Al terzo turno degli ultimi Australian Open, Jannik Sinner ha sfidato il giapponese Taro Daniel perdendo il secondo set per 6-1. Quella tra Sinner e Daniel è la classica sfida a specchio tra due tennisti che pressappoco hanno lo stesso stile di gioco, ma tra cui uno è decisamente più forte dell'altro, tale per cui la partita dovrebbe scorrere via liscia. Alla fine l'italiano ha prevalso in quattro set abbastanza nettamente, ma non è sfuggito un suo labiale nel corso di un cambio campo nel quale si rivolgeva al suo coach Riccardo Piatti: «Uso la testa, ma tu stai calmo cazzo, non ce la faccio più. Stai calmo».
L'episodio ha destato un certo scalpore, soprattutto perché ha riguardato Sinner: un personaggio di solito ligio ai confini dell'indottrinamento. In realtà non era la prima volta che Sinner se la prendeva col suo allenatore: fonti hanno rivelato che fosse accaduto anche all'ultimo US Open, poco dopo le Olimpiadi a cui Sinner ha deciso di non partecipare, scatenando non poche polemiche presso la stampa italiana, non solo quella sportiva ma anche quella generalista.
L'annuncio della separazione tra Sinner e Piatti, seguìto appena pochi giorni dopo lo sfogo dell'altoatesino a Melbourne, ha suggerito l'automatica correlazione tra i due avvenimenti. La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, ma a differenza di quanto ipotizzato da qualcuno è molto più probabile, che il tennista stesse coltivando da tempo una diffidenza verso il suo coach. Conoscendo Sinner, è difficile immaginare a un semplice colpo di testa dopo la sconfitta ai quarti dell'Australian Open contro Stefanos Tsitsipas.
In questa Tsitsipas era ispiratissimo, ma la linearità del gioco di Sinner ha finito per"mettere in palla" il greco.
Vale quindi la pena provare a ricostruire da quando e da cosa può essere nata una decisione così inattesa. Lo scalpore destato nel pubblico rappresenta un segnale positivo su quanto i nuovi talenti italiani stiano alzando l'interesse verso il tennis, che negli anni Novanta sembrava quasi dimenticato. Un divorzio che rappresenta un bivio verso quello che tutti, da ormai più di due anni, considerano la più grande promessa del tennis azzurro oltre che il principale candidato a riportare in Italia uno Slam al maschile - anche se forse potrebbe prima provarci Matteo Berrettini nel prossimo Wimbledon.
I possibili disaccordi tecnici
Il 6-3 6-4 6-2 rimediato da Tsitsipas a Melbourne non è la prima sconfitta che Sinner subisce contro giocatori sulla carta più forte. Negli ultimi mesi Sinner ha perso contro Medvedev alle ATP Finals, contro Zverev allo US Open, contro Nadal sia a Roma che al Roland Garros e contro Djokovic a Montecarlo. Contro tutti questi giocatori Sinner non ha mai vinto neanche una volta nel 2021 e, soprattutto, in queste partite si è aggiudicato un solo set, quello al tie-break contro Medvedev a Torino. Complessivamente Sinner ha battuto soltanto una volta sia Tsitsipas che Zverev, entrambi nella stagione su terra del 2020: a Roma il greco e a Parigi il tedesco. La sensazione di non poter competere oltre certi livelli è di certo alla base della rottura.
È chiaro che stiamo parlando di un tennista classe 2001, dalla carriera ancora molto giovane e resa ancor più breve dalla lunga sosta per il Covid nel 2020. Eppure Sinner è nel circuito maggiore da quasi tre anni ed è fisiologico che da qualche mese, forse nello specifico dalla stagione su terra 2021 in poi, abbia sentito che il suo percorso di crescita sia entrato in una fase di stagnazione. È anche probabile che i miglioramenti dei giovani canadesi Shapovalov e Auger-Aliassime - oltre alla rapida ascesa di Alcazaraz, più giovane di due anni - abbiano fatto suonare un campanello d'allarme. Il tennis a disposizione di Sinner, in questo momento, non è all'altezza della sua ambizione, che è la più grande possibile: vincere uno Slam, diventare numero uno al mondo.
Tempo fa scrivevamo di Sinner come di un tennista capace di fare in modo fenomenale un numero limitato di cose. È anche stato questo uno dei segreti della sua precocità: ha avuto subito nella testa idee chiare su come trovare il suo tennis migliore ed essere competitivo. Non bisogna confondere però la precocità dei risultati con la precocità dei successi a livello più alto - Slam, Master 1000. Sinner ha comunque bisogno di un ultimo salto di qualità, quello di una migliore gestione dei ritmi e della varietà del gioco.
Quando si parla di Sinner si parla spesso della presunta assenza di un piano b. Una definizione tuttavia nebulosa, che al massimo racconta l'idea che possa vincere solo quando può tirare a tutto braccio e i colpi funzionano, senza variazioni sullo spartito. Sono critiche solo in parte fondate. Se Sinner è un tennista lineare, ha anche iniziato a lavorare per rendere complesso il suo gioco. Nella stagione su terra 2020 ha aggiunto la palla corta al proprio repertorio, che è stata uno dei segreti della sua vittoria su Zverev a Parigi. Con la guida di Piatti, l'altoatesino ha lavorato molto dal punto di vista tecnico anche nel 2021: negli ultimi anni il dritto ha iniziato a essere leggermente più arrotato - e quindi un po' più pesante e con qualche margine in più di sicurezza - senza aver perso velocità. Nei suoi tornei migliori del 2021 - Miami e Barcellona - Sinner anziché rispondere sempre in anticipo aveva deciso, sulla seconda dell'avversario, di partire leggermente più dietro e caricare la risposta di rotazione, per poi subito dopo guadagnare campo e iniziare a bombardare.
Anche contro un giocatore dalla seconda di servizio molto debole, Bautista Agut in semifinale a Miami 2021, Sinner aspettava a caricare la risposta da dietro, guadagnando campo per poi spingere dal colpo successivo
Piatti stesso, quindi, sapeva benissimo che un tennis puramente lineare non fosse sufficiente per corrispondere alle ambizioni di Sinner. Ci sono ancora degli ampi margini sia tecnici che tattici. Prendiamo il back, che non gioca quasi mai, e che è un problema soprattutto in fase difensiva anche in prospettiva futura, visto che dopo i 27-28 anni difficilmente potrà sempre arrivare in recupero in spaccata a sinistra. E anche le discese a rete presentano più o meno gli stessi problemi, sia di posizionamento che di manualità, di qualche anno fa. Eppure fino alla sconfitta contro Alexei Popyrin a Madrid, il turning point negativo della stagione 2021, il gioco di Sinner stava progredendo in tutto il suo complesso.
Il rapporto di fiducia dal punto di vista tecnico potrebbe essersi invece incrinato in estate. Dopo Wimbledon, Sinner e Piatti hanno annunciato che sarebbero stati fatti dei cambiamenti importanti al servizio per migliorarne la resa: dopo qualche anno è tornato alla tecnica del foot-back, ovvero quella di non unire il piede destro al sinistro in caricamento, e ora alza prima la testa della racchetta in preparazione, oltre che lanciare più alto la palla. Eppure, per fare un esempio, dopo la vittoria a Sofia contro James Duckworth lo scorso ottobre Sinner sembrava già un po' titubante sull'effettiva resa di tutte queste modifiche messe insieme, sottolineando che «ci sono tante altre cose che seguono da cambiamenti di questo tipo».
Per quanto il servizio di Sinner abbia effettivamente mostrato qualche progresso, il trade-off tra la fatica nel cambiare almeno tre elementi del movimento e il loro effettivo beneficio non è stato così positivo. Il servizio di Sinner non è ancora abbastanza incisivo da regalargli molti punti gratis per rifiatare o nei momenti importanti; anche la seconda è ancora poco dotata di effetti, piuttosto morbida e molto attaccabile. Altri tennisti, con le loro modifiche al servizio grazie ai nuovi allenatori - Cilic con Ivanisevic, Nadal con Moyá, Djokovic con Becker prima e con lo stesso Ivanisevic poi - hanno ottenuto risultati più efficaci attraverso meno cambiamenti tecnici, ma forse più mirati.
Quale nuovo percorso tecnico-tattico?
Insomma, forse alla base della rottura con Piatti c'è qualche insoddisfazione tecnica. Pochi giorni fa Sinner ha ufficializzato l'ingaggio del nuovo coach, Simone Vagnozzi, motore della scalata di Cecchinato qualche anno fa. Eppure rimangono i rumor di un possibile ingaggio anche di Magnus Norman. Possiamo dedurre che Sinner non fosse del tutto soddisfatto della strada più complessiva del suo tennis; e cioè che abbia pensato che, tornando al discorso precedente, il suo piano-A non sia sufficientemente forte, neanche in prospettiva, per portarlo ai successi più importanti senza una revisione della gestione del suo stare in campo.
Nei suoi momenti migliori, Sinner è un giocatore che riesce a stare sopra la velocità di palla dell'avversario, bombardandolo a catena con entrambi i fondamentali eseguiti stando praticamente sopra la linea di fondo e con violentissime accelerazioni degli avambracci. Nei suoi momenti peggiori, tuttavia, Sinner o rallenta troppo la spinta, concedendo palle attaccabili, pulite e non troppo angolate all'avversario, oppure insiste ad accelerare andando però fuori giri. Difficilmente vediamo Sinner variare velocità, traiettorie e angolazioni ai colpi con la possibilità, quindi, di trovare la soluzione migliore per il punto specifico, modificando anche spartito in base soprattutto alla fiducia del momento in un determinato colpo. Ed è vero che magari neanche altri giocatori - soprattutto Zverev - sono così in grado di farlo, ma evidentemente il loro piano-A, nel caso specifico del tedesco il servizio, funziona di più.
Due punti emblematici di una partita altrettanto emblematica in questo senso: la sconfitta contro Murray a Stoccolma. Quando Sinner abbassa troppo il ritmo di gioco, diventa attaccabile anche da un tennista a fine carriera e che non ha mai fatto della fase di attacco il proprio trademark.
In passato Norman ha issato ai massimi livelli due giocatori che, per caratteristiche tecniche ma soprattutto tattiche, assomigliano molto a Sinner. Il coach svedese ha portato in pochi mesi un già 25enne Robin Soderling dall'essere un "normale" top 30 a raggiungere due finali consecutive al Roland Garros - battendo Nadal nel 2009 e Federer nel 2010 - piazzandosi come top 5 fisso per due stagioni intere, vincendo un Master 1000 a Parigi-Bercy. Dopodiché, con lui, Stan Wawrinka ha compiuto l'ultimo salto di qualità che lo ha portato a trasformarsi da mina vagante del circuito a vero e proprio favorito nei grandi tornei, con 4 finali Slam di cui 3 vinte.
Soderling e Wawrinka, con Norman, hanno potuto toccare poco dal punto di vista tecnico nel loro gioco - avevano rispettivamente 24 e 27 anni quando lo hanno assunto come coach - ma ne hanno beneficiato soprattutto dal punto di vista tattico. Norman è riuscito a dare ordine a due giocatori molto dotati di potenza e pericolosità di entrambi i colpi da fondo, meno invece dal punto di vista atletico e soprattutto della continuità. Sinner sembra essere proprio l'evoluzione storica di questa tipologia di tennisti, un bombardiere dotato però anche di grande agilità sul piano difensivo e del contrattacco.
È quindi probabile che Sinner sia interessato a Norman per raggiungere lo stesso obiettivo di Soderling e Wawrinka: ottenere il massimo dalla gestione, complessiva ma anche nel singolo punto, di un tennis iper-aggressivo che però in alcune fasi rischia di perdersi. Dopotutto è proprio nelle partite più lunghe, quelle degli Slam, che la gestione diventa fondamentale per il successo: in un match che supera le tre ore molto spesso cambiano gli equilibri, che siano atletici, tattici o perfino climatici, per cui c'è sempre bisogno - anche nei piani tattici solitamente meno vari come quello di Sinner - di ricalibrare il proprio registro per ottenere il massimo da ogni fase della partita.
Il taglio del cordone ombelicale
Le questioni tecniche, tuttavia, non sembrano sufficienti per spiegare i motivi del divorzio tra Sinner e Piatti. Massimo Sartori, che di Sinner fu lo scopritore in Alto Adige segnalandolo proprio allo stesso Piatti, in una recentissima intervista a Il Messaggero è andato giù piuttosto pesante con il coach comasco, nonostante i loro apparentemente buoni rapporti: «Se Riccardo fosse stato davvero un padre, Jannik non lo avrebbe lasciato», ha sottolineato Sartori. Aggiungendo poi un dettaglio molto importante, forse cruciale della loro separazione: «Avevamo idee diverse su come crescere un ragazzo, io sapevo che in questa fase di sviluppo subentrano altre esigenze. Da un paio d'anni avevo visto un cambiamento importante in Jannik, io avrei visto che era insofferente da un po'. Se è l'allenatore che ha bisogno del giocatore, il rapporto non sta più in piedi».
Al centro delle incomprensioni sembra esserci proprio questa sorta di invadenza di Piatti, bisognoso in maniera spasmodica di Sinner per realizzare quel sogno, mai nascosto e ancora non realizzato, di vincere un Slam come coach. Si parla anche del fatto che Piatti sia stato eccessivamente decisionista nella programmazione dei tornei (Adriano Panatta lo ha definito «integralista»), compresa la scelta di saltare le Olimpiadi che di fatto ha messo Sinner alla gogna mediatica e che spiega forse la ribellione di qualche giorno dopo allo US Open. Ovviamente anche il fatto che Piatti non abbia mai vinto uno Slam e che sia stato lasciato da un Djokovic ancora teenager sono circostanze che possono aver pesato nel dare la spinta decisiva
Anche Ubaldo Scanagatta ha scritto di un Piatti «iperprotettivo», a tratti anche geloso di possibili consulenze di altri allenatori, a partire dallo stesso Sartori. Probabilmente anche l'annuncio di questa nuova figura, fatto da Sinner in Australia, ha trovato in disaccordo Piatti nel suo inserimento nel team. Il tutto a suggerire che quello tra il coach e il suo giocatore fosse effettivamente un rapporto tra padre e figlio, ma di quelli in cui a tratti le ambizioni del padre rischiano di soffocare il figlio strumentalizzandolo per ottenere soddisfazioni personali. Ecco allora che Sinner, per diventare grande e rendersi più autonomo, ha dovuto optare per quella che Freud definiva l'uccisione del padre.
Dopo aver mollato Piatti, Djokovic non ha comunque stoppato la sua corsa per diventare uno dei più grandi di sempre. Altri invece, come Gasquet lasciato da Piatti o Raonic che aveva invece lui stesso piantato il coach italiano, si sono persi e mai più ritrovati. Nella sua intervista, Sartori ha anche sottolineato come Sinner «non abbia paura dei cambi radicali, avendo già mollato lo sci per trasferirsi lontano da casa e tentare nel tennis». La sua scelta di affidarsi a Vagnozzi (in ogni caso un coach che ha raggiunto grandi traguardi), soprattutto mollando tutto il team di Piatti compreso il preparatore atletico Dalibor Sirola, appare un azzardo, ma solo Sinner sa invece quanto sia stata ponderata e maturata nella sua mente.