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James in 10 immagini
17 nov 2014
Predestinato, gran lavoratore: James Rodriguez è già il miglior calciatore colombiano della storia?
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James David Rodríguez Rubio è un predestinato, un ragazzo il cui sviluppo è stato seguito da una Nazione intera che ha trasformato la consacrazione del suo talento calcistico più grande in un’occasione di riscatto sociale. James Rodríguez è l’immagine di nuovo positiva della Colombia dopo il ’94 e tutto quello che è successo, il modello dei ragazzini, ma non solo: a 23 anni è già uno dei migliori calciatori colombiani della storia.

James si è consacrato nell’occasione più importante per un calciatore: il Mondiale. Nell’ultima edizione è stato il miglior giocatore dei gironi (3 gol e 2 assist in 3 presenze), ha segnato la doppietta decisiva contro l’Uruguay (2-0) negli ottavi di finale e col rigore (inutile) segnato al Brasile nei quarti di finale è diventato il capocannoniere della manifestazione. La Colombia non era mai arrivata così lontano e gran parte del merito è stato di James, che con 6 gol è già il miglior marcatore colombiano di sempre ai Mondiali. L’accoglienza ricevuta al rientro in patria fa capire il valore del traguardo raggiunto:

In un anno James Rodríguez ha mosso 125 milioni di euro: alla fine di Brasile 2014 è stato comprato dal Real Madrid per 80 milioni, dopo che nel 2013 il Monaco ne aveva spesi 45 per acquistarlo dal Porto. Nonostante l’enormità delle cifre che l’hanno coinvolto, James non è ancora unanimemente considerato una stella del calcio mondiale come Cristiano Ronaldo, Bale, Neymar e Suárez (gli altri colpi da 100 milioni o giù di lì), specie in Italia, dove il grande pubblico l’ha conosciuto solo in occasione del Mondiale brasiliano ed è opinione più o meno diffusa che il Real Madrid abbia sbagliato a cedere Di María per puntare su di lui (anche all’estero c’è chi la pensa così).

Il talento di James è conosciuto, in patria, da almeno 10 anni, dalla XX edizione del Pony Fútbol, un torneo riservato ai bambini sotto i 13 anni che gode di una copertura televisiva notevole ed è seguito da migliaia di spettatori (una cosa molto “Holly e Benji”). Per i colombiani è una grande occasione di scouting giovanile: ben 11 dei 30 preconvocati di Pekerman per l’ultimo Mondiale avevano preso parte al Pony Fútbol nella loro infanzia. Nell’edizione del 2004 James Rodríguez è stato la stella indiscussa: campione, capocannoniere e miglior giocatore, dopo una finale decisa direttamente da calcio d’angolo. Il video di quel gol si è visto spesso questa estate, quando James si è fatto conoscere a livello planetario.

“Dedico il gol alla mia mamma e al mio patrigno (...) Voglio diventare un calciatore professionista”. “Con che squadra?” chiede l’intervistatore, “Prima il Tolima, poi con chi vuole Dio”, la risposta del dodicenne James.

Parole simili sono uscite dalla bocca di molti calciatori ben più grandi di un ragazzino di 12 anni; James è però davvero molto religioso e sul polpaccio sinistro ha tatuata un’immagine di Gesù: “Un modo per ringraziarlo del fatto che mi ha dato questo piede”.

A sentirlo parlare quando aveva 12 anni, James sembrava già un calciatore professionista. D’altronde è da quando aveva 3 anni che è stato cresciuto con questo unico obiettivo. Nel percorso/progetto di vita, secondo le parole del diretto interessato, il ruolo più importante l’ha avuto il patrigno, Juan Carlos Restrepo. È stato lui a convincere la madre a investire sul talento del bambino, nel vero senso della parola.

Sia agli inizi nell’Academia Tolimense che nel passaggio successivo all’Envigado, James è stato seguito da un gruppo di tecnici e preparatori atletici, contattati dal patrigno, che lo sottoponeva a un lavoro che si aggiungeva a quello dei normali allenamenti. Per la famiglia, insomma, non c’è stata altra intenzione che quella di far diventare James non solo un calciatore professionista, ma uno dei migliori al mondo.

Questi sacrifici si riflettono nel suo modo di stare in campo. James era in età preadolescenziale ai tempi dei doppi allenamenti ed è dovuto crescere in fretta, con una classe e una visione di gioco naturalmente sopra la media e una propensione alla leadership ben più sviluppata di quanto potrebbero far pensare i suoi 23 anni. “Ciò che lo rende straordinario è che non ha problemi a prendersi delle responsabilità”, ha detto di lui Pekerman, il CT che ha dato a James la maglia numero 10 della Colombia.

James è nato col quel numero sulla schiena e probabilmente è la rappresentazione più riuscita del numero 10 moderno. Non ha solo tecnica, precisione, capacità di lettura del gioco, ma anche forza e potenza, specie nelle gambe, che gli consentono di giocare senza problemi anche spalle alla porta. In fase difensiva poi sa portare il pressing ad alta intensità e non ha problemi a sacrificarsi in copertura, caratteristica migliorata dopo l’arrivo in Europa che l’ha allontanato dall’amata posizione sulla trequarti e l’ha spesso dirottato sulle fasce (e non solo).

Né lui né i suoi allenatori, comunque, hanno mai avuto dubbi su quale sia la sua collocazione ideale in campo: James è ed è sempre stato un numero 10, uno di quelli che nel Sudamerica spagnolo viene definito enganche, il “gancio” cioè tra centrocampo e attacco. La sua forza è che è in grado di collegare centrocampo e attacco partendo da qualsiasi zona dalla metà campo in su.

A 17 anni aveva già le idee chiare: “Sono un volante numero 10, mi piace far gol e giocare col pallone tra i piedi”.

Gli inizi: il Banfield

La sua carriera ad alti livelli comincia sulla fascia sinistra. È il 2009, la squadra è il Banfield, e dopo qualche mese nelle giovanili, James viene portato in prima squadra. Ha 17 anni e diventa lo straniero più giovane a esordire nel massimo campionato argentino. Di lì a poco diventa anche il più giovane a segnare un gol, visto che alla seconda presenza segna con un tiro talmente potente che fa rotolare il pallone fuori dall’area di rigore dopo aver toccato il fondo della rete.

Nell’Apertura del 2009 James Rodríguez diventa un titolare fisso: gioca prevalentemente da esterno sinistro nel 4-4-2 di Falcioni, ma in realtà tiene poco quella posizione e quando il Banfield attacca, James si trova spesso nel mezzo a giocare tra le linee. Da lì segna due dei tre gol personali dell’Apertura 2009, due conclusioni da fuori che confermano la potenza e la precisione del suo sinistro. Il Banfield, alla fine di quel torneo di Apertura, vince il primo, storico, titolo nazionale e James è tra i protagonisti, pur essendo il ragazzo più giovane della squadra.

L’esplosione: il Porto

La strada verso la consacrazione planetaria passa obbligatoriamente dall’Europa. La prima tappa di James è il Porto, ma sarebbe potuta essere l’Udinese, a conferma di quanto il club di Pozzo sia all’avanguardia in Italia a livello di scouting. Il primo tecnico che James incontra in Europa è André Villas-Boas, per il quale, almeno inizialmente, è una riserva. È la stagione 2010/11, nel Porto non si prescinde da Falcao e Hulk, mentre il terzo posto nel tridente è spesso preso da Varela. James entra in pianta stabile nelle rotazioni da metà campionato in poi, ma riesce comunque a ritagliarsi il suo spazio nell’annata trionfale dei Dragões, che vincono campionato, Europa League e Coppa di Portogallo

James viene schierato da attaccante esterno nel 4-3-3, indifferentemente a destra o a sinistra, ma stringe nel mezzo per dialogare coi compagni e lasciare spazio alle discese dei terzini. Si trova spesso a giocare nel tridente con Varela e Hulk, con quest’ultimo in posizione di centravanti. L’intesa con James è fantastica: Hulk fornisce al colombiano 4 assist sui 6 gol stagionali, tra cui quello al Nacional, in cui si muove incontro per favorire il taglio da sinistra di James e lo serve con un colpo di tacco.

L’anno dopo, con Vitor Pereira in panchina, James diventa titolare e poi un elemento imprescindibile: il Porto perde nel tempo Falcao e Hulk e le responsabilità di James aumentano. Il livello delle sue prestazioni s’impenna e non è banale se si pensa che, quando lascia il Porto, deve ancora compiere 22 anni. Va per due stagioni di fila in doppia cifra in quanto a gol e i Dragões vincono altri due campionati (perdendo in tutto una sola partita).

Nella Champions League 2012/13, invece, il Porto viene eliminato agli ottavi dal Malaga, in un doppio confronto che James comincia sempre dalla panchina per via di una condizione non perfetta dopo un infortunio.

L’incidenza di James sul gioco del Porto cresce col passare del tempo, in particolare quando perde il compagno col quale aveva l’intesa migliore, Hulk, e diventa, col numero 10 sulla schiena, la calamita di quasi tutti i palloni che arrivano nella metà campo offensiva. È lui il riferimento, il primo giocatore da cercare una volta superata la linea di centrocampo. Parte sempre dalle fasce, ma finisce regolarmente nel mezzo a dirigere la fase offensiva, per la felicità del suo nuovo compagno di giochi, il connazionale Jackson Martínez. Alcune combinazioni sono straordinarie dal punto di vista tecnico (tipo questo tocco sotto di James, controllato di petto da Martínez e poi girato in rete in rovesciata), in altre Martínez deve solo scattare e aspettare il passaggio filtrante di James.

In un’intervista a due è stato chiesto loro se avrebbero scambiato il compagno con un altro calciatore: “Non lo so, è difficile...” la risposta di Martínez, “Messi, Ronaldo...” l’ha interrotto James, “Sì, ma la qualità e la maturità che ha lui sono difficili da trovare”, ha continuato Martínez, che nella stessa intervista ha profetizzato, un anno e mezzo prima dell’effettivo trasferimento: “James può giocare in qualsiasi squadra, Barcellona, Real Madrid...”.

Questa qui sotto è l’immagine-manifesto delle coppie affiatate: Martínez scatta e James lo mette davanti al portiere. Sembra facile.

La consacrazione: il Monaco

Dopo tre anni e tre campionati vinti al Porto, James viene mosso dal burattinaio più potente del calcio, Jorge Mendes, che lo porta al Monaco del ricco proprietario Rybolovlev. James è per distacco il miglior giocatore della stagione del Monaco: la sua incidenza nel gioco è simile a quella di Ibrahimović nel Paris Saint-Germain. Totalizza 12 assist, più di chiunque altro in Ligue 1 quell’anno, ha una media di 2,5 passaggi che hanno portato al tiro un compagno a partita (secondo dato più alto del campionato dopo Valbuena), è il primo giocatore del Monaco per dribbling completati, il secondo per media di tiri a partita (2,6), coi quali segna 9 gol, uno meno del capocannoniere di squadra, Emmanuel Rivière. Insomma, se il Monaco crea pericoli molto probabilmente c’è di mezzo James.

Per la prima volta (Nazionale esclusa) viene impiegato stabilmente da trequartista, d’altronde lo stesso Claudio Ranieri dichiara pubblicamente: “James è il mio numero 10”, e lo schiera sia dietro un’unica punta con Ocampos e Ferreira Carrasco ai suoi lati, sia dietro due punte nel centrocampo a rombo.

Il numero 10 è una sorta di ossessione per James: “L’ho sempre indossato, è da quando avevo 5 anni che volevo avere il 10. Era importante sapere che ero il regista, perché mi piace prendermi delle responsabilità. Al Monaco ho mantenuto il numero, è diventata un’abitudine praticamente”.

La sua importanza nel gioco del Monaco è data anche dalle attenzioni che riceve dagli avversari.

Calamita di palloni ma anche di avversari: circondato a volte anche da quattro giocatori, James libera spazi per i compagni, nel caso mostrato sopra si tratta di Moutinho sulla destra.

Anche Ranieri, comunque, ha sfruttato la duttilità di James e in qualche partita l’ha schierato sulla fascia destra, quella da cui gli viene più naturale tagliare verso il centro.

È capitato ad esempio nella gara di ritorno contro il Paris Saint-Germain e la posizione di James è stata fondamentale per il pareggio: stringendo nel mezzo ha attirato Maxwell, creando così lo spazio per la discesa di Fabinho, il cui cross ha causato l’autogol di Thiago Silva. Non rientra fra gli assist né tra i passaggi chiave, ma la giocata di James è comunque decisiva.

La sfida: il Real Madrid

Il Real Madrid è la grande occasione, ma anche la sfida della carriera di James. Finora è stato abituato a essere la stella della squadra, il fulcro del gioco. A Madrid deve condividere spazio e palloni con tanti campioni affermati e con il più ingombrante di tutti, Cristiano Ronaldo, sorridente e disponibile finché non diventa tuo compagno.

Tutti i calciatori del Real Madrid, anche se pagati 100 milioni (vedi Bale), devono fare i conti con lo strapotere di CR7, che condiziona il gioco e la posizione in campo dei compagni. James non ha fatto eccezione da questo punto di vista e ha capito in fretta cosa significhi giocare con Cristiano Ronaldo.

Il colombiano ha riempito il vuoto lasciato da Di María nell’undici ideale del Madrid: partendo quindi da interno dal lato dove staziona CR7 ha dovuto adattarsi e muoversi in funzione del portoghese. Ciò significa anche lasciargli spazio tra le linee e allargarsi sulla fascia, da vera ala.

In fase difensiva, poi, James deve coprire CR7 e la sua avversione a ripiegare e a seguire il terzino avversario. Nulla di nuovo: Ancelotti già nella scorsa stagione aveva risolto la cosa facendo abbassare l’attaccante destro (Bale o Di María) sulla linea dei centrocampisti e allargando la mezzala sinistra (Di María o Isco) a disegnare un 4-4-2 che non lasciava scoperta nessuna zona del campo. Anche a James, quindi, tocca il sacrificio in copertura.

Ancelotti, in pratica, non ha cambiato il sistema che ha portato la Décima, ma ha inserito e adattato James, abbassando il suo raggio d’azione rispetto alle abitudini. Ciò significa portare a un livello più maturo e avanzato la ricerca del controllo e dell’equilibrio che l’aveva spinto la scorsa stagione ad abbassare Di María a centrocampo.

L’ingresso di un ragionatore come James permette al Real Madrid di controllare i ritmi della partita con maggiore facilità e abbassa ancora di più le possibilità di perdere la palla: James, Kroos e Modrić potrebbero scambiare il pallone a due tocchi per 90 minuti senza mai sbagliare. Specie quando si è in vantaggio, è un’arma difensiva molto potente.

James non può però garantire gli strappi coi quali Di María era solito squarciare le difese avversarie. Ciò non significa che il Madrid abbia perso pericolosità nelle ripartenze, perché la precisione del colombiano consente di ribaltare velocemente l’azione con un semplice lancio.

Oltretutto, rispetto a Di María, James sa giocare nello spazio tra le linee (ovviamente quando non c’è Ronaldo), garantendo a Modrić e a Kroos uno scarico verticale e non solo laterale.

Il fatto di giocare più basso è comunque un limite e c’è il rischio che il potenziale di James non venga sfruttato completamente. Il Mondiale brasiliano ha mostrato in maniera chiara le sue qualità non solo di rifinitore, ma anche di finalizzatore: è ovvio che giocare più lontano dalla porta non lo aiuta.

James ha segnato o fatto assist soprattutto quando ha giocato al posto di uno tra Benzema, Ronaldo e Bale (in Liga l’eccezione è la perla al Deportivo La Coruña). In fase d’uscita, poi, pur potendo assicurare in linea generale un’alternativa sicura, la tendenza ad affidarsi troppo al proprio talento, tipica di tutti i calciatori di classe, può fare danni (si veda il gol preso dal Rayo Vallecano).

Il leader della Colombia

Solo in Nazionale James è stato messo nelle condizioni di potersi esprimere al massimo. Pekerman gli ha costruito intorno una rete di protezione (due mediani incontristi) che gli permette di concentrarsi solo su cosa fare col pallone tra i piedi. D’altronde è la mente della squadra e non può sprecare energie a rincorrere gli avversari.

James diventa l’esempio ideale di quello che si chiama “cervello della squadra”, nel senso che il resto della squadra dà palla a James e aspetta di vedere cosa fa.

Tendenzialmente gioca da numero 10, ma anche quando viene schierato sulla fascia, ha molta libertà di movimento e va a prendersi il pallone in zone profonde per condizionare tutta la manovra una volta passata la linea di centrocampo. È difficile pensare a un’altra Nazionale che dipenda in maniera totale da un ragazzo di 23 anni: in questo momento non esiste Colombia senza James, un ragazzo cresciuto in fretta che ha tutto per diventare il più grande di tutti.

“Quando ha passato le visite mediche con il Real Madrid” ha raccontato il patrigno, Juan Carlos Restrepo, “l’ho chiamato e gli ho ricordato che è andato via da Ibagué da campione del Pony Fútbol, è andato via da Medellin portando l’Envigado in prima divisione, col Banfield ha vinto l’Apertura, col Porto ha vinto tutto e a Brasile 2014 è stato capocannoniere. Gli resta solo il Pallone d’Oro: conoscendolo, so che lo vincerà”.

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