L’Europeo Under 17 rappresenta la vetrina ideale del lavoro a livello giovanile delle federazioni. Ogni anno si affrontano 16 tra le migliori scuole d’Europa e in campo possiamo vedere i migliori talenti delle varie annate. Quest’anno era il turno dei nati dopo il primo gennaio 2002 e si giocava in Irlanda.
Per il secondo anno consecutivo l’Italia ha raggiunto la finale, e per il secondo anno si è giocata il titolo contro l’Olanda, e per il secondo anno consecutivo è stata sconfitta. Nel 2018 l’Olanda ha vinto ai rigori, quest’anno ha spazzato via l’Italia in una finale dominata dal primo minuto e vinta poi per 4-2, dopo un primo tempo chiuso con un 3-0 di vantaggio.
Per l’Olanda è chiaramente un periodo d’oro: la selezione Under-17 nelle ultime 23 partite ha perso solo contro la Francia nell’ultima partita dei gironi, a qualificazione già ottenuta. Alcuni dei talenti della squadra che lo scorso ha vinto si stanno già affacciando ai professionisti, come i centrocampisti Ryan Gravenbergh e Wouter Burger che hanno già esordito con Ajax e Feyenoord o il rifinitore Mohammed Ihattaren che ha addirittura giocato una dozzina di partite col PSV. In questo senso però anche l’Italia non è da meno, visto che della formazione finalista agli scorsi Europei Under-17 ci sono giocatori come Alessio Riccardi della Roma e Paolo Gozzi della Juventus, che hanno già debuttato in prima squadra.
Purtroppo la natura stessa del calcio giovanile ci dice che solo una piccola parte dei giocatori che rappresentano l’élite della propria annata riusciranno a far parte anche di quella dei più grandi. Perché se anche la Nazionale l’Under-17 rappresenta la crema del lavoro fatto nei settori giovanili italiani, i numeri ci dicono che solo una parte di chi partecipa a questi Europei avrà poi un futuro in Serie A. Ovviamente i fattori sono diversi, ma questo rende l’idea di quanto sia realmente difficile il percorso verso l’élite per un calciatore: non basta neanche essere tra i migliori giocatori della propria generazione per essere sicuri di farne parte in futuro.
Qualcosa è cambiato
Facciamo un esempio vicino. L’Italia Under-17 ha raggiunto la finale dell’Europeo nel 2013, perdendo solo ai rigori contro la Russia. Parliamo dell’annata 1996, giocatori che ora hanno 22-23 anni e teoricamente una carriera da professionisti avviata.
Bene, al momento dei 18 iscritti alla finale hanno giocato in Serie A in questa stagione in 6: Audero, Scuffet, Dimarco, Calabria, Cerri, Parigini e Calabresi. Prendendo chi ha giocato la finale ci sono giocatori come Capradossi, Pugliese, Tutino, Vido e Bonazzoli che hanno giocato questa stagione in Serie B e Pugliese, Palazzi, Sciacca, Steffè e Di Molfetta in Serie C. In ogni caso ci saranno quasi sicuramente, in questa Nazionale Under-17 dell’annata 2002, giocatori che vedremo in Serie A tra qualche anno, ma va ricordato che per molti giocatori della rosa finalista di quest’anno questo Europeo Under-17 sarà il ricordo più bello della carriera più che il punto d’inizio.
Fatta questa premessa bisogna anche riconoscere che il talento di questa generazione pare superiore alla precedente. Se lo sviluppo del talento può avere un fattore casuale, non lo è certo il lavoro dei tecnici della FIGC e la Federazione, che stanno facendo un ottimo lavoro a livello di selezioni giovanili. Le varie selezioni sono coordinate da Maurizio Viscidi e sono riuscite a creare un’identità condivisa, sia nei giocatori scelti, che dal punto di vista del gioco espresso, in cui sono riconoscibili in campo princìpi di gioco in comune.
Manca sicuramente un risultato finale che possa portare alla ribalta il lavoro fatto, ma visti i traguardi raggiunti negli ultimi anni (negli ultimi quattro anni ci sono 2 terzi posti e 3 secondi posti a livello di Under-17, 19, 20 e 21), è evidentemente che la strada intrapresa è quella giusta. Per dire, nel suo percorso fino alla finale l’Italia di Carmine Nunziata ha battuto in sequenza Germania, Austria, Spagna, Portogallo e Francia. Cioè almeno tre candidate alla vittoria finale. Con lo stesso percorso in questo torneo l’Italia si è anche qualificata per i Mondiali Under-17 che si terranno in Brasile quest’autunno. A breve inoltre inizieranno i Mondiali Under-20, in cui l’Under-19 finalista all’Europeo di categoria la scorsa estate si è qualificata. L’Italia a livello giovanile, insomma, è tornata tra le grandi.
Come gioca l’Italia Under-17
Tolta la terza partita del girone, con l’ampia rotazione di uomini contro la Spagna, l’unico grande cambiamento dell’Italia durante il torneo è stato quello di spostare in avanti nella semifinale e nella finale il centrocampista Franco Tongya, che aveva giocato mezzala sinistra (pur essendo destro), portando Simone Esposito a partire attaccante invece che sulla trequarti e il terzino sinistro Iyenoma Destiny Udogie come mezzala sinistra. L’Italia ha affrontato la finale con il caratteristico rombo a centrocampo: il capitano Simone Panada come vertice basso, Tongya come vertice alto e Udogie e Michael Brentan come mezzali. Davanti la coppia formata da Esposito e Nicolò Cudrig e in difesa davanti al portiere Marco Molla una linea a quattro con Lorenzo Pirola e Christian Dalle Mura centrali e Lorenzo Moretti e Francesco Lamanna terzini.
Lo schieramento della finale con ben visibile il rombo simbolo delle selezioni Under italiane disegnato in campo.
La strategia dell’Italia vista in questo Europeo è stata di volta in volta aggiustata sul tipo di squadra che si è andata ad affrontare: il talento medio a disposizione era alto e i giocatori hanno avuto la giusta personalità per intraprendere diversi registri di gioco, abbassando o alzando il baricentro e cercando di più o di meno il possesso del pallone per ordinarsi e diventando più o meno verticale.
Quando l’avversario è stato ritenuto fisicamente e tecnicamente di caratura superiore. come nel caso di Francia e Olanda, l’Italia ha utilizzato un baricentro basso e una grande ricerca della verticalità nella fase di transizione offensiva, provando a colpire gli avversari immediatamente dopo il recupero, ricorrendo anche al filtrante se può tagliare una linea intera, provando quindi ad arrivare anche con pochi passaggi in verticale alla punta spalle alla porta.
Da lì la punta si può appoggiare al compagno vicino che è fronte alla porta; se fallisce il controllo la squadra attacca la seconda palla, per riconquistarla o mettere comunque pressare l’avversario. In questo Europeo l’Italia ha fatto la differenza soprattutto in un aspetto tradizionale del nostro gioco, ovvero la difesa posizionale, che ha tradito solo in finale - l’unica partita in cui la squadra ha subito più di una rete.
Ma era un’Italia che sapeva giocare col pallone. Quando ha avuto lo spazio per iniziare la sua manovra dal basso si sono visti alcuni princìpi chiari comuni anche ad altre versioni: come lo scaglionamento su più linee con un rombo a centrocampo fluido nella posizione degli interpreti, quello che è ormai un marchio di fabbrica tutti italiano.
Il rombo permette di avere sempre giocatori vicini e più linee di passaggio e almeno tre giocatori che si muovono per allungare la difesa avversaria e fare spazio per la salita dei centrocampisti. Nell’avanzamento della manovra c’è sempre la ricerca dell’uomo dietro la linea di pressione, con gli attaccanti che partecipano molto al gioco sia di sponda che con i movimenti senza palla. Il ruolo chiave delle formazioni giovanili italiane è quello del trequartista, che deve sfruttare il lavoro coordinato delle due punte quando la palla supera il centrocampo (una che gioca di sponda e l’altra che da profondità) per ricevere fronte alla porta e da lì scegliere se arrivare lui alla conclusione o sfruttare la salita di una delle mezzali premiandone i movimenti tra le linee.
Più che un giocatore di raccordo, il trequartista è stato il giocatore che ha definito la manovra, declinato sia nella versione più offensiva con l’attaccante Sebastiano Esposito, che in quella più dinamica con Alessandro Arlotti e soprattutto con Franco Tongya.
Tre giocatori da ricordare di quest’Italia
La mossa di spostare Tongya sulla trequarti a torneo in corso non ha portato alla vittoria finale, ma ha funzionato. Il centrocampista della Juventus è un giocatore dinamico e dall’indole associativa, che ha un ottimo mix di esplosività e versatilità tecnica. Schierato mezzala mostra una conduzione palla al piede che lo rende un vero box to box, in grado di scegliere il momento di strappare il pallone all’avversario e partire immediatamente in conduzione per spaccare in due gli avversari in piena transizione difensiva. Come trequartista diventa ancora più utile per la capacità di giocare il pallone in spazi ristretti e per l’apporto in fase di recupero del pallone e sulle seconde palle. Tongya permette insomma all’Italia di avere un rombo ancora più dinamico senza palla, che può anche risalire il campo palla a terra senza dover ricorrere alla verticalizzazione.
Proprio nel reparto offensivo sono stati schierati due giocatori già pronti per i professionisti, la stella della squadra Esposito e l’attaccante Nicolò Cudrig. Esposito lo abbiamo già visto esordire con l’Inter questa stagione in Europa League contro l’Eintracht Francoforte e le sue quotazioni si sono di certo alzate dopo questo Europeo. Esposito è stato a tratti dominante, con gli avversari incapaci di gestire un giocatore con un fisico già ben strutturato e con la migliore tecnica di calcio della manifestazione. Esposito è riuscito anche a segnare due punizioni, all’esordio con la Germania e in semifinale con la Francia. Ha chiuso il torneo con 4 gol e 2 assist, riuscendo a incidere quasi in tutte le partite.
Non ha segnato neanche un gol invece l’altro attaccante Nicolò Cudrig, ma in quanto ad apporto alla manovra è stato forse ancora più importante di Esposito per l’Italia. Cresciuto nell’Udinese, è passato la scorsa estate al Monaco, che in questa stagione l’ha prestato in Belgio al Cercle Brugge. Con un fisico da prima punta (con un’altezza attorno ai 185 cm), ha una tecnica messa al servizio di un’ottima percezione di ciò che succede in campo, cosa che lo porta ad essere un attaccante di manovra già maturo. Il suo compito principale è stato di raccogliere spalle alla porta le verticalizzazioni della squadra e ripulire il pallone per i compagni con sponde di prima o appoggi dopo lo stop. Non ha espresso al massimo la sua tecnica di calcio, ma quella al servizio della squadra sì: contro la Germania all’esordio è venuto a prendersi il pallone a centrocampo per lanciare in porta di prima il compagno di reparto Bonfanti (che però non è riuscito a segnare).
Cinque giocatori da ricordare del torneo
È stato un Europeo in cui la maggioranza delle squadre ha provato a sviluppare un calcio proattivo, ma in cui è forse mancata la stella assoluta. Per concludere abbiamo scelto cinque giocatori delle altre squadre da ricordare, così da potersi giocare tra qualche anno i nomi dicendo che li seguite da tempo.
Adil Aouchiche
Pur non avendo vinto, la Francia ha mostrato forse il più bel calcio insieme all’Olanda campione, grazie soprattutto al miglior centrocampo del torneo. Un triangolo con alla base il possente capitano Lucien Agoume e come mezzali due giocatori tecnici e dinamici in Enzo Millot e Adil Aouchiche. Quest’ultimo ha spiccato per importanza: Aouchice è diventato non soltanto capocannoniere del torneo, ma con 9 reti ha addirittura stabilito il record storico. Elegante con la palla, il giocatore del PSG non ha soltanto mostrato una tecnica di calcio e una freddezza fronte alla porta insospettabili, ma soprattutto delle letture senza palla con dei tempi di inserimento fuori scala. La sua visione periferica gli permette di sapere sempre dove muoversi e trovarsi nel posto giusto al momento giusto, spesso per concludere in porta partendo dalla seconde linee.
András Németh
In un torneo in cui tutti attendevano Fábio Silva del Portogallo (campione da protagonista della Youth League con il Porto) è mancato invece una vera a propria punta dominante. Tra le sorprese c’è stato di certo questo attaccante potente nella corsa e nel calcio. Sorprendentemente elegante con la palla, il ruolo di Németh era però quello di non fermarsi mai nei movimenti per far alzar il baricentro di una squadra reattiva, sfruttando un atletismo invidiabile e un fisico già sviluppato (ad occhio supera i 185 cm). Nato a Città del Capo da madre sudafricana e padre ungherese, è cresciuto in Ungheria prima di lasciarla nell’estate del 2016 per entrare nella famosa accademia belga del Genk. È stato la punta della squadra rivelazione del torneo, l’Ungheria è uscita solo ai rigori ai quarti contro la Spagna e, anche grazie ai 3 gol di Németh, ha chiuso il girone a punteggio pieno.
Mohamed Taabouni
La partita contro la Spagna risolta da un gol negli ultimi minuti di Taabouni.
Solo lo spagnolo Robert Navarro è riuscito a rivaleggiare in quanto a tecnica nella rifinitura e visione di gioco con il trequartista dell’Olanda. Taabouni è nato ad Haarlem, vicino Amsterdam, ma è cresciuto fuori dai grandi vivai olandesi, nell’AZ. Il fisico leggero, con cui sembra quasi piegarsi al vento, aumenta la sensazione di eleganza, rimanda comunque soprattutto della pulizia tecnica con cui tocca il pallone. Taabouni è un giocatore interessante anche nella testa, molto creativo e con una grande sensibilità col piede destro: ogni tocco di Taabouni sembra poter creare qualcosa per la sua squadra e in un'epoca in cui si parla di giocatori "standardizzati" e aridi nelle giocate non è affatto banale.
Jérémy Doku
Anche se il Belgio ha deluso le aspettative, fermandosi solo ai quarti contro l’Olanda e mancando poi la qualificazione al Mondiale Under-17 nello spareggio contro l’Ungheria, sono di Jérémy Doku le migliori azioni personali del torneo.
L’ala brevilinea dell’Anderlecht se ne va dall’Irlanda senza neanche un gol segnato e soltanto un assist servito, ma ha lasciato una sensazione di superiorità in conduzione impressionante: ricevendo sulla fascia sinistra (pur essendo destro) è stato semplicemente imprendibile nell’uno contro uno, per qualità tecnica nel dribbling e velocità di esecuzione. La vastità di repertorio dopo il primo controllo ha umiliato gli avversari che provavano ad intervenire. Nessuno nel torneo è riuscito a capire le sue intenzioni palla al piede.
Devyne Rensch
Rensch ha giocato un Europeo da sotto età (è nato nel 2003), ma dalle letture senza palla e dalla freddezza mentale con essa non si direbbe proprio. Rapido e reattivo nel breve, è stato perfetto per difendere con ampio campo alle spalle da dover coprire, l’ha fatto senza problemi, giocando sempre d’anticipo sugli attaccanti. Centrale ambidestro dalla tecnica di controllo del pallone e di passaggio sobria ma sicura, sempre a testa alta, dalla facilità con cui gioca la palla sotto pressione si vede che ha avuto un passato a centrocampo (da dov’è stato arretrato a centrale nell’Ajax). Non è stato neanche il centrale più vistoso col pallone - quello è stato il compagno Malayro Bogarde (nipote di Winston) - ma Rensch è stato sempre al posto giusto al momento giusto e non ha sbagliato nulla in tutte le fasi di gioco.