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James Milner uomo squadra
06 giu 2019
La Champions League del Liverpool corona la carriera straordinaria di un calciatore troppo normale.
(articolo)
9 min
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Joe Public è un nome generico che viene usato per indicare l’uomo comune nel Regno Unito, l’uomo della strada intento a condurre un’esistenza non necessariamente fatta di carne né di pesce. È una forma lessicale in buone condizioni di salute, tanto che dal 1996 esiste anche una società di calcio con sede a Trinidad e Tobago che porta questo nome. "Joe Public" è anche il titolo di un popolare brano dei Rutles, band parodia dei Beatles dell’ex Monty Python Eric Idle, che parodizza il rivoluzionario brano "Tomorrow never knows" facendosi a sua volta canzone di protesta, e però affidando la propria rivoluzione a un Carneade privo di qualsivoglia argomento.

“My name is Joe Public / I'm sure you all know me / Sometimes they call me the ‘man in the street' / But I don't mind / I've got my place in society / I've got my feet on the ground [...] They know me for my common sense / They know they can't please all of me / They know I can't be fooled all of the time / I am what I am and I'm happy to be”

Mi è venuta in mente che la figura di Joe Public è straordinariamente vicina, almeno per come ce lo raffiguriamo nel nostro immaginario, a quella di James Milner, l’everyman più famoso d’Albione e probabilmente, al momento, anche il più soddisfatto d’Europa. Se i calciatori sono ormai una categoria sociale a parte, più vicina ai rapper e ai miliardari che a una qualsiasi persona che si possa definire "comune", James Milner è l'eccezione che conferma la regola. Milner, anzi, è persino troppo comune.

Di James Milner calciatore ovviamente si possono dire tante cose eccezionali, si può parlare del fatto che non abbia ruolo, oppure età, si può discutere del suo valore assoluto, el suo contributo fisico, tecnico e mentale al Liverpool di Klopp, oppure di quanti progressi abbia fatto dal giorno in cui Graeme Souness, suo allenatore al Newcastle nella stagione 2004/05, ebbe a dire che non avrebbe potuto vincere con una squadra intera di James Milner.

Eppure, che si trattasse di un giocatore diverso da tutti gli altri lo si era potuto intuire già nella stagione 2002/03, quando militava nel Leeds che l’ha cresciuto e svezzato. Milner ha debuttato in Premier League con il club di casa a 16 anni, diventando uno dei più giovani esordienti di sempre, e nel giro di pochi mesi ha messo a segno due reti importanti: la prima gli è valso il titolo di giocatore più giovane di sempre a segnare in PL (record battuto da Vaughan dell’Everton tre anni dopo); la seconda gli è valsa un riconoscimento tra normaloni che, a riguardarlo oggi, assume il peso di un’investitura ufficiale.

Nel gennaio del 2003 Milner ha segnato contro il Chelsea di Claudio Ranieri con un tiro da 16 metri, evitando con un tocco veloce la scivolata di un veterano del calibro di Marcel Desailly. A fine partita il Tinkerman, quintessenza della sobrietà di teoria e pratica calcistica, loderà la giocata del pupo avversario, aprendo di fatto una finestra sul futuro: due delle anime più candide mai apparse sul palcoscenico del calcio inglese fermano il tempo e si riconoscono ufficialmente, circondati da un mondo di squali.

Quello che c’è da aggiungere quindici anni dopo, preso atto del ricco palmares del giocatore, e del fatto semmai che sono propri i James Milner i giocatori fondamentali per far vincere qualsiasi squadra (fin troppo facile dirlo oggi), è che in un calcio sempre più espanso a livello comunicativo, legato alle stravaganze dei suoi calciatori, lo stile apparentemente anonimo al di fuori fuori del campo del numero 7 del Liverpool, è esso stesso un valore che arricchisce la narrazione intorno all’atleta.

Facciamo un esempio. Dopo la semifinale di ritorno contro la Roma della stagione 2017/18, al giornalista di BT Sports che chiedeva a Milner se non avesse voglia di festeggiare con qualche bottiglia di vino rosso italiano, questi ha risposto: «Forse un paio per i ragazzi, io magari mi prendo una Ribena».

Per chi non ne ha mai assaggiata una: la Ribena è un analcolico a base di ribes che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva la fama di essere un toccasana per i bimbi britannici in debito di vitamina C. Questo per dire l’ésprit de vivre.

«Sticks and stones may break my bones / But names can never hurt me»

Il maggiore sponsor mediatico del calciatore è un account twitter che gli fa il verso, il nome è tutto un programma: "Boring James Milner". I tweet che pubblica sono del tipo: «I’ve just interrupted Jurgen’s half time team talk to say If we keep a clean sheet in the second half then we’ve won the Champions League. Jurgen said Thanks James. I said No problem» ("Ho interrotto il discorso di fine primo tempo di Jurgen per dire che se riusciamo a non prendere gol nel secondo tempo abbiamo vinto la Champions. Jurgen ha detto: Grazie James. Ho risposto: Non c'è problema".

Oppure: «I just asked Jurgen if he's nervous for tonight's game. He said Yes James. But not more than usual. I said Are you sure Jurgen? Because you've lost your last 6 cup finals. He said Not now James». "Ho chiesto a Jurgen se era nervoso per stasera. Ha detto: Sì, James, ma non più del solito. Ho detto: Sei sicuro Mister? Perché hai perso le tue ultime 6 finali. Ha risposto: Non ora James".

Sono un esempio di come venga percepito Milner dall’ambiente sportivo-mediatico di casa sua. Questo è il massimo che si può immaginare di lui, un rivoluzione se consideriamo gli exploit a cui è abituato il pubblico del Liverpool (viene in mente quella volta in cui nel 2007 Craig Bellamy minacciò John Arne Riise di morte poiché si era rifiutato di cantare al karaoke, in un albergo di Barcellona a pochi giorni di distanza dell’andata degli ottavi di finale contro i campioni in carica). E l’aspetto più buffo è che ad andare sul profilo vero di Milner la musica non cambia poi di tanto. La parodia di Milner non è così distante dalla sua reale linea comunicativa.

Il suo account personale abbonda di foto monocorde in cui è impegnato sul campo da gioco o d’allenamento, con didascalie lapidarie e povere di layers che vanno ben sotto i 160 caratteri consentiti: “One more push”, “Fight till the end”, “Massive”. Persino il tweet con cui festeggia la vittoria della Champions contiene degli hashtag talmente anonimi da risultare quasi scoraggianti per chi cerca nel proprio beniamino quel guizzo in più: #6times, #hellobigears, #enjoytonight, #goingoffliverpooltomorrow. Sembra quasi un telegramma con cui aggiornare i congiunti sui propri spostamenti.

A scorrere il profilo di Milner, però, si nota a un certo punto una felice eccezione, risalente sempre al post-gara di Roma-Liverpool del 2018: il giocatore posta un fermo immagine del momento in cui il rinvio di Lovren urta il suo faccione squadrato e prende la direzione della porta, per quello che sarà il suo autogol. La didascalia stavolta spende qualche lemma in più a beneficio dell’ironia: "Sapete come si fa per togliersi il logo della Champions League dalla faccia?"

A testimonianza di come la realtà ci sorpassi sempre più a destra a semaforo verde, esistono anche video online di Milner che legge i tweet di "Boring James Milner", e sembrano non solo verosimili ma una rivendicazione fiera di copyright.

Eppure, nella stagione appena trascorsa, c’è stato un episodio in particolare che ha lasciato intravedere un grain of salt significativo, niente affatto scontato. Durante la semifinale di andata di UCL contro il Barcellona, Lionel Messi, uno dei migliori giocatori mai esistiti, forse nervoso per la durezza dei suoi interventi, offende Milner che racconta il retroscena del diverbio con l’asciuttezza di dettagli che gli è più congeniale:

«Me ne stava dicendo di ogni in spagnolo anche mentre andavamo giù nel tunnel all’intervallo. Mi chiamava ‘burro’, che significa ‘asino’, ma credo che nel calcio spagnolo si usi come termine generale per riferirsi a qualcuno che prende a calci gli avversari. Gli ho chiesto se si era fatto male, ma non ne voleva sapere. Non credo abbia capito che riuscivo a tradurre dal suo spagnolo. Mi ha detto: Quel fallo che hai commesso l’hai fatto perché ti ho fatto un tunnel».

In questo scontro ci sono due mondi opposti del calcio a confronto, la sofisticazione e l’essenzialità, il calcio come arte e il calcio come artigianato. Eppure stavolta è l’essenzialità a fare una figura migliore, a sembrare persino elegante.

La James Milner Foundation

Si potrebbe indugiare per ore a mettere in mezzo Milner, ma si commetterebbe un sacrilegio perché equivarrebbe innanzitutto a negare la legittimità di un atteggiamento ordinario in un settore sempre più fuori di testa. Si sminuirebbero anche le imprese sul campo di chi ha vinto a sufficienza per poter contestare ogni detrattore convinto che la sua vis sportiva sia connessa alla sua vis dialettica (si gioca come si vive, in fondo). In ultima analisi, soprattutto, si farebbe uno sgarbo a quello che il giocatore è occupato a realizzare fuori dal campo, con la sua Fondazione.

Milner infatti è anche il nome del suo ente di solidarietà che si occupa di promuovere attività ricreative e sane per i ragazzi e le ragazze del Regno Unito, così come di creare opportunità per i giovani atleti privi di risorse economiche necessarie allo sviluppo della propria passione (e sì, per opportunità si intende anche l’assistenza economica diretta).

Di fronte alla causa che Milner ha sposato, presumibilmente provando a restituire alla società che lo circonda un po’ del benessere che ha portato alla ribalta un tipo ordinario come lui, l’atleta perde ogni incertezza espositiva, il suo dire buffo e anonimo diventa un onesto racconto di una persona appassionata, impegnata, empatica. Il suo essere "comune" non è un limite, anzi è segno che parliamo di un essere umano completo, "vero".

A testimonianza di ciò, il racconti di John Bradley, tifoso del Liverpool, che all’indomani della vittoria storica ha raccontato nel corso della prima parte di stagione, quando suo figlio piccolo lottava in ospedale per la propria vita, James Milner gli telefonava ogni giorno per incoraggiarlo e sincerarsi delle condizioni del bimbo. James

Anche per quanto riguarda la questione della Ribena, la monotonia della risposta a un anno di distanza acquista una sfumatura di autoironia che non solo redime quell’assenza di rock'n'roll che fu, ma esalta la capacità di Milner di prendersi gioco di sé. Anzi, non tanto di sé stesso, quanto dell’immagine che abbiamo di lui. Allo stesso giornalista di BT Sports, infatti, dopo la vittoria della Champions League James ha risposto: «Adesso probabilmente mi butterò su qualcosa di più esotico, che so, lime o limonata».

In definitiva è proprio questo che lo rende speciale. Al di là della sua straordinaria polivalenza, l'intelligenza tattica, la consistenza, la mentalità e il talento sportivo assoluto (Klopp ha detto che Milner gioca a golf quasi come un professionista). Al di là nemmeno i tanti trofei vinti in carriera (qualcuno forse ha dimenticato le due Premier vinte con il City). James Milner con la sua dialettica asciutta, col suo musone perplesso e le sue orecchie a sventola, nel momento stesso in cui ha alzato la sua prima Champions League sopra la sua testa, ha celebrato la vittoria di tutti i Joe Public d’Europa. Ma non il Joe Public ignavo e meschino cantato da Rutles, bensì quello che si tiene stretti i suoi pregi senza bisogno di sbandierarli.

«I am what I am, and I’m happy to be».

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