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Jakub Mensik è arrivato per battere tutti i tuoi beniamini
31 mar 2025
A 19 anni ha vinto il suo primo Master 1000 a Miami.
(articolo)
11 min
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Foto IMAGO / Xinhua
(copertina) Foto IMAGO / Xinhua
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Il 21 marzo Jakub Mensik deve giocare il suo match di primo turno del Master 1000 di Miami contro il veterano Roberto Bautista Agut. Il problema è che gli fa male il ginocchio da qualche giorno, forse già dalla partita persa qualche giorno prima. A Cap Cana, Santo Domingo, Mensik ha perso una semifinale del Challenger locale contro Damir Dzumhur, lasciandosi impelagare in una partita torbida, persa con corredo di racchette spaccate a terra. Ora deve giocare contro Bautista Agut ma il ginocchio gli fa male.

La sua carriera è ancora giovane, ma il suo corpo gli ha già portato il conto un po’ troppo spesso. Mensik comunque non ce la fa e va a cercare l’arbitro per annunciare il proprio ritiro dal torneo. L’arbitro però è in pausa pranzo quindi gli tocca aspettare, e nell’attesa si va a fare un giro dal fisioterapista del torneo, Alejandro Gonzalez. Gli dice che gli fa troppo male e che vuole ritirarsi; «Stai calmo», gli dice Alejandro «Vediamo». Gli manipola il ginocchio per una mezz’ora e gli dice che non è niente. Può giocare con quel dolore. Mensik si sente meglio, batte Bautista Agut e nel turno successivo fa fuori Jack Draper, fresco vincitore di Indian Wells. Poi batte Safiullin e il quasi coetaneo Fils, tenendo il polso fermo nei momenti importanti. Va vicino a perdere il primo set, ma dimostr più maturità e anche qualche colpo in più rispetto al francese.

Questa storia va veloce, e ieri Jakub Mensik stringe il trofeo accanto al suo idolo d’infanzia, Novak Djokovic. A 19 anni è diventato il nono giocatore più giovane a vincere un Master 1000. Due settimane fa perdeva a Cap Cana con Dzumhur e ieri vinceva a Miami, e questo è il tennis. Tutti sapevamo che Mensik stava arrivando, ma non credevamo sarebbe successo così presto. Sapevamo che il 2025 con molte probabilità sarebbe stato l’anno della sua rivelazione, ma non pensavamo che a marzo eravamo già a celebrare un titolo tanto importante. In piedi col microfono in mano ringrazia pubblicamente Alejandro Gonzalez, il fisioterapista che gli ha permesso di arrivare fino a lì. Le mani e la calma di un fisioterapista e la pausa pranzo di un arbitro gli hanno cambiato la carriera. Accanto a Djokovic, lo definisce “il migliore di tutti i tempi”: «Sono cresciuto guardandoti a giocare, ho iniziato a giocare a tennis a causa tua». Mensik è nato nel 2005 e quando Djokovic ha vinto il suo primo Slam, in Australia, aveva tre anni e viveva ancora a Prostejov, una di quelle città della Moravia in cui lo jugendstil del centro città è stato sostituito dal grigio cemento armato delle case socialiste.

A Miami abbiamo assistito a una situazione che nel tennis si è verificata altre volte nella storia: il figlio che uccide il padre. Qualche mese fa, quando si erano incontrati per la prima volta a Shanghai, Mensik aveva detto: «Tutto quello che ha fatto lui, l’ho fatto io, come l’alimentazione, il recupero e il controllo del mio fisico. L’ho osservato, ho cercato di analizzarne il funzionamento, come si riscalda, si allunga, recupera. Molti progressi che ho fatto sono stati possibili grazie a lui». Djokovic lo aveva battuto, ma gli ci erano voluti tre set perché aveva fatto l’errore di farsi trascinare fino al tiebreak nel primo set, il territorio di Nole, ma anche di Mensik. Intervistato da Ubitennis, l’allenatore di Mensik ha riconosciuto che Djokovic li ha supportati in tante piccole cose, per esempio fornendo la stessa società di dati (GOTTA tennis).

Anche senza vincere la finale di ieri, Mensik avrebbe lanciato il suo segnale: dobbiamo subito fare i conti con lui. Che vincesse la finale contro Djokovic, però, lo credevano in pochi. L’unico a battere il serbo all'ultimo atto di Miami, in 7 finali complessive, era stato Andy Murray, che oggi è il suo allenatore. A 19 anni Mensik non aveva nulla da perdere, ma battere Nole in una finale è come scrivere una tesi in ingegneria.

Era a caccia del suo centesimo titolo in carriera e veniva da un torneo in cui era stato in crescita. Nelle partite contro Musetti e contro Dimitrov aveva approcciato male il match, andando subito sotto di un break e costringendosi a recuperare. In entrambe le occasioni ha ribaltato il punteggio e vinto il primo set. Anche stavolta Djokovic ha perso presto il servizio, tirando colpi fuori misura, sembrando fuori dal match agonisticamente. Si è presentato in campo con l’occhio destro gonfio, una lieve infezione di qualche tipo che gli dava un’aria stanca. Anche stavolta è riuscito a recuperare questo break precoce, tirando degli insidiosi back che restavano bassi sull’incerto dritto di Mensik. Nel corso del set il ceco è sembrato perdere certezze e riferimenti nel gioco, e Djokovic sembrava riuscire a entrargli sotto pelle come un veleno.

A quel punto chiunque stesse guardando la partita poteva avere pochi dubbi su chi avrebbe vinto.

I giocatori come Mensik però hanno sempre una risorsa supplementare a cui affidarsi quando le cose non vanno bene. Se il dritto ha iniziato ad apparire vulnerabile e il rovescio meno preciso, il servizio poteva sempre toglierlo dai guai. Grazie soprattutto a questo colpo Mensik è riuscito a trascinare Djokovic al tiebreak, e in quel territorio ha già dato prova di essere fra i giocatori più letali del circuito. Prima della finale aveva vinto tutti e tre quelli giocati, anche contro avversari forti come Fritz.

Djokovic era teso, continuava a litigare in modo un po’ comico col suo angolo. Parlava in serbo per non farsi spiare e Murray doveva chiedere la traduzione in simultanea. Al secondo punto del tiebreak Mensik prende un nastro, Djokovic fa un recupero mezzo miracoloso ma poi Mensik si inventa una veronica veramente in grande stile. Djokovic lo fulmina con lo sguardo in attesa delle scuse, ma è un punto pesante perché subito dopo Nole perde la misura di un dritto e finisce sotto 0-3.

Se crea distanza nel punteggio, è difficile recuperare un giocatore come Mensik, che ha continuato a servire agli angoli a velocità pazzesche. Dopo la partita Djokovic ha riconosciuto che il ceco è stato migliore di lui soprattutto perché ha giocato meglio nei momenti importanti. E così anche nel tiebreak del secondo set, invece che tremare, Mensik ha trovato una particolare lucidità. È difficile capire dove inizia la qualità di Mensik e l’opacità di Djokovic, che ha giocato comunque insolitamente male nei momenti caldi. Certo che il ceco gli ha messo addosso molta pressione.

Quando si erano sfidati a Shanghai, Djokovic era stato bravo a contenere la violenza dei primi colpi di Mensik e ad allungare lo scambio. I cambi di ritmo lungolinea gli hanno tagliato le gambe, alla lunga, come i calci ripetuti al polpaccio in un incontro di MMA. Ieri però Mensik è sembrato più a proprio agio nello scambio lungo, meno vulnerabile anche nei momenti di tensione. Sul 2-2 del tiebreak, per esempio, è riuscito a vincere uno scambio complesso, pieno di cambi di diagonali e altezze. Qualcosa che un anno fa non sarebbe stato in grado di mettere in piedi - era uno di quei tennisti brutali che lanciavano cassapanche infuocate dall’altro lato del campo, ma che si sgonfiavano con facilità. Al termine dello scambio Djokovic si è steso a terra esausto, nella serata umida di Miami, e ci siamo ricordati che va per i 38 anni.

Nel punto successivo Mensik tira una prima devastante esterna da sinistra: il suo servizio preferito. Anche sul 4-3 vince un braccio di ferro da fondo sulla diagonale di dritto, quella più fragile. A quel punto la partita è finita, e Djokovic dovrà rimandare per l’ennesima volta il suo centesimo titolo.

Che torneo strano è stato, per Nole. Dopo aver perso nettamente Musetti ha rilasciato un’intervista piuttosto sconvolto, raccontando che rispetto alle loro ultime sfide Djokovic gli sembrava persino migliorato. «So che sembra assurdo», aveva premesso. I dati di Tennis Insights confermavano queste sensazioni: stava giocando con straordinaria forza e precisione quasi ogni colpo.

Contro Korda ha servito 39 primi servizi su 45, e cioè quasi l’87% di prime palle in campo: la percentuale più alta di tutta la sua carriera. Un aspetto su cui evidentemente vuole essere particolarmente concentrato, e anche in finale ha tenuto una percentuale di prime molto alta. Un torneo quindi promettente, soprattutto rispetto alla brutta sconfitta contro van de Zandschulp a Indian Wells, per di più arrivato in un periodo dell’anno in cui da qualche tempo Djokovic non sembra spendersi più di tanto. Al contempo però sembra che queste performance siano costruite su basi fragili; o meglio, che Djokovic sia costretto a uno sforzo psico-fisico tale che tutta l’impalcatura può crollare da un momento all’altro. In un certo senso, è come se stesse bluffando, dando vita alla sua ultima grande illusione.

La stagione europea però è diventata quella preferita del tardo Djokovic, e questa fragilità sarà sicuramente meno esposta. Al contempo però le partite si faranno fisicamente più dure e Nole dovrà rivelare le sue carte; cosa gli è rimasto in mano?

Dobbiamo però tornare a parlare di Mensik, perché l’ultimo ceco a vincere un Master 1000 era stato Thomas Berdych, altro grande punto di riferimento di Mensik.

A febbraio 2024 aveva fatto il suo primo squillo importante tra i professionisti, arrivando in finale in Qatar. Aveva perso contro Karen Khachanov pagando i risvolti di un tiebreak massacrante perso a 12 nel primo set. Aveva sparso in giro altri segni di predestinazione, per esempio battendo due volte il tennista che tutti i giovani forti battono, e cioè Rublev. La sua stagione si era poi spenta a causa di problemi fisici e di continuità. Il 2025 non gli aveva riservato grossi acuti ma c’era la sensazione che potesse arrivare a un certo punto. Proprio prima di questo torneo, interrogato sulla nuova generazione in arrivo, Djokovic aveva citato Fonseca ma aveva invitato tutti a prestare più attenzione a Mensik, definendolo come “uno dei migliori servitori del circuito”.

Fonseca gli ha tolto un po’ di luce di dosso, e non è difficile capire il perché. Il tennista brasiliano fa già parte dello star system del circuito, muove grandi masse e costringe le organizzazioni dei tornei a spostarlo in stadi più grandi per accogliere i suoi rumorosissimi tifosi. Mensik è anti-glamour, e il completino adidas color sangue indossato in questo torneo non lo ha certo aiutato. Il suo aspetto in generale gli gioca contro.

Mensik ha vibes da Ivan Drago. Sembra essere stato creato segretamente in oscuri laboratori dell’est Europa come risposta alla triade dell'establishment Alcaraz-Sinner-Fonseca. Una creatura alta e piena di spigoli come gli incubi, con gli occhi di ghiaccio e i capelli elettrici di un vecchio punk berlinese. L’idea forse era di creare un giocatore con la qualità al servizio dei croati e la pulizia geometrica da fondo dei cechi.

Il servizio è uno dei colpi che più migliora col tempo e l’allenamento, ma quello di Mensik è già uno dei migliori del circuito a nemmeno vent’anni. Nessuno ha servito i suoi ace nel 2025: 302, con una media di 15 per partita. Il 15% dei suoi punti al servizio sono ace; con punte del 26% in questo torneo, in cui il suo servizio era in stato di grazia. Serve forte agli angoli e quello da sinistra a uscire è il suo preferito, rimbalza così alto e profondo da ricordare quello di Andy Roddick. Questo dominio al servizio lo rende già durissimo da affrontare anche per giocatori di alto livello. Come segnalato da Jeff Sackman, è uno dei pochi giocatori della storia a essere 6-5 contro dei top-10 nei propri primi undici incontri.

Mensik però non è solo un big-server. Pur essendo alto 1,93 (come Kyrgios), si muove con buona elasticità da fondo campo. Niente di eccezionale, non ha la gommosità di Zverev, ma è difficile da portare fuori equilibrio. La meccanica da fondo è pulita come da tradizione della scuola ceca, e naturalmente ha un grande rovescio a due mani, specie lungolinea. Chi vuole vederci il classico serve-bot sgraziato e brutto da vedere, dovrà per forza ricredersi. Il lato del dritto è quello più vulnerabile, e anche quello meno capace di fare male agli avversari; ma in questo torneo ha mostrato miglioramenti evidenti nella gestione della velocità e delle variazioni. Il colpo inside-out è stato una buona arma contro Djokovic, che ha faticato a leggerlo.

Lo slice sul lato del rovescio funziona, e a rete sa muoversi. Il suo gioco di tocco non è stato niente male in finale contro Djokovic. Insomma: pur avendo un servizio eccezionale, non è l’unica cosa che Mensik sa fare. Dovrà migliorare la sua seconda di servizio, che al momento mostra una grande escursione di velocità rispetto alla prima e risulta piuttosto attaccabile.

Il tennis di recente sta producendo talenti fenomenali da fondo campo. Nessuno fra Sinner, Alcaraz, Rune o Fonseca ha nel servizio il proprio colpo naturalmente migliore. I trionfi di Draper e Mensik a Indian Wells e Miami, pur arrivati in tornei dal tabellone piuttosto sguarnito, ci mostrano però proprio due tennisti dominanti col servizio. Il tennis non si sviluppa mai in un'unica direzione, o almeno sfugge a ogni nostro tentativo di volerlo raccontare così.

Jakub Mensik non è il giocatore per cui il grande pubblico farà il tifo nei prossimi anni, ma ha tutto per diventare quello che batte il tuo giocatore preferito.

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