A metà inoltrata del quarto set della prima semifinale dell’europeo, l’Italia sta conducendo 17-13 dopo essere andata avanti 2-1 nel conto dei parziali. Miriam Sylla, la capitana della Nazionale, ha appena murato Ardem con un’assistenza puntuale a Danesi, che poi dai 9 metri trova l’ace che sembra aprire alle azzurre le porte della seconda finale consecutiva contro la Serbia. Nel 2021 la selezione di Davide Mazzanti era stata capace di battere a Belgrado le padrone di casa grazie a una partita dai toni epici, in un palazzetto ammutolito dalla perentorietà degli attacchi di Egonu e dall’onnipresenza di Sylla.
Una gara, quella giocata venerdì pomeriggio, dal peso paragonabile alla finale contro le campionesse del mondo, considerata la parabola ascendente del movimento turco, che da una decina d’anni domina le competizioni per club (ha vinto 9 delle ultime 12 edizioni della Champions League) ed è in cerca di una legittimazione anche con la nazionale, dopo la Nations League vinta in luglio e la medaglia d’argento agli europei del 2019. La semifinale era stata preceduta da un percorso che possiamo definire interlocutorio per le azzurre: ormai è talmente profondo il gap che hanno scavato Italia, Turchia e Serbia dal resto d’Europa, che è difficile pensare che non arrivino in fondo a una manifestazione continentale, sempre che non si affrontino prima.
L’Italia ha quindi superato in scioltezza un girone che non poteva presentare insidie, allungando la striscia di 3-0 anche agli ottavi contro la Spagna e ai quarti con la Francia, due sfide in cui però la formazione di Mazzanti a tratti ha sofferto in ricezione e di conseguenza nella gestione del cambio palla. Sono stati i primi segnali che hanno sollevato dei dubbi sulla sostenibilità di una formazione che in seconda linea si regge su un equilibrio molto sottile.
Eppure nel primo momento davvero significativo dell’europeo, la Nazionale ha saputo alzare la qualità delle ricostruzioni, l’attenzione nelle coperture, le letture a muro e il peso del suo contrattacco. È un sestetto a cui Mazzanti ha sempre chiesto tanto alle sue schiacciatrici, il vero ago della bilancia per la tenuta di questa squadra. In Serbia Sylla e Pietrini hanno giocato una fase finale sublime, ma in seconda linea potevano contare sul miglior libero del mondo, Monica “Moki” De Gennaro, che il commissario tecnico non ha più convocato dopo il mondiale dello scorso anno, preferendo la più giovane Fersino. De Gennaro, oltre alla qualità eccelsa nei fondamentali di competenza, è sempre stato il riferimento nell’organizzazione delle spaziature e delle competenze, oltre che la palleggiatrice aggiunta in fase break. Una leader tecnica ed emotiva, che il tecnico ha accantonato perché voleva «ridefinire i miei argini perché nel mio concetto di libertà ne avevo bisogno. Le scelte di un allenatore mixano aspetto caratteriale e tecnico, un po’ ispirandomi a quello che ha fatto Fefè» (De Giorgi, l’allenatore della nazionale maschile, che due anni fa ha compiuto una cesura netta lasciando a casa per gli europei veterani come Zaytsev, Juantorena e Colaci, nda).
Sono parole neanche troppo ambigue, che lasciano intendere che chi è rimasto a casa ha in qualche modo messo in dubbio il ruolo del selezionatore. Mazzanti ha aggiunto che si tratta di un gruppo pensato in funzione anche delle olimpiadi del 2024, quando De Gennaro avrà 38 anni, contro i 24 di Fersino. Una scelta molto forte, ma che in chiave anagrafica appare comprensibile: il libero di Novara, che si era già messo in evidenza nella Nations League del 2021, è una delle migliori espressioni dell’A1. Un ottimo difensore, che nell’ultima stagione oltretutto ha ritoccato di 5 punti la percentuale di ricezioni perfette (dal 46 al 51%).
Un paio di highlights dei play-off di De Gennaro, nella semifinale di Novara in cui ha affrontato la stessa Fersino. Anche a 37 anni “Moki” è un’istituzione del ruolo.
Eppure in questo europeo Fersino non ha brillato in questo fondamentale, anzi negli ottavi di finale contro la Spagna era pure partita in panchina, salvo poi entrare alla fine del primo set al posto di una Parrocchiale che non aveva saputo dare maggiore stabilità alla ricezione. L’influenza del libero di Novara contro la Turchia è cresciuta, dimostrandosi presente nelle coperture ed esaltandosi difesa dopo difesa, specialmente nel terzo set in cui ha tolto l’ossigeno alle attaccanti avversarie tirando su 5 palloni.
La Nazionale che avrebbe voluto Mazzanti
L’allenatore marchigiano ha portato avanti più di una scelta impopolare, che ha definito l’identità di questa formazione: rinunciando anche alla miglior banda ricevitrice del campionato, Caterina Bosetti – un’altra delle protagoniste di questo ciclo – l’ha scientemente sbilanciata sui “fondamentali da punto”, come li chiama lui. Il tutto malgrado Bosetti venisse da un’annata più brillante in attacco di giocatrici sulla carta più preposte di lei, come le stesse Pietrini e Sylla (rispettivamente 34% e 32%, contro il 37 di Caterina). Mazzanti voleva puntare su una squadra più incisiva al servizio e soprattutto a muro, dove la presenza di Ekaterina Antropova ha aggiunto una nuova dimensione alla prima linea.
Nata in Islanda da famiglia Russa, Antropova è un’opposta di 20 anni che ciò nonostante ha già disputato tre stagioni in A1 da titolare. Alta 203 centimetri, un’altezza fuori scala per la pallavolo femminile, specie per un’attaccante di palla alta (misura esattamente come l’opposto della maschile Yuri Romanò, per dire), l’opposta classe 2003 ha ottenuto la cittadinanza italiana soltanto il 10 agosto. Eppure Mazzanti non ha esitato a lanciarla titolare – anche senza averla provata in partite ufficiali - al posto di Egonu.
L’apice dell’opposta di Scandicci nella passata a stagione, i 30 punti realizzati in semifinale di gara-1 contro Milano.
La nuova opposta di Milano, che dopo l’ultimo mondiale aveva pensato di lasciare la nazionale, in luglio è tornata assieme ad altre big che hanno saltato la VNL, come Orro, Pietrini e Lubian (a tal proposito, un allenatore dell’esperienza di Giovanni Caprara ha spiegato come secondo lui due mesi di vacanza concessi a diverse giocatrici dal suo punto di vista siano "un po’ troppi").
Si è parlato tanto nell’ultimo anno dei rapporti tra Mazzanti e le sue giocatrici più carismatiche, e in particolare dei presunti screzi tra l’allenatore marchigiano ed Egonu (il Corriere ha parlato di uno «spogliatoio che non digeriva più le piccole-grandi concessioni fatte all’opposta»), sta di fatto che dopo il confronto in aprile tra le parti l’ormai ex Vakifbank Istabul è stata richiamata, ma solo come cambio di Antropova.
Mazzanti è stato sollecitato più volte sulla possibilità di schierare insieme le due opposte, magari spostando “Kate” in posto 4. Per quanto l’allenatore abbia ammesso che la giocatrice di origine russa ha un buon piano di rimbalzo in ricezione, significava dover lavorare e adattare in una manciata di giorni una giocatrice che nel club ha sempre attaccato da posto 1-2, con un equilibrio tra prima e seconda linea tutto da inventare. Alla fine ha optato quindi per un sestetto più canonico, con una sola opposta in campo.
«Ho chiesto la sua disponibilità a fare questo percorso e secondo me dobbiamo arrivarci - ha detto Mazzanti l’esclusione sull’esclusione di Egonu - abbiamo parlato tanto con Paola di quello che vuole vivere in Nazionale e di quello che ci aspettiamo da lei». Egonu del resto è una giocatrice che ha sempre monopolizzato la distribuzione e l’allenatore aspirava a una squadra più imprevedibile, che anche con ricezione nei 3 metri e mezzo fosse in grado di attaccare dal centro della rete. «Il nostro obiettivo è avere 4 possibilità (4 palle diverse, ndr) per ogni azione fra cui scegliere» ha raccontato prima dell’ottavo con la Spagna e della volontà di mutuare alcuni concetti del maschile, avvalendosi proprio di collaboratori che allenano nel maschile, come Daldello e Petrella. «Abbiamo notato che certe situazioni di pipe e primo tempo potevano essere copiate e portate nel mondo femminile. È un discorso che riguarda prima i palleggiatori, poi i centrali e alla fine anche le schiacciatrici. E il lavoro è partito dalle palleggiatrici che hanno avuto il carico maggiore in palestra».
Dimostrazione pratica: Orro ha palla in testa e può coinvolgere ognuna delle 4 attaccanti in campo.
La precarietà di questa Nazionale
Alessia Orro è una palleggiatrice molto creativa e dinamica negli spostamenti, con buona capacità decisionale. Il suo palleggio spesso ha smarcato le attaccanti, il problema semmai è stata la precisione del tocco e il relativo timing con le attaccanti. Se con le laterali ha raggiunto un buon compromesso (Pietrini vuole una palla alta e spinta, le opposte una più lenta mentre Sylla ha bisogno di entrare in ritmo con un’alzata non troppo vicina all’asticella, che le dia tempo di dare sfogo alla rincorsa), il gioco centrale non ha funzionato con continuità. La palleggiatrice ha insistito con la pipe per la schiacciatrice di posto 1-6, ma considerato che si tratta di una palla più rapida, il margine di errore aumenta e in più di una circostanza la banda non ha potuto attaccare a tutto braccio. Stesso discorso coi primi tempi spostati: Danesi e Lubian (che nell’ultimo anno ha vinto il ballottaggio con l’infortunata Fahr e l’ex capitana Chirichella, neanche convocata) progressivamente sono rimaste più vicine all’alzatrice, soprattutto Lubian che dopo l’exploit della seconda partita con la Svizzeria ha avuto più difficoltà a passare con la fast.
Contro la Turchia Orro ha dovuto gestire una ricezione sempre più precaria e di conseguenza con un margine di manovra sempre più ridotto: l’Italia ha chiuso con un misero 16% di ricezione perfetta e 34 di positiva; la formazione di Santarelli, che in linea teorica avrebbe dovuto soffrire di più il servizio per via di un sestetto con due opposte in campo contemporaneamente, Vargas e Karakurt, ha totalizzato il 36% solo di rice perfetta.
Ma il vero elefante nella stanza non poteva che avere la forma affilata di un’icona come Egonu, e relativa gestione da subentrante di lusso. Al di là del malore accusato al termine della gara d’esordio con la Romania, l’opposta veneta è subentrata in ogni gara (a parte quella con la Bosnia, che ha giocato da titolare a causa di un infortunio agli addominali patito da Antropova) sulla battuta di Antropova al posto di Orro per alzare il muro e completare tutto il giro davanti fino al suo turno al servizio (contestualmente dopo la battuta Ekaterina lasciava il posto alla seconda palleggiatrice Bosio per completare il doppio cambio). Contro Svizzera nel girone e Francia i suoi ingressi hanno fatto la differenza, anche se da fuori rimane un’esclusione difficile da comprendere.
La delicatezza con cui finge di attaccare a tutto braccio, salvo poi accarezzare la palla.
Certo, Antropova ha un piano di rimbalzo a muro, un’attenzione in difesa e un’affidabilità al servizio persino superiori – almeno in termini di continuità – rispetto a Egonu, ma il peso offensivo oggi non è paragonabile. Antropova ha viaggiato su ottime percentuali fino ai quarti di finale (55,3% e una media di 15,8 punti a gara), ma al primo big match della sua carriera ha dimostrato di essere fisiologicamente acerba: come ha ammesso lei stessa, deve lavorare sulla manualità, ma anche sulla varietà dei palloni attaccati e sulle direzioni degli stessi (non ha problemi ad attaccare sugli 8-9 metri, ma ancora è meno propensa a chiudere i colpi).
Il saliscendi della semifinale
L’Italia ha creato lo strappo decisivo nel primo set anche grazie al suo opposto di riserva: con Egonu in campo la nazionale ha compiuto un parziale di 11-4 (da 13-14 a 24-18), a cui ha contribuito con due attacchi punto e un turno al servizio da 4 battute (di cui un ace e “mezzo”), che ha condotto le azzurre sul set point. L’ex Conegliano è rientrata nuovamente a inizio secondo set con la Turchia avanti 3-7 al posto di un Antropova a cui le vincitrici della VNL (2/9 e 3 muri subiti) stavano difendendo la “sua” palla verso posto 6-5. Egonu si è connessa con la partita come se non avesse mai perso il posto da titolare, iniziando a trovare i suoi angoli sulla diagonale stretta indifendibili. Una presenza che ha elevato ulteriormente una gara già di altissimo livello, una sorta di finale anticipata.
Nella Turchia ci ha messo un po’ prima di entrare in ritmo Melissa Vargas, l’opposta cubana naturalizzata turca nel 2021, anche lei tra le migliori al mondo nel suo ruolo, ma la formazione di Santarelli ha ricevuto molto bene per almeno 4 set, riuscendo a coprire l’altra opposta, Karakurt - che in alcuni giri dietro è stata sostituita da Aykac - grazie a una partita sublime del libero Orge (50% di rice++ su 18 palloni) e dell’altra banda, Hande Baladin, con un ottimo 38% di doppio positiva su 37 palloni ricevuti. La schiacciatrice dell’Eczacibasi ha avuto una cattiva giornata in attacco (appena 6 punti su 21 attacchi e 4 murate), ma è troppo importante per l’equilibrio complessivo. Santarelli sembra aver costruito un sistema di contrappesi che si basa in primis su una ricezione costantemente nei 2-3 metri, che rende credibile il gioco al centro (Erdem e Gunes entrambe in doppia cifra) e permette a sua volta di liberare Karakurt e Vargas, le cui fiammate sono in grado di piegare l’inerzia del set. Anche l’opposta di Novara ha giocato una gara incostante, ma quando si è accesa con la sua esuberanza un po’ scomposta e un po’ provocatoria ha fatto la differenza: nel secondo parziale ha firmato 8 punti su 13 attacchi, contribuendo al +6 di inizio set (3-9) che sarà determinante per tenere in partita la sua squadra.
A proposito delle provocazioni di Karakurt...
È stato uno dei tanti momenti in cui la ricezione avversaria è saltata: in particolare l’Italia si è arenata sulla P5, con Sylla in 1 di fianco a Pietrini, che hanno commesso un errore a testa sulla jump float di Baladin. Le due bande sono state pizzicate in ricezione anche su servizi non particolarmente insidiosi, come quelli delle centrali, fidandosi poco del bagher laterale e dimostrando un po’ troppa rigidità nel colpire la palla mentre andavano in arretramento. Le campionesse uscenti però hanno saputo uscire dalla buca, ripartendo dal cambio palla e recuperando i break nella parte finale del parziali con la battuta di Lubian prima ed Egonu poi (dal 17-22 al 22-23). L’Italia sul 23-24 avrebbe avuto pure la palla per andare ai vantaggi, ma dopo due difese su una Karakurt indemoniata Pietrini ha subito la murata di Gunes (22-25).
Pietrini e Sylla però, per almeno tre set e mezzo, sono riuscite a giocare sopra le difficoltà create dalla ricezione, attaccando spesso con muro piazzato e usando le mani delle turche a proprio vantaggio. Un torneo in crescendo, quello di Pietrini, culminato con una prestazione maestosa in attacco venerdì (53% su 32 attacchi, di cui 7 break point), impreziosita dal lavoro difensivo dietro e fuori dal muro. Più in generale nei set vinti dall’Italia, il primo e il terzo, ma anche in parte del secondo, abbiamo visto concretizzarsi l’idea di Mazzanti: una Nazionale che accetta di giocare con ricezione staccata e vuole dominare grazie alla qualità della fase break in ogni suo fondamentale. Raramente abbiamo visto le azzurre così efficaci al servizio (con 2,3 ace/set è la formazione con la media più alta della manifestazione) e a muro (le due rotazioni con Danesi e Antropova in prima linea hanno rappresentato una sentenza in ogni partita dell’europeo), ma ha stupito ancora di più l’organizzazione del muro difesa e dei contrattacchi, che paradossalmente contro avversari più abbordabili era apparso meno ordinato incisivo, specie nella gestione del secondo tocco con Orro fuori causa.
Nel terzo l’Italia ha vinto con 10 punti di vantaggio e anche nel quarto, nonostante il livello complessivo si sia visibilmente abbassato, sembrava aver anestetizzato la Turchia. Invece Vargas, che per tre set abbondanti era stata egregiamente controllata da Danesi, ha avuto la lucidità di cambiare la traiettoria dei suoi colpi. Come ha fatto notare la commentatrice Rai Giulia Pisani, anziché chiudere sulla diagonale, l’opposta del Fenerbahce ha iniziato a passare più alto, verso posto 6-5, e in questo modo si è caricata le sue compagne sulle spalle, ricucendo il 17-13 per le azzurre grazie a 6 attacchi punto nella seconda parte del parziale, a cui aggiungere l’ace del 22-24. Prima di lei era stata Karakurt a trovare un’altra battuta vincente sulla linea (19-20), in mezzo un altro passaggio a vuoto di Sylla sulla float di Gunes, con una ricezione da 6 nell’altro campo e poi una fuori dai 3 metri.
Un altro turning point della semifinale, l’attacco out di Egonu sul 19-20.
La capitana si è presa tante responsabilità in questa gara (troppe?), accumulando diversi eventi positivi e fornendo quell’apporto intangibile in termini di energia ed emotività imprescindibile per questa squadra, ma ha ricevuto tanto e male, 42 palloni con uno striminzito 17% di perfezione. Mazzanti ha provato a cementare la ricezione inserendo a più riprese un libero come Parrocchiale al posto di Pietrini, un’altra schiacciatrice leggera in questo fondamentale, ma a posteriori sarebbe servita per dare respiro alla schiacciatrice di Milano una banda specializzata in ricezione e difesa, anziché giocatrici come Degradi e Omoruyi ridondanti per caratteristiche rispetto alle titolari.
Anche quando era in prima linea, Sylla ha provato a coprire Pietrini nelle zone di conflitto.
Oltretutto Sylla nel quarto è calata pure in attacco (-1 di efficienza), come la stessa Orro, che è arrivata all’epilogo di questo set spompata e ha finito per trascurare le centrali, anche nelle rare occasioni con rice perfetta, sovraccaricando Egonu (che tra quarto e quinto set ha accumulato 4 errori) e appoggiandosi alla schiacciatrice di prima linea con la ricezione spostata verso 5. Al tie break l’Italia pareva ancora ferma al set precedente e dal 5-5 ha subito un 1-10 sconfortante per l’arrendevolezza delle nostre e la rapidità con cui è maturato. La Turchia ha affondato i suoi attacchi come una lama del burro e si è portata a casa il primo scalpo prestigioso in una competizione rilevante.
L’Italia invece ha giocato la miglior partita del suo europeo, ma non è bastato per tornare in finale. È vero che in questo 2023 l’obiettivo primario era e rimane il torneo di qualificazione alle olimpiadi, che partirà tra due settimane, a metà settembre, però questa sconfitta allunga l’elenco delle occasioni sprecate per questo ciclo, che dopo l’exploit ai mondiali del 2018 è tornato a disputare una finale per l’oro soltanto due anni fa.
Se ai giochi olimpici di Tokyo e all’ultimo mondiale la Nazionale è stata messa in crisi da avversari superiori, che hanno messo a nudo dei limiti difficilmente insormontabili, stavolta, più che la forza della Turchia, sono state le scelte stilistiche di Mazzanti a indirizzare il percorso di questo gruppo. In una gara di inerzia, come l’ha definita l’allenatore marchigiano durante un time out, che ha cambiato padrone almeno 4 volte, ma oggi - andando oltre il risultato finale - non possono che accrescere i dubbi sulla futuribilità di una squadra così instabile in ricezione, a maggior ragione se li trasliamo in prospettiva Parigi 2024, in cui l’Italia si misurerà anche con le potenze extraeuropee. Ma innanzitutto bisognerà chiarire il ruolo di Paola Egonu in questo gruppo. Perché se l’Italia è tornata a sedersi al tavolo delle grandi del volley mondiale, lo deve anche al talento di una delle giocatrici più forti al mondo.