Sembrava tutto apparecchiato per il terzo mondiale consecutivo della Polonia. C'era la mistica dell’albo d’oro a suo favore: l’Italia ne aveva vinti tre di fila tra il 1990 e il 1998, idem il Brasile tra il 2002 e il 2010, prima appunto dell’era polacca, inaugurata nel 2014 e proseguita nel 2018. Per di più si giocava in casa, un torneo condotto almeno fino alle semifinali in maniera imperiosa, dopo aver battuto per ben due volte gli Stati Uniti, nella fase a gironi e nei quarti, un’altra grande favorita di questa manifestazione. Eppure la semifinale vinta soltanto al tie break contro un Brasile attempato, in evidente difficoltà in attacco e a muro, aveva aperto qualche crepa sulla solidità e su quell’idea di imbattibilità che aveva trasmesso nel corso di questo Mondiale.
Ma al di là delle sofferenze contro i verdeoro, una nazionale capace di esaltarsi nella bagarre, la selezione di Grbic partiva piuttosto avanti nei pronostici: maggior varietà in attacco, una potenza di fuoco al servizio spaventosa, una presenza a muro imponente e una panchina più profonda. In più la tenuta mentale dell’Italia - che veniva da un Europeo vinto lo scorso anno – nella bolgia della Spodek arena di Katowice era tutta da scoprire. Gli azzurri erano chiamati a una gara perfetta anche solo per giocarsela alla pari, alzando in maniera sensibile la qualità della ricezione e mantenendo gli standard elevatissimi della fase punto ammirati nei quarti con la Francia (3-2) e in semifinale contro l’altra organizzatrice del mondiale, la Slovenia, regolata con un 3-0 sorprendentemente agevole. Ebbene, la formazione di De Giorgi, nella partita di gran lunga più impegnativa del suo ciclo, ha risposto con la sua miglior prestazione e una vittoria per 3-1, che nel quarto set pareva quasi una conseguenza scontata del controllo impresso dall’Italia su questa finale.
Come annullare l’attacco polacco
La Nazionale non poteva che costruire la sua partita sul muro difesa, il suo strumento più efficace per minare le certezze del miglior trio di palla alta della manifestazione. L’opposto Kurek e gli schiacciatori Sliwka e Semeniuk sono arrivati all’atto conclusivo attaccando tra il 53 e il 54%, domenica sera non hanno superato il 41%. Kurek, eletto miglior opposto del torneo, ha chiuso addirittura al 32%, con 7 punti e 6 errori, tanto che è stato cambiato due volte. Sliwka ha retto un set, poi si è sgonfiato fino a essere sostituito da Fornal. Ma anche il martello dello Jastrzebski Wegiel, che aveva deciso il quarto con gli USA è stato letteralmente azzerato (2 attacchi punto e 2 errori su 11 tentativi), mentre il neo acquisto di Perugia ha provato a resistere con qualche colpo estemporaneo e 11 attacchi vincenti.
Gli azzurri hanno dimostrato subito di poter rispondere colpo su colpo ai padroni di casa, in una finale che ha assunto presto la forma di un confronto logorante, a giocarsi ogni singolo punto come se fosse l’ultimo. Sotto la gestione De Giorgi abbiamo imparato ad apprezzare l’organizzazione del muro difesa, ma non era scontato aspettarsi la stessa continuità dal servizio. Certo, l’Italia ha sbagliato di più e ricavato meno dai 9 metri (3 ace e 18 errori, contro le 5 battute vincenti e le 15 sbagliate dalla Polonia), ma ha costretto Janusz a giocare costantemente con la ricezione fuori dai 3 metri.
Sliwka riceve nei 4 metri, Janusz è quasi obbligato ad aprire in 4 e Semeniuk si prende la murata sulla diagonale di Anzani.
Dopo aver messo in difficoltà nei quarti Grebennikov, si è ripetuta contro un altro dei migliori liberi in circolazione, Zatorski, il quale, pur provando ad ampliare la propria zona di competenza, specie quando riceveva da posto 6, ha fatto registrare un misero 5% di rice perfetta e un 42% di positiva (Sliwka ha fatto ancora peggio, 4% di rice++). Anche se ottiene pochi punti diretti, questa Nazionale si è confermata estremamente fastidiosa al servizio, con una pressione costante sia in salto spin – vedi i tre “mezzi ace” nel terzo - sia con la float di Lavia e Anzani, ugualmente preziosa nello staccare la ricezione da rete e rallentare il ritmo del cambio palla.
Parliamo di Giannelli e Lavia
L’Italvolley si è dimostrato subito applicato alla gara e impermeabile alle pressioni ambientali, tanto da riuscire ad allungare sul 21-17 grazie a un ace di Michieletto. Poi però si è bloccato sulla P6 e sulla P5, teoricamente due rotazioni favorevoli con Romanò e Lavia in prima linea, che però non sono stati più in grado di mettere giù un pallone, con uno 0/11 complessivo e un errore a testa, compreso il muro del 22-25 su Romanò. I polacchi nel primo parziale hanno letto bene l’opposto mancino (3/12), difeso sulla parallela interna e sulla diagonale verso posto 6-5 anche senza un muro troppo composto, mentre lo schiacciatore di Trento, dopo un inizio spumeggiante, si è fermato improvvisamente (5/11). La Nazionale, che nel corso del Mondiale non ha mai avuto un gioco troppo fantasioso – condizionato in parte dalla ricezione, in parte dal rendimento dei centrali – rischiava di essere condannata dall’aridità del suo cambio palla.
Invece è salito in cattedra Simone Giannelli, che ha fatto saltare i riferimenti del muro difesa avversario ripristinando la pipe che nella VNL aveva funzionato egregiamente: il capitano ne ha giocata una nel primo parziale, ma 8 nei successivi 3. Ma il palleggiatore ha brillato in ogni fondamentale, confermando il proprio peso emotivo nell’ennesima finale della sua lunga carriera, nonostante abbia “solo” 26 anni.
Qui Giannelli spalanca un’autostrada a Lavia per il contrattacco in pipe.
Giannelli ha preso per mano la sua squadra e persino risolto da sé gli scambi più concitati, con 10-attacchi-10 e 5 punti, che diventano 7 se si aggiungono i due ace nel secondo set. Negli ultimi tre parziali ha provato a coinvolgere i centrali, da cui ha ottenuto risposte altalenanti (4/10 Anzani, 0/3 Galassi e 1/3 dal suo sostituto Russo), ma che sapeva essere fondamentali per inchiodare i centrali avversari e liberare il trio di palla alta. In altre parole, ha saputo rendere imprevedibile la distribuzione malgrado una gamma di uscite limitata. Il suo più grande merito nel corso del Mondiale è stato aver trovato una buona intesa con Romanò, cercandolo prima soprattutto con palla in testa, poi anche con ricezione spostata sulla parte sinistra del campo, finché l’opposto non è diventato la seconda opzione più affidabile in palla alta.
Romanò ha attaccato con un buon 47,67%, esplorando progressivamente il suo repertorio, inclusa la parallela interna e il mani fuori, impreziositi da un’ottima continuità negli altri fondamentali. Non solo a muro e al servizio, anche in difesa si è sacrificato come terzo di rete in copertura. Ma l’uomo copertina, assieme all'MVP del torneo Giannelli, si chiama Daniele Lavia, il quale avrebbe meritato a sua volta una nomination nel sestetto tipo del torneo. Nell’ultima stagione a Trento è cresciuto in maniera esponenziale, facendo la differenza anche da finto opposto, nelle fasi finali si è trasformato nel riferimento sui palloni più impiccati, risolvendoli con una naturalezza clamorosa per uno schiacciatore che ancora non ha compiuto 22 anni. Lavia ha camminato sulle acque in queste due settimane, giocando al livello dei top mondiali (52,91% in attacco). Ha sofferto un po’ in ricezione, ma spesso ha finito per chiudere gli scambi in cui lui stesso spigolava il primo tocco.
Lavia in questo Mondiale è stato capace pure di convertire un’alzata in bagher in uno scaldabagno sulla parallela nonostante un angolo strettissimo.
Ieri sera la Polonia l’ha cercato molto nel primo set, ma dopo gli 8 palloni del primo set, nei successivi 3 ne ha ricevuti solo 9, con un discreto 59% di ricezione positiva. Bravi gli altri ricettori a coprirlo il più possibile, anche a costo di prendersi maggiori responsabilità.
Anche se gli scout fin troppo severi della Fivb non rendono giustizia alla prestazione di Balaso e Michieletto (10 e 7%++), i due hanno retto bene contro il miglior servizio del torneo. Michieletto non si è fatto problemi ad accartocciarsi sul pallone e tenere la zona di conflitto, pure a costo di precludersi un eventuale attacco, perché consapevole che in un torneo in cui ha avuto più difficoltà a passare da posto 4 doveva compensare con i fondamentali difensivi. Il suo è stato un Mondiale all’insegna delle giocate extraordinarie a scapito della regolarità, dove paradossalmente si è rivelato più incisivo attaccando i palloni staccati anziché quelli da prima linea. Ma anche in una finale al 42% su 26 attacchi, ha spostato gli equilibri nel terzo set, realizzando 5 punti su 7 attacchi.
Dal canto suo Balaso in finale ha offerto la sua miglior prestazione, tenendo in vita le battute polacche (un solo errore) e aspirando letteralmente ogni pallone nella sua zona: si è sacrificato sulla parallela di Kurek ed è andato a terra per difendere le diagonali strette di Sliwka e Semeniuk, ma più in generale ha diretto la seconda linea sulla fase break, facendosi carico anche del secondo tocco quando non era nella disponibilità di Giannelli. Il giocatore della Lube, premiato come miglior libero della manifestazione, non ha mai dato per morto neanche un pallone, con una serie di interventi che a lungo andare hanno logorato gli attaccanti biancorossi e ispirato i compagni.
Perché l’Italia ha mostrato una concentrazione nelle coperture sui muri subiti e una lucidità della ricostruzione anche negli uomini meno preposti, come Romanò o i centrali, paragonabile proprio a una specialista del contrattacco come la Polonia, che invece nel secondo e terzo parziale ha provato ad allungare negli scambi iniziali, salvo poi sciogliersi nelle fasi calde del set (da 20-21 a 21-25 nel secondo, da 15-18 a 18-25 nel terzo). La nostra Nazionale per caratteristiche non ha un cambio palla stabile e ha concesso dei break, che però ha prontamente ricucito. Nel quarto invece ha preso subito 5 punti di vantaggio (12-7), che ha conservato nonostante i 3 ace dei padroni di casa, i quali ormai non avevano più le energie nervose per accettare gli scambi lunghi. I palloni caduti malamente, magari dopo un muro di contenimento, sintetizzano lo scoramento da parte degli uomini di Grbic, che avevano la sensazione di correre su un piano inclinato sempre più ripido attacco dopo attacco. In finale per la prima volta si è sentita l'assenza in casa Polonia di uno dei migliori attaccanti e battitori di posto 4, lo schiacciatore di Perugia Wilfredo Leon, assente a causa di un intervento al tendine rotuleo subito a fine maggio.
Questa difesa goffa di Russo che diventa punto fotografa il crollo polacco.
Janusz nel quarto, malgrado una ricezione precaria, ha cercato di servire i centrali, da cui ha ottenuto solo 2 punti su 8 attacchi, entrambi di Bieniek. È stato impressionante come Anzani a muro abbia dominato quello che sulla carta poteva rappresentare un mismatch in favore dei campioni uscenti. Ha tolto direzioni d’attacco ai suoi omologhi, ma soprattutto ha giocato una gara eccelsa in lettura e in assistenza ai laterali, chiudendo con 7 punti di cui 3 muri. In quel fondamentale il centrale della Lube è sicuramente un fattore, che vale i migliori nel ruolo.
Lo stampone di Anzani su Kochanowski nel quarto set. Anche gli altri due centrali comunque hanno fornito un contributo determinante, specialmente Galassi, inserito nel sestetto del mondiale.
A quasi un anno dall’exploit agli Europei, l’Italia ha stupito nuovamente ed è salita sul tetto del mondo, 24 anni dopo l’ultimo trionfo iridato. Nel 1998 è stato il canto del cigno della generazione di fenomeni, stavolta il successo di un gruppo giovane (nel sestetto titolare, il più vecchio è il 30enne Anzani, seguito dal 27enne Balaso) e denso di talento. In una competizione ancora più probante, la squadra di De Giorgi ha aumentato progressivamente il livello della sua pallavolo, eliminando nei quarti la Francia campione olimpica, in semifinale la Slovenia già battuta nella finale europea del 2021 e domenica sera la campionessa uscente. Rispetto a Euro 2021 partiva più avanti nei pronostici, appena dietro il trio Polonia-Francia-Stati Uniti, ma sinceramente era difficile immaginarsi un’altra impresa da parte di questa squadra.
A questo punto i paragoni con l’epopea dorata di Velasco e Bebeto - a cui De Giorgi ha partecipato da giocatore - capace di vincere ogni trofeo negli anni ’90 a eccezione delle Olimpiadi, diventano inevitabili. Di sicuro questa Nazionale ha ancora tante occasioni davanti per alimentare questo ciclo, a partire dagli Europei del 2023 che si giocheranno proprio in Italia.