Da tre giorni era tornata di moda una delle parole che in Italia amiamo di più: biscotto. Un risultato concordato a priori tra due squadre a scapito di una terza squadra, violando ogni principio di etica sportiva. Ogni volta che la prospettiva di un biscotto si spalanca dinanzi alla Nazionale italiana ci pare assolutamente plausibile, anzi quasi scontata. Forse perché siamo così dentro una cultura dell’impiccio, dell’inciucio, che ci sembra assolutamente innaturale metterlo in pratica. Ci scandalizziamo preventivamente della cattiveria altrui, piangiamo la nostra onestà (“ci dicono tutti che siamo meschini ma alla fine siamo i più giusti, i più retti”), la paura di farci fregare - di sembrare fessi - ci divora più di ogni altra cosa, e sotto sotto accettiamo che sia il cinismo a regolare il mondo. L’unica legge dell’universo, e quindi anche del calcio.
Quasi sempre il biscotto, poi, non si consuma, e noi ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi.
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