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Ja Morant è una scarica elettrica
16 gen 2020
Il rookie più divertente dell’anno sta trascinando i Memphis Grizzlies a un improbabile ottavo posto ai playoff, una giocata assurda dietro l’altra.
(articolo)
12 min
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I Memphis Grizzlies sono una delle franchigie situate in un cosiddetto “piccolo mercato”, con il bacino dei tifosi legati praticamente soltanto allo stato del Tennessee. Per questo motivo, per sopravvivere alle proprie limitazioni e non diventare irrilevante, deve necessariamente costruire una squadra dalla fortissima identità di gioco attraverso la quale i tifosi possano immedesimarsi. E lo può fare praticamente soltanto partendo dal Draft, dato che in questo momento storico non sono tanti i giocatori senza contratto disposti a trasferirsi nel Tennessee.

Memphis era riuscita in tal senso a costruire una squadra di culto sotto il vessillo del “Grit and Grind”, ovvero come squadra operaia dedita alla difesa e al sacrificio prima di tutto, costruita attorno a un quadrumvirato formato da Zach Randolph, Tony Allen, Mike Conley e Marc Gasol. Dopo aver salutato uno dopo l’altro i membri di quel ciclo arrivato ormai a compimento, Memphis vuole riprovare a conquistare la sua fan base con una versione di squadra diversa, fondata su principi di gioco contemporanei del “pace and space”, che vuole correre e utilizzare i pick and roll per le penetrazioni, aprendo il campo con i tiri da tre.

E se Memphis è senza ombra di dubbio tra le squadre più divertenti e da non perdere assolutamente in questa stagione (anche per le splendide divise retrò che richiamano agli anni di Vancouver della franchigia), il merito è per larga parte del rookie Ja Morant. La seconda scelta assoluta dell’ultimo Draft sta avendo un impatto immediato superiore anche alle alte aspettative che si avevano su di lui, e lo sta facendo non soltanto per l’impatto statistico delle sue prestazioni, ma per come gioca e interpreta le partite. Morant è uno di quei giocatori a cui basta notare un varco verso il ferro per volarci incontro: per lui è come una calamita, e questo magnetismo regala continuo dinamismo al gioco della sua squadra.

"Hey Ja!"

Tutto il suo stile di gioco è basato su questa tensione verso il ferro, rendendolo per certi versi poco ortodosso. Con la palla si muove sempre in controtempo, quasi ciondolando per il campo, alternando momenti di massima velocità a momenti in cui sembra quasi voler mostrare il pallone all’avversario per fargli credere che sia a portata. La sua elasticità nei movimenti rende il suo crossover frontale la sua arma migliore per superare l’avversario diretto, che sia passando sul blocco del compagno o direttamente partendo in isolamento. La sua rapidità nel cambiare direzione mette l’avversario nella situazione di non poter mai mettere il peso sui talloni o troppo in avanti: al minimo segno di squilibrio del baricentro, Morant si affida al crossover e dopo ne puoi vedere solo il 12 della maglia mentre vola verso il canestro.

Morant ha la capacità innata di portare il pallone bassissimo nel palleggio, sfruttando poi il movimento per accelerare sul secondo passo, ma allo stesso tempo ha la reattività per cambiare idea quando è già al secondo passo o addirittura in volo, con finte di corpo e testa che farebbero felice “White Chocolate” Jason Williams. Al suo primo anno in NBA, Morant è già in grado di far pensare alle difese che stia andando a canestro, quando in realtà l’obiettivo si trasforma nel compagno vicino a cui scaricare il pallone, regalandogli due punti facili.

Solo riguardando le azioni di Morant ci si rende conto dei livelli di complessità nei suoi gesti, l’angolo insensato della caviglia nel crossover, la rotazione che dà alla palla sul palleggio, la posizione della testa per confondere l’avversario, il momento esatto in cui decide cosa fare mentre si trova a metà dell’azione, magari già in aria.

Tutto il basket di Ja Morant in un’azione.

Il playmaking di Morant si fonda tutto sulla creatività e sull’istinto, sulla velocità di lettura di una situazione di gioco e sulla reattività di pensiero per scegliere l’opzione che ritiene più adeguata. Questo significa che lui e i compagni devono stabilire dei pattern in comune e questo non può che passare da qualche passaggio che non va a buon fine. Nell’ultimo mese, però, le cose stanno andando alla grande e i Grizzlies sono diventati la squadra più in forma della NBA, issandosi fino all’ottavo posto nella Western Conference.

Una nuova ondata di point guard

Nelle ultime tre stagioni è arrivata in NBA una nuova generazione di point guard, il ruolo già dal talento medio più elevato, rendendo gli stili di gioco ancora più diversi e peculiari. Tra i vari Luka Doncic, Donovan Mitchell, Trae Young, Shai Gilgeous-Alexander, De’Aaron Fox e Lonzo Ball, in nessun altro ruolo l’interpretazione sembra poter assumere le più diverse strade. Morant ha scelto quella della creatività pura: ogni partita tenta qualcosa di nuovo, quasi per sfida personale. Il playmaker dei Grizzlies ha un gioco raggiante, elettrico, stupefacente nel senso pieno della parola, tarato quindi alla perfezione per entrare rapidamente in circolo nei social network che cercano avidamente sempre qualcosa di nuovo. E Morant ogni partita regala qualcosa visto raramente, che sia un passaggio no look dopo un crossover con finta o un qualche tentativo di schiacciata senza il minimo riguardo per la propria incolumità personale.

Scelto dai Memphis Grizzlies dietro solo a Zion Williamson nell’ultimo Draft, Morant è finito nella squadra perfetta per lui accanto a un altro giocatore giovanissimo come Jaren Jackson Jr., con cui dovrà formare la coppia sulla quale ricostruire una franchigia che ha dovuto a malincuore lasciarsi alle spalle gli anni ruggenti di Conley e Gasol. Memphis - con un po’ di fortuna ma soprattutto tanto lavoro e visione - ha iniziato la propria ricostruzione con una base di partenza da fare invidia alle tante squadre che da anni provano a uscire dall’anonimato attraverso il Draft, spesso senza riuscirci.

Con quella contro Houston di martedì 13 gennaio sono sei le vittorie consecutive per Memphis, la più lunga striscia delle ultime tre stagioni. Ma se le strisce vanno e vengono nella lunghissima stagione NBA, a rimanere sarà l’immagine che questi Grizzlies stanno dando come squadra più divertente da vedere giocare. E buona parte del merito è da attribuire a Morant, l’unico giocatore a cui viene data carta bianca dal coach 35enne Taylor Jenkins: «Gli ripetiamo quotidianamente che è il nostro motore, noi andiamo alla sua velocità». Morant lo sta ripagando con gli interessi: in neanche 40 partite giocate si è già praticamente assicurato il premio di Rookie dell’Anno, in una stagione che doveva essere la stagione dello sbarco nella lega di un talento generazionale come Zion Williamson, la cui assenza dal campo ha reso ancora più evidente lo scarto tra Morant e il resto della classe di rookie.

Coming out party

Proprio la partita contro Houston è stata perfetta per mostrare tutto il repertorio di Morant, che ha cominciato con un canestro al primo tentativo dopo aver battuto l’avversario diretto con un crossover e segnato al ferro dopo aver chiaramente cercato il contatto di Clint Capela. Sono sette i canestri segnati nel pitturato nella partita giocata contro Houston, senza nessun errore: ogni volta che la difesa è sembrata un minimo aperta, lui si è buttato dentro con successo - o segnando in prima persona o creando un assist per un compagno libero.

L’unico errore della sua partita è stato un tiro da tre punti: per il resto 10/11 dal campo con 3/4 da tre punti, tra cui l’ultimo canestro che rappresenta la ciliegina sulla torta del suo mese incredibile - una tripla in step back in faccia a James Harden per chiudere la partita sul 114-105 con 2 minuti da giocare. Beh, a essere onesti non è stata proprio in faccia, visto che con la finta di penetrazione lo ha mandato un metro e mezzo all’indietro. Ma il fatto stesso che Harden abbia abboccato alla finta e quindi rispettato il pericolo di Morant lanciato verso l’area è il simbolo della partita: non a caso il rookie - visto che nella prima tripla segnata a inizio partita Harden si era tenuto a distanza senza uscire - è stato inquadrato dalle telecamere mentre diceva diretto al candidato MVP: «Dite a quel figlio di pu...a chi sono».

Visioni in movimento = Ja Morant.

Le sue statistiche al tiro, dovessero continuare su questo sviluppo, sembrano disegnare per lui un futuro roseo. In generale col difensore a meno di un metro sta tirando col 52.5%, ma bastano due tipi di tiro per descrivere il gioco di Morant: le percentuali al ferro e quelle nel tiro da tre punti. Per dire: il 53% dei suoi tiri viene preso al ferro (98° percentile, dati Cleaning The Glass), anche se il 58% con cui li converte è migliorabile. Anche nel tiro da tre sta andando oltre le aspettative: segna le triple dal palleggio (su un campione ridotto visto che ne prova solo 1.3 a partita, va detto) con il 42.6% di conversione, mentre quelle in cui non ha un difensore entro due metri da lui le segna addirittura col 49.1%. Praticamente sembra la fusione di John Wall con Kyrie Irving, una cosa che ovviamente potrebbe non reggere nelle 82 partite dal punto di vista statistico, ma che rende l’idea del potenziale del tipo di talento offensivo di cui stiamo parlando.

Ma parlando delle sue percentuali si rischia di non dare l’adeguata importanza all’aspetto di creatore di gioco di Morant, che contro San Antonio il 10 gennaio ha rasentato la perfezione nell’efficienza in rapporto allo stile, visto che ha realizzato 14 assist con solo una palla persa per un passaggio sbagliato (un’altra è per una violazione di passi). Le difese avversarie sono costrette a chiudersi in area quando lui attacca dal palleggio, lasciando spazio ai compagni sia per i loro tagli in area che per i tiri da fuori. Non è un caso se sui suoi abituali scarichi per i giocatori fuori alla linea da tre punti solo Jae Crowder sta tirando male (27.7%): Jaren Jackson Jr. sta tirando col 40%, Dillon Brooks col 52.4%, Salomon Hill col 44.8% e il centro Jonas Valanciunas addirittura col 46.4%.

Non bisogna però pensare che Morant sia un giocatore che non sbaglia un passaggio: al momento perde 3.3 palloni a partita e ha una percentuale di palle perse del 15.4% (19° percentile nel ruolo, decisamente sotto media). Bisogna però dire si tratta di una questione che oscilla molto: a gennaio ne ha persi 7 contro Sacramento, 2 contro i Clippers, 6 contro Phoenix, 5 contro Minnesota, 2 contro gli Spurs, 5 contro Golden State e 2 contro Houston.

Quello delle palle perse per una point guard è da sempre una statistica che va interpretata: come per l’inflazione in economia, il numero di palle perse non è un problema di per sé, ma dipende sempre dalla percentuale: il rapporto assist palle perse non può certo essere negativo, ma una base di palle perse nel gioco di una point guard creativa deve essere presente, se queste arrivano da passaggi ambiziosi. Questo può significare che la point guard è creativa, che mette in crisi la difesa avversaria e spinge i compagni in zone altrimenti inesplorate, cosa che poi può servire quando in futuro lo stesso passaggio viene capito dai compagni e quindi va a buon fine.

Le mani in mezzo alle quali fa passare la palla per trovare Jackson sotto canestro sono quelle di Kawhi Leonard.

Questa è l’attitudine con cui Morant sta affrontando la sua prima stagione nella NBA: non ha paura di nessuno, vuole già stare sotto i riflettori e soprattutto si diverte da morire. Un giocatore che trasmette aggressività positiva, che non ha paura di schiantarsi contro l’avversario a ogni azione perché sa che comunque può uscire da qualsiasi situazione con qualcosa per sé o i compagni grazie ai suoi mezzi fisici e alla sua creatività.

Un talento straripante

Certo, questo ha portato già alle prime conseguenze. Morant è talmente straripante da non poter essere contenuto all’interno del campo di gioco, tanto da riaccendere l’annosa questione dei fotografi e dei cameraman stipati sotto i canestri, visto che in una delle sue classiche penetrazioni è finito per crollare addosso a uno di loro facendosi male alla schiena e dovendo saltare quattro partite. Morant si è poi lamentato al suo ritorno in campo: «Con le telecamere di oggi è facile fare una buona ripresa anche dal parcheggio volendo. Penso prima di tutto alla sicurezza dei giocatori, dovrebbe essere l’obiettivo di tutti. Appena valuto quale sia lo spazio necessario per attaccare il canestro, mi rendo conto che andrei a finire addosso a qualcuno. Per un penetratore come me l’infortunio è davvero dietro l’angolo».

Infortunio che lo ha portato a doversi contenere un minimo, visto che le dimensioni del campo non cambieranno a breve: «È complicato perché sei costretto a controllarti, a contenere il salto nel momento in cui punti al ferro. Ma al tempo stesso, non voglio pensare all’infortunio, al fatto che qualcosa può andare storto e limitare il mio gioco per questo. È una situazione difficile con la quale convivere». Ma questa attitudine ci ha regalato già tantissime schiacciate senza senso nel traffico e il tentativo di schiacciata più assurdo della stagione.

Come canta Lil Baby, l’artista preferito di Morant:

«Drip too hard, don't stand too close

You gon' fuck around and drown off this wave»

Un misto di sicurezza nei propri mezzi e noncuranza delle conseguenze ha portato Ja Morant a un passo dal realizzare la schiacciata dell’anno quando ha provato a saltare Kevin Love. Dopo aver raccolto una palla vagante fuori dall’arco fronte a canestro, e avendo visto un varco davanti a sé tra i due giocatori di Cleveland, Morant si è lanciato alla massima velocità in avanti, dandosi solo un palleggio per la spinta e partendo con il salto sul secondo passo poco oltre la linea del tiro libero. Morant è alto 191 centimetri, Kevin Love 208: Morant poteva schiantarsi contro di lui e commettere una palla persa per sfondamento, oppure poteva aprire le gambe in volo e provare a saltarlo. Ovviamente ha scelto la seconda opzione, con il povero Kevin Love che si è ritrovato in faccia l’inguine del rookie senza poter fare altro che cadere all’indietro come un sacco di patate, mentre Morant allungava il braccio fino al ferro. La palla non è entrata, fermandosi sul secondo ferro e schizzando fuori, ma sapere che un giocatore possa anche solo pensare di poter fare una cosa del genere non può che farti rimanere con gli occhi incollati allo schermo ogni volta che scende in campo. Ogni partita Morant lascia una gemma che ci ricorda perché ci siamo appassionati tanto alla NBA.

È immediatamente visibile anche a una prima occhiata quanto Morant voglia assaporare ogni momento che vive sul parquet NBA, come quei fortunati che riescono ad avere un sogno lucido e non hanno intenzione di svegliarsi. Gioca divertendosi, non ha ancora scoperto gli infortuni da stress fisico, le aspettative dei tifosi nelle giornate negative o le pressioni dell’ambiente per vincere subito. Il suo è un approccio quasi da basket da strada, in cui la reputazione non arriva soltanto perché si è forti, ma anche per lo stile con cui si gioca, per la capacità di stupire con creatività e determinazione. Gioca in un’arena davanti a milioni di telespettatori come farebbe in un campetto all’aperto vicino casa, e a metà della sua prima stagione è già uno dei giovani volti più riconoscibili della Lega, nonché una delle più grandi attrazioni della stagione.

Due anni fa non lo avrebbe potuto dire nessuno. Ora non vediamo l’ora di poter scoprire che strada seguirà la sua carriera.

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