Da quando Gasperini ha avuto successo plasmando la sua Atalanta, la Serie A ha iniziato a riempirsi di suoi seguaci creando una tendenza ma anche una questione ricorrente: conviene o meno acquistare giocatori usciti da sistemi simili? Ogni volta che una squadra punta un giocatore formato dalle mani di Gasperini o dei suoi figliastri, ci si domanda se saprà adattarsi alla nuova realtà. La risposta, spesso, è stata negativa.
La Roma è una delle squadre che più si è lasciata ammaliare dai giocatori esplosi nel gasperinismo. Per anni i giallorossi hanno pescato calciatori cresciuti o che comunque si sono esaltati in sistemi del genere: Cristante, Gianluca Mancini, Spinazzola, Kumbulla, anche Ibañez, che ha passato un paio d’anni nascosto a Zingonia prima di assaporare la Serie A.
Sono stati tutti acquisti che hanno condizionato lo sviluppo della Roma, perché ogni allenatore è dovuto scendere a compromessi con le caratteristiche di questi giocatori: ad esempio, sia Fonseca che Mourinho erano partiti per giocare con la linea a quattro, ma alla fine entrambi si sono dovuti piegare alla difesa a tre.
Quest’estate la Roma ha provato a strappare con il suo passato recente di tristi 3-5-2/3-4-1-2. Ha inserito profili più tecnici da centrocampo in su e in difesa ha acquistato centrali d’esperienza da campionati stranieri, poco abituati all’orientamento a uomo della Serie A. Insomma, caratteristiche piuttosto lontane da quelle delle squadre di Gasperini e dei suoi seguaci.
Così, quando ha iniziato a circolare la notizia di Ivan Jurić come sostituto di Daniele De Rossi, in molti si sono interrogati sulla coerenza della scelta: proprio quest’anno che la Roma ha puntato su determinate qualità invece di altre, si opta per il più spigoloso dei figliastri di Gasp?
Centrali come Hummels e Hermoso avranno il coraggio di seguire ovunque sull’uomo? Profili tecnici e compassati come Dybala, Le Fée e Pellegrini sopravviveranno ai ritmi desiderati dal tecnico croato?
In molti si sono fatti domande del genere, ma a questo punto è anche giusto interrogarsi sul passato recente di Jurić e chiedersi se forse la sua figura non sia stata idealizzata troppo. Se, evidentemente, la rosa della Roma non è costruita per l’ex allenatore del Torino, d’altra parte non è detto che Jurić non vi si possa adattare, e ci sono alcuni dettagli delle sue precedenti esperienze che lasciano sperare i tifosi giallorossi.
La fase di non possesso
La preoccupazione più immediata riguarda il modo in cui la rosa si potrà adeguare alla fase di non possesso, ciò che più connota il calcio di Jurić. Il tecnico croato punta sui duelli uomo contro uomo a tutto campo e nell’immaginario comune ama esasperare il pressing. Ma è davvero così?
I dati di StatsBomb (che partono dalla stagione 2020/21, l’ultima di Jurić sulla panchina del Verona) suggeriscono come, nelle ultime due stagioni, l’aggressività in pressing delle sue squadre si fosse temperata. Se nel 2020/21 e nel 2021/22 il suo Verona e il suo Torino erano primi per PPDA (8,14 e addirittura 6,69), nel 2022/23 i granata erano solo ottavi (10,44) e nel 2023/24 sesti (10,65).
Se parliamo di pressioni portate nella metà campo avversaria, poi, le squadre di Jurić hanno sempre avuto numeri piuttosto bassi: il Verona era quintultimo nel 2020/21, il Toro appena nono nel 2021/22, poi addirittura terzultimo nel 2022/23 e quintultimo nel 2023/24.
È probabile che, dato che le squadre di Jurić spesso si piazzano da subito uomo su uomo, gli avversari rispondano decidendo di evitare a priori il giro palla e lanciare lungo. In questo modo a recuperare palla per il Verona e il Toro il più delle volte ci pensavano i mediani oppure i difensori che scalavano in avanti.
Gli attaccanti, quindi, non dovevano spendersi in maniera eccessiva in scalate o scivolamenti, perché magari dovevano già trovarsi sull’uomo all’inizio della costruzione dal basso. Piuttosto, dovevano stare attenti a seguire il riferimento o a negargli le linee di passaggio.
Capire come si comporterà la Roma di Juric in fase di possesso serve a chiarire quanto dovrà sacrificarsi Dybala (o, viceversa, quanta libertà gli concederà Jurić in fase di non possesso): tra gli attaccanti è lui, in teoria, ad essere meno portato per la fase difensiva. Gli altri giocatori che si divideranno le posizioni offensive sono tutti disponibili al sacrificio: Saelemaekers (che però attualmente sta recuperando da un infortunio abbastanza lungo) e Soulé sono abituati a spendersi in pressing e nei rientri, così come Dovbyk e Shomurodov.
Maggiori dubbi sorgono invece su centrocampisti e difensori. In mezzo, l’unico che sembra dare garanzie è Manu Koné col suo dinamismo. Il resto, è tutto un’incognita. Cristante ai tempi dell’Atalanta era abituato a difendere in avanti, riuscirà ancora ad avere quell’impatto fisico? Il numero quattro, poi, è lento nel recuperare all’indietro e non spicca per senso della posizione. Paredes, se possibile, è ancora più compassato. Si esalta nei duelli, ma non può coprire troppo campo. Per non parlare di Le Fée. In Francia era abituato a difendere in avanti, ma non a intervenire sull’uomo.
Dietro, se N’Dicka e soprattutto Mancini dovrebbero adattarsi senza troppi problemi, sarà interessante vedere cosa farà Jurić con Hermoso e Hummels. Il primo con Simeone ha spesso giocato da centrale sinistro di una difesa a tre; non ha mai seguito l’uomo in maniera radicale, ma quando necessario doveva uscire in avanti. Discorso simile per Hummels: la miglior partita della sua stagione, lo scorso anno, è arrivata al Parco dei Principi in semifinale contro il PSG: sulla trequarti, davanti a lui, spesso stazionava Mbappé e il tedesco è stato perfetto nello staccarsi dalla linea per tamponarlo in avanti. Si trattava però di uscite aggressive nella propria trequarti, non di abbandonare la posizione per seguirlo ovunque.
Ai volti nuovi della difesa romanista, insomma, è capitato di dover uscire in avanti, ma non a tutto campo. Chissà se Jurić, per agevolarli, costruirà una Roma più compatta, che magari si assesti su un blocco medio e gli eviti di dover seguire l’uomo su distanze troppo lunghe. Né per Hermoso né per Hummels mantenere la linea alta dovrebbe essere un problema, hanno l’intelligenza per compensare la poca velocità: sarà più importante non farli andare troppo in giro per il campo.
Con il pallone
Meno critico rispetto alla fase di non possesso dovrebbe essere il modo in cui le richieste del nuovo allenatore si incastreranno con le caratteristiche offensive dei suoi. La Roma ha tanti giocatori dai piedi buoni e Jurić vi si potrebbe adattare meglio di quanto adesso non sembri.
La percezione generale dell’allenatore croato è condizionata dalle ultime due stagioni, dove il Toro pagava anche qualche limite tecnico. Certo, è vero: spesso la fase di possesso granata era arida e doveva aggrapparsi ai duelli individuali degli attaccanti per arrivare in area avversaria.
Jurić, però, ha dimostrato di poter fare molto meglio di così, soprattutto a Verona. Proprio perché il suo è un calcio molto fisico, c’è bisogno di giocatori tecnici che diano un senso all’atletismo di chi gli sta intorno: se il Verona con lui si è assestato in Serie A, è anche perché ha costruito le condizioni migliori affinché rendessero giocatori come Dimarco, Lazović e Zaccagni.
Se il timore più grande dei romanisti è che il talento di Dybala e Soulé venga dilapidato, proprio il numero dieci della Lazio dovrebbe offrire risposte rassicuranti in tal senso. Jurić sollecitava i dribbling e la qualità nei primi controlli di Zaccagni, qualcosa di simile lo aveva fatto anche con Praet a Torino.
L’ex allenatore del Verona attacca per catene laterali e le mezzepunte possono avere una grande influenza, con i compagni di catena che gli girano intorno: il trequartista o la seconda punta, però, devono essere giocatori in grado di tenere palla anche nello stretto, in condizioni difficili, e di attivare le combinazioni coi compagni. Proprio come faceva Zaccagni, e proprio come è nelle corde di Soulé e di Dybala, il migliore in Serie A a creare connessioni con la sua tecnica. Più difficile, invece, l’inserimento di Lorenzo Pellegrini: il capitano romanista ha visione di gioco ma non ha controllo, non sa tenere palla nello stretto e difficilmente crea vantaggi associandosi ai compagni.
In mezzo, è nota la predilezione del tecnico croato per i centrocampisti muscolari, capaci di coprire tanto campo, ma è anche vero che è stato lui a dare un gran finale di carriera a un mediano tecnico e delicato come Miguel Veloso. Paredes riuscirà a seguire un percorso simile? In impostazione bassa, invece, di sicuro potranno tornare utili le sventagliate di Mario Hermoso, dotato di un grandissimo sinistro nel gioco lungo.
Più preoccupante la situazione sugli esterni, dove mancano totalmente giocatori in grado di dare profondità: se si pensa all’apporto offensivo di tornanti come Faraoni o Bellanova nelle squadre di Jurić, nella Roma non vi sono esterni con quella corsa e quel senso per gli inserimenti. Angeliño lo era qualche anno fa, ai tempi del Lipsia di Nagelsmann, ma sembra aver perso quello smalto (e chissà che non venga riconvertito in terzo centrale come successe nel Verona con Dimarco, per sfruttarne la tecnica e farlo inserire nei corridoi intermedi). Çelik, invece, è soprattutto uno specialista difensivo, mentre né Saelemaekers né El Shaarawy garantiscono profondità.
Rivedremo mai questa versione di Angeliño?
Ovviamente è difficile capire come sarà la squadra del nuovo corso, ma il punto è che c’è del margine su cui Jurić potrà lavorare. Per il resto, la Roma è un’occasione troppo grande per l’allenatore croato, un treno che forse non passerà più e per questo è difficile pensare che non proverà ad adattarsi al materiale a disposizione.