Se si volesse estrapolare l’infortunio di James Wiseman dal suo contesto, sembrerebbe un normale contrattempo nella stagione da rookie di un giocatore di talento. È già capitato a moltissime prime scelte del passato, specialmente tra i lunghi, di subire dei gravi infortuni e di saltare anche l’intera stagione da rookie, come per esempio Joel Embiid (addirittura due anni fuori prima di debuttare) o Ben Simmons (una stagione di assenza), senza che questo intaccasse il raggiungimento del loro potenziale negli anni successivi.
La rottura del menisco del ginocchio sinistro subita dal lungo dei Golden State Warriors contro Houston, allora, non dovrebbe essere un grosso problema di per sé. Certo, sarebbe stato auspicabile vederlo in campo il più possibile per accumulare esperienza, ma non è di certo un infortunio di questo tipo a impedire un suo completo e totale sviluppo fino a diventare il giocatore che promette di diventare. Non lo sarebbe stato nemmeno la rottura del legamento crociato o del mediale, visti i soli 20 anni appena compiuti.
Eppure per certi versi non c’è notizia peggiore per il presente e per il futuro degli Warriors di questo infortunio che potrebbe (anzi: dovrebbe) fargli perdere il resto della stagione. Perché su James Wiseman la squadra della Baia ha investito tanto del suo futuro e perché è stato scelto al Draft non solamente per quello che potrà dare negli anni a venire, ma anche per la prospettiva che occupasse subito il ruolo di centro titolare di una squadra con ambizioni di playoff. Ruolo per il quale Wiseman si è rivelato impreparato, ponendo tutta una serie di domande a cui Golden State non sa se è pronta a rispondere ora come ora.
Tutti i problemi della stagione di Wiseman
In una ipotetica lista delle attenuanti generiche, James Wiseman spunterebbe tutte le caselle. Tutti i rookie di questa stagione hanno avuto una marcia di avvicinamento al professionismo del tutto particolare, tra un Draft ritardato ad autunno inoltrato e la mancanza di una Summer League con cui cominciare a farsi le ossa, venendo immediatamente gettati nella mischia del training camp. Wiseman però ha avuto l’ulteriore ostacolo di una stagione universitaria a Memphis durata a malapena tre partite per i ben noti problemi di eleggibilità, a cui si è aggiunta la positività al COVID-19 non appena arrivato nella Baia saltando tutto il training camp e la pre-season con i compagni.
Ciò nonostante, coach Steve Kerr lo ha subito schierato da titolare — anche per mancanza di alternative, vista l’assenza di Draymond Green — e Wiseman ha mostrato dei buoni sprazzi di talento sia contro Brooklyn che contro Milwaukee, seppur in due partite da cui gli Warriors sono usciti con 65 punti di scarto complessivi rispetto contro le due contender dell’Est. Il rookie però ne ha segnati 37 in due gare facendo intravedere un potenziale offensivo intrigante, segnando anche cinque triple sui primi sei tentativi della sua carriera. Peccato che nel resto della stagione — tolto un estemporaneo 3/3 contro Minnesota a fine gennaio — ne abbia messe solo quattro su 29 tentate, ma soprattutto sia sembrato decisamente perso una volta in campo, regredendo invece di progredire.
La sua inesperienza e i suoi errori difensivi hanno portato Kerr a sostituirlo facendo partire al suo posto Kevon Looney nella speranza di sistemare la difesa ed essere competitivi. Una retrocessione che Wiseman ha gestito anche piuttosto bene dal punto di vista caratteriale per essere una seconda scelta assoluta al Draft, ma poi sono subentrati gli infortuni. Ricadendo male dopo un tentativo di alley-oop si è procurato una distorsione al polso che lo ha costretto a saltare 11 partite, facendogli perdere tutti gli automatismi difensivi che stava cominciando faticosamente a costruire in termini di comprensione delle rotazioni, comunicazione e uso del corpo sotto canestro. Come scritto da Anthony Slater di The Athletic: “Marzo per lui è stato peggiore rispetto a gennaio, che non è mai un trend auspicabile per una matricola”.
A questi contrattempi si è poi aggiunto un classico errore di immaturità che ha mandato coach Kerr su tutte le furie. Durante la pausa per l’All-Star Weekend il rookie si è dimenticato di sottoporsi ai tamponi di rito e di conseguenza non ha potuto prendere parte all’allenamento alla ripresa delle operazioni — una giornata in cui il coaching staff avrebbe voluto sfruttare il tempo a disposizione per reinserirlo il quintetto e ristrutturare la rotazione per farlo giocare di più, modellandogli attorno il resto della squadra. La franchigia non ha fatto niente per minimizzare questo suo errore, con Kerr che lo ha tenuto in panchina per tre quarti della gara successiva contro i Clippers e ne ha parlato in termini anche piuttosto duri davanti alla stampa, senza nascondere la sua arrabbiatura e la sua frustrazione.
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Steve Kerr è notoriamente uno degli allenatori più comunicativi della NBA: quando risponde a monosillabi non è mai un buon segno per il giocatore coinvolto.
A sua discolpa bisogna dire che Wiseman ha ammesso il suo errore e ha risposto con 14 punti nel garbage time contro i Clippers e altri 16 qualche sera dopo contro Utah, anche se successivamente si è di nuovo dovuto fermare per tre partite per motivi legati al protocollo salute e sicurezza. Dal 23 marzo in poi si è ripreso il posto da titolare e i risultati, un po’ come in tutta la stagione, sono stati decisamente altalenanti: una buona prestazione seguita da una pessima, qualche lampo di talento e solidità seguito da errori di inesperienza e mancanza di comprensione del gioco, specialmente nella metà campo difensiva dove ha il peggior Defensive Real Plus-Minus tra gli 84 centri scesi in campo in questa stagione.
Dopo una trasferta a Est in cui Golden State ha subito tre sconfitte pesanti a Miami, Tampa Bay e Atlanta con 66 punti di scarto complessivi (ok, 53 solo contro i Raptors, ma ci siamo capiti), Kerr ha provato ad alleggerire ulteriormente il playbook della sua squadra aumentando il numero di pick and roll per coinvolgerlo nell’attacco, anche a costo di marginalizzare la presenza di Draymond Green in un angolo (dove viene platealmente ignorato da chiunque, come ha dimostrato Bradley Beal). Wiseman ha risposto con due prestazioni incoraggianti contro Milwaukee (13+10, terza doppia doppia della sua stagione) e Washington (18 con 9/11 al tiro), salvo poi infortunarsi contro Houston dopo aver segnato 6 punti nei primi 6 minuti di gara, mettendo probabilmente fine alla sua stagione.
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La prestazione contro Milwaukee, forse la più incoraggiante dell’ultimo periodo in cui è stato titolare.
Il ponte verso il futuro
Se i Golden State Warriors fossero una squadra come le altre, tutto questo sarebbe semplicemente normale: un giovane giocatore di talento che fatica ad adattarsi alla NBA nella posizione di lungo. Il problema è che gli Warriors non sono (e nemmeno si considerano) una squadra normale: avere ancora in campo i giocatori più importanti nella storia della franchigia in Steph Curry e Draymond Green impone alla dirigenza e alla proprietà l’obbligo morale di competere o almeno di provarci. Già lo scorso anno è andato come è andato e anche se questa stagione è nata sotto la pessima stella del secondo grave infortunio di Klay Thompson, l’aspettativa era che gli Warriors avessero abbastanza talento per poter conquistare un posto ai playoff, magari senza nemmeno passare dal torneo play-in.
Invece ora come ora Golden State riesce a malapena a rimanerci dentro, visto che sono decimi a Ovest con New Orleans che sta risalendo forte da dietro sulle spalle di Point Zion portandosi a una sola gara di distanza. Il tutto nonostante uno Steph Curry ancora in grado di serate magiche pur avendo scollinato i 33 anni e che li ha tenuti in qualche modo attorno al 50% di vittorie, in una stagione in cui sta sfiorando il 60% di percentuale effettiva (quarto miglior dato della carriera).
Non benissimo per una squadra che costa uno sproposito — il monte salari è di 169 milioni di dollari e la conseguente luxury tax viene stimata in 116.1 milioni da Spotrac —, specie in un mondo post-pandemico senza tifosi sugli spalti a foraggiare lo sforzo economico già fatto per costruire il Chase Center a San Francisco. Una proprietà non può permettersi di spendere 300 milioni di dollari per una squadra a rischio di rimanere fuori dai playoff: non è così che funziona la NBA.
Nello scenario ideale prima di questa stagione Wiseman doveva essere il giocatore che teneva tutto assieme, quel talento capace di mantenere competitivo il nucleo storico di Curry, Green e Thompson ma allo stesso tempo di rappresentare il ponte verso i futuri Warriors costruiti attorno a lui, sviluppando il suo talento. Oltre alle normali pressioni derivanti dall’essere la seconda scelta assoluta, il lungo ha dovuto sopportare questo ulteriore carico di aspettative interne a cui si sono aggiunte quelle esterne, visto che gli altri giocatori scelti in alto al Draft (Anthony Edwards e soprattutto LaMelo Ball) si contenderanno il premio di rookie dell’anno — una discussione in cui lui non è mai entrato neanche per sbaglio.
Forse è proprio questo il problema fondamentale: Wiseman in questa stagione ha fatto vedere qualche lampo e numerose lacune e, considerate le attenuanti generiche di cui sopra, è pressoché certo che diventerà un buono/ottimo titolare per il resto della sua carriera, perché comunque quel fisico unito a quelle capacità tecniche sono una base troppo alta per fallire del tutto. Ma allo stesso tempo non sembra quel tipo di talento “generazionale” in grado di mantenere Golden State rilevante, di rappresentare il trait d’union per una franchigia che voleva mantenersi “anni luce avanti” rispetto alle avversarie e di andare ai playoff anno dopo anno dopo anno.
Di sicuro non lo è adesso, anche se gli Warriors si aspettavano che potesse contribuire da subito in un ruolo in cui avevano un chiaro buco da riempire (motivo per il quale non è stato scelto LaMelo Ball). Invece non è successo: non sono riusciti a svilupparlo e neanche a vincere le partite necessarie per un tranquillo posto ai playoff. E ora devono farsi delle domande scomode su cosa vogliono fare con i giocatori e il coaching staff che ne hanno fatto la storia.
La fine degli Warriors per come li conosciamo?
Con la consueta schiettezza che lo contraddistingue, Draymond Green ha fatto ampiamente capire di non essere minimamente interessato ad ammazzarsi solamente per raggiungere il torneo play-in, e che se va ancora in campo è per un obbligo nei confronti dei suoi compagni e della sua voglia di non perdere. Lo stesso Steph Curry giusto settimana scorsa non ha nascosto la sua frustrazione dicendo a chiare lettere che «tutti noi nello spogliatoio avevamo aspettative più alte» e che «perdere fa schifo».
Era probabilmente sbagliato fin dall’inizio aspettarsi che questa squadra, costruita in questa maniera e con quelle limitazioni dovute al monte salari, potesse performare meglio di così. Avendo già investito 130 milioni di dollari all’anno su quattro giocatori in Curry, Thompson, Green e Wiggins, la dirigenza non aveva alcun margine di manovra per migliorare il roster attorno a loro — nonostante lo sforzo economico di andare a prendere Kelly Oubre (che non ha funzionato per niente) che ha aumentato solo l’assegno da staccare per la luxury tax.
Ma la realtà dei fatti è che questa squadra non è a un Klay Thompson di distanza dal competere per il titolo — specie considerando che Thompson potrebbe non essere neanche pronto per l’inizio della prossima stagione, e certamente non sarà il mostro da 34 minuti a partita che si prende 10 triple a sera uscendo dai blocchi senza mai fermarsi e marcando l’avversario più pericoloso come era prima del doppio infortunio. E con ogni probabilità non lo sarebbe neanche nel caso (irrealistico) che Wiseman si ripresenti il prossimo anno già nella miglior versione possibile di se stesso, accelerando di due o tre anni il suo naturale sviluppo così da essere pronto subito a vincere al fianco di Steph, Klay e Draymond all’ultimo assalto del titolo. Non è neanche giusto aspettarsi che sia così. Quindi, che fare?
Golden State ha tra le mani la scelta dei Minnesota Timberwolves che potrebbe cambiare le loro prospettive, sia se rimanesse nelle loro mani (tornerà a Minnesota solo nel caso in cui sia una delle prime tre di questa Lottery) sia se venisse rimandata al prossimo anno (quando sarà totalmente non protetta). È probabilmente l’asset “non-proprietario” di maggior valore di tutta la lega, e con un giusto giro di palline una scelta alla 4 o alla 5 potrebbe valere moltissimo nel prossimo Draft — decisamente di più rispetto a quello appena passato, dove alla fine per la 2 non sono arrivate offerte irrinunciabili.
Golden State avrebbe bisogno di impacchettare quella scelta insieme a contratti e/o a Wiseman per arrivare a una stella fatta e finita in grado non solo di competere subito insieme ai Big Three, ma di fare quello per cui era stato designato Wiseman — cioè traghettare la franchigia verso il futuro. Non è chiaro davvero quale possa essere questo giocatore: di Bradley Beal si parla ormai da parecchio tempo, e sarebbe un’iniezione offensiva di livello eccezionale, ma un backcourt formato da lui e Curry può competere difensivamente per un titolo nei prossimi due anni? Karl-Anthony Towns sarebbe il profilo ideale, ma la proprietà di Minnesota dovrebbe cambiare mano nel prossimo futuro e difficilmente il nuovo gruppo guidato da Alex Rodriguez e Marc Lore vorrà presentarsi cedendo il giocatore più forte della squadra. E scandagliando il resto delle squadre messe peggio di loro, non si vedono molti altri candidati in grado di risollevarli davvero dal giorno uno.
Nel frattempo stanotte Steph Curry ha scritto un'altra pagina di storia della franchigia, superando Wilt Chamberlain come miglior realizzatore dei Golden State Warriors.
Magari alla proprietà degli Warriors sta bene così: continuare a mantenere alto il monte salari mostrando riconoscenza ai tre tenori e a Steve Kerr per provare a vincere, cercando di volta in volta il giusto incastro alla ricerca dell’alchimia perduta. E nel frattempo non compromettersi in altro modo, aspettando sia Wiseman che la scelta di Minnesota al Draft lavorando ai margini per trovare un supporting cast migliore di quello messo insieme finora. Al di là di tutto, gli Warriors rimangono pur sempre una squadra disposta a spendere in uno dei mercati più grandi degli Stati Uniti e con un valore di quasi 5 miliardi di dollari. Una ricetta che ti dà un vantaggio competitivo quasi automatico in questa lega.
Ma è un gioco costoso e che di questo passo continuerà a esserlo almeno per il resto del decennio. In estate infatti Curry potrà estendere il suo contratto (in scadenza nel 2022) per un totale di 215.3 milioni di dollari in quattro anni, portandolo a sfiorare quota 60 milioni nel 2025-26 quando avrà compiuto 38 anni. Ed è vero che stiamo parlando del più grande tiratore di tutti i tempi, quindi dovrebbe invecchiare in maniera più dolce rispetto ai suoi predecessori, ma le limitazioni fisiche non scompariranno con l’avanzare dell’età — anzi. Probabilmente per lui, come per Thompson e Green (in scadenza nel 2024), finire la carriera sulla Baia è più importante che andare a vincere da un’altra parte. Ma se dovessero chiedere di essere ceduti per provare a vincere ancora, gliene si potrebbe davvero fare una colpa?
Dopo l’ennesima domanda sulle prestazioni di Wiseman, qualche giorno fa Steve Kerr ha scherzato un po’ nervosamente dicendo di non essersi ricordato di fare il “Daily James Wiseman Report Card” — come se ogni partita dovesse rappresentare un banco di prova per il rookie. In un certo senso, però, è stato proprio così: come ha scritto John Hollinger prima dell’infortunio, “la realtà è che se Wiseman fosse solo un giocatore normale, sarebbe probabilmente la fine per l’era degli Splash Brothers. E per questo uno potrebbe sostenere che Wiseman sia il giocatore più importante del resto della regular season”. Ora che la salterà per intero, sulla Baia si ritrovano con ancora più domande rispetto alle risposte che speravano di ottenere.