti e la sua crescita andrà come previsto, potrà puntare all’oro, e nel caso dovesse succedere diventerebbe appena la seconda donna a riuscirci in tutta la storia del nuoto italiano (a meno che non arriveranno buone notizie già da queste Olimpiadi). La prima, Federica Pellegrini, è considerata giustamente una delle più grandi atlete italiane di tutti i tempi.


La buona notizia è che gli atleti italiani sembrano gestire la sconfitta molto meglio di buona parte dei giornalisti, dei dirigenti e persino degli allenatori che gli girano attorno. Benedetta Pilato ha reagito al suo quarto posto con l’onestà che abbiamo raccontato; Filippo Macchi ha scritto su Instagram che “conosco entrambi gli arbitri, non mi viene da puntare il dito contro di loro e colpevolizzarli del mio mancato successo”; Odette Giuffrida, con uno stoicismo di ferro, ha dichiarato che «se il Signore ha voluto così, c’è un perché a tutto: io ho dato tutto me stessa, non ho rimpianti e avrò il tempo per metabolizzare quello che è successo oggi». Le loro parole, come ha detto il giornalista Valerio Piccioni, «hanno una percentuale di verità a cui non siamo abituati».

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D’altra parte, nessuno meglio di un atleta che ha perso per una singola stoccata, per un singolo «stronzo» centesimo sa quanto è fragile il confine che divide la vittoria dalla sconfitta. E se loro riescono ad accettarlo con questa serenità, perché non possiamo farlo anche noi, che non ci stiamo giocando niente?

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