Certe partite di tennis sono esperienze estreme. Ore in cui il corpo e la mente di un essere umano vengono portati al limite delle loro possibilità. È uno spettacolo ricorrente nel tennis contemporaneo. La combinazione di miglioramenti fisici, tecnici, mentali dei tennisti, l’uniformazione delle superfici: tutto ha congiurato per creare uno sport così duro che l’assenza di contatto fisico sembra persino amplificare il senso di violenza in campo.
La partita tra Sinner e Medvedev è stata una delle più dure dell’anno; uno di quei match in cui capiamo cosa si intende con l’espressione, spesso vaga, di “partita d’alto livello”. È stato uno scontro di grande complessità strategica, sofisticazione mentale, brutalità fisica. Scambi lunghi come operazioni chirurgiche, game estenuanti e piccoli trucchi psicologici dissiminati qua e là. E alla fine del secondo set ci siamo chiesti quante energie ancora avesse Jannik Sinner. Quanto tennis gli rimaneva nelle braccia dopo queste settimane maestose, dopo queste bellissime giornate torinesi. Dopo la vittoria su Djokovic, dopo quella su Rune: dopo aver sfatato due tabù importanti; e soprattutto dopo quei due set che avrebbero stroncato chiunque. Medvedev stava giocando semplicemente troppo bene. Il tiebreak era stata una manifestazione d’autorità: 4 punti vinti direttamente col proprio servizio, mentre Sinner quasi non aveva messo la prima palla in campo. Il servizio di Jannik è migliorato, ma in quel set il confronto con uno dei migliori servitori del circuito era stato impietoso. Aveva servito il 53% di prime palle, contro l’81% di Medvedev (che nei primi 4 game nel set era stato attorno al 95%).
Era stata una fortuna vincere il primo set, allora, e vincerlo in quel modo. Giocando peggio del proprio avversario, ma girando dalla propria parte i momenti decisivi con un fiuto che non pensavamo potesse (mai) appartenergli. In quel momento però, alla fine del secondo, Medvedev stava dilagando.
Reduce dalle ultime due sconfitte, a Beijing e Vienna, il russo aveva cercato di cambiare strategia. Non poteva più limitarsi a restare a fondo campo per assorbire il tennis di Sinner, perché quel tennis non era più assorbibile. Se prima si poteva stare pazienti a remare da fondo, aspettando l’errore di Sinner, oggi una strategia tanto remissiva non è più possibile. Medvedev ha deciso quindi di giocare in modo più aggressivo, coi piedi dentro al campo, cercando di togliere il controllo dalle mani di Sinner, metterlo nella scomoda posizione di dover lui mettersi a contenere. Un’idea di dominio che parte dal servizio e coinvolge tutto il gioco - che gli aveva portato il doppio dei vincenti col dritto, e quasi il doppio col rovescio.
Nel primo set dominare non è bastato a Medvedev. È stata invece sufficiente una brevissima flessione - il tempo d’un battito di ciglia - per concedere il break a Sinner. Il tennis sa essere spietato, perdere talvolta pare facilissimo: Medvedev ha giocato meglio del suo avversario per mezz’ora, e poi si è trovato indietro nel punteggio. Per Sinner quel break è stata una scialuppa di salvataggio, che però è stato capace di guadagnarsi. In quel primo set è riuscito in qualcosa che non gli avevamo mai visto fare, almeno a questo livello: giocare col punteggio. Capire quali sono i punti da vincere, restare in equilibrio anche mentre l'avversario cerca di sovrastarti. Servire bene, concedere poco, capire le correnti del match e aspettare che la tempesta passi, guardare la partita con uno sguardo un po’ defilato e aspettare che venga dalla propria parte, assecondando i flussi. Una strategia militare da esercito asburgico, dove non perdere è più importante che vincere. Qualcosa che i giocatori più forti ed enigmatici negli ultimi anni sanno controllare come cavalieri jedi: Djokovic e proprio Medvedev, che due giorni fa ha vinto con Zverev aspettando che il suo avversario gli consegnasse la partita perdendosi nei momenti decisivi - come sotto ipnosi.
Sinner si è trovato tante volte nella posizione del perdente, in partite così. Colui che meritava di vincere e finisce per perdere chissà come. Oggi - come nelle ultime settimane - si trova dall’altro lato del campo. Un altro aspetto che ha migliorato, forse, o comunque un altro sintomo del momento benedetto che sta attraversando.
Fatto sta che dopo aver perso quel set Medvedev non s’è perso d’animo e ha alzato ulteriormente il proprio livello di gioco. Sinner resiste finché può. Nell’ottavo gioco di quel set sbarella, perché la prima palla non lo assiste più - specie il servizio in slice da destra che lo ha aiutato per tutto il match. In quel game però possiamo riconoscere tutti i grandi miglioramenti di queste settimane. Le variazioni, la palla corta, la possibilità di verticalizzare a rete appena possibile, e soprattutto una tenuta fisica spettacolare - al livello del più grande atleta del circuito in questo momento. Sinner, insomma, resiste ma poi cede al game di servizio successivo - corredato da qualche smorfietta di fatica che sembra il sintomo di una stanchezza più grande.
Medvedev serve su percentuali di prime impossibili. Se un giocatore come lui tira 8 prime su 10 sopra i duecento chilometri orari, su una superficie rapida come l’indoor di Torino, beh: non c’è niente che si possa fare, in sostanza. Anche perché anche il resto del gioco del russo gira ai volumi massimi. Da fondo i suoi colpi, ampi e violenti, cominciano a rompere la resistenza di Sinner; accompagnato quasi da un growling death metal che aumenta il senso di spavento. Nei suoi momenti migliori Medvedev sembra davvero una bestia magica che ti aggredisce nel bosco.
Quando si va al riposo Medvedev si fa medicare un fianco, ma ci sembra tattica: è difficile pensare che sia lui quello più stanco. Dopo due set del genere è facile aspettarsi un crollo di energie da parte del giocatore meno esperto, meno forte, meno abituato ad abitare quei livelli. Sinner sembra esaurito. Il conto delle partite con Rune e Djokovic stava arrivando. Le ultime settimane hanno però a che fare proprio con questa scoperta, e cioè con l’idea che Sinner può stare comodo anche ai vertici del tennis. Che ha aggiunto un serbatoio di energie - tecniche e fisiche - supplementare alle sue possibilità, a cui attingere quando le situazioni lo richiedono. E il Medvedev della semifinale rappresentava uno standard quasi impareggiabile nel tennis di questi tempi.
Quando il terzo set ricomincia, contro ogni aspettativa, Sinner lo prende subito in mano. Entra in campo più aggressivo, più centrato, assolutamente determinato a vincere quella partita per lui di grande sofferenza. Ottiene subito il break, resiste al ritorno del russo: riaggiusta il suo servizio. In quel momento abbiamo capito che il conto di quei due set lo stava pagando Medvedev, non Sinner. Una scoperta sconvolgente, in un certo senso. La percentuale di prime di Medvedev crolla, così come l’intensità del suo gioco da fondo. Sinner si porta avanti 4-1 e il suo tennis sale, continua a salire, invadendo tutto lo spazio possibile.
Non dimenticheremo facilmente quegli ultimi due o tre game, in cui Jannik Sinner è un fiume in piena. Gambe basse, al centro del campo, arma dritti e rovesci così pesanti da sentire il tonfo a terra. Così precisi da confondersi con le righe. E ogni dritto e ogni rovescio è un colpo di piccone sul muro da fondo eretto da Daniil Medvedev, il miglior difensore nel circuito oggi, sicuramente il più duro e resistente. Alto e secco come un incubo di Kubin, eppure forte come se le sue braccia fossero percorse da un intreccio di cavi d’acciaio. Sinner lo demolisce fino a costringerlo a recuperi goffi, a dritti sparacchiati, a servizi sfiniti. Fino a costringerlo a litigare col pubblico, a farsi scivolare dalle mani - cosa rara - il controllo mentale del contesto. A dominare soprattutto il rovescio, con un paio di accelerazioni lungolinea alla Djokovic.
Jannik Sinner è il primo italiano della storia ad arrivare in finale alle ATP Finals. Lo fa al culmine di un periodo di straordinaria crescita tecnica, fisica e mentale; in cui il tennis si è fatto facile contenitore metaforico della crescita e lo sviluppo di un giovane essere umano che realizza sé stesso. A cosa ci riferiamo? Per esempio al fatto che Sinner ha battuto 15 dei primi 16 giocatori al mondo nell’ultimo match disputato. L’unico ad averlo sconfitto è Alexander Zverev agli US Open. Se alcune statistiche sono decorative, questa è capace di raccontare anche da sola l’esplosione di un giocatore che fino a poche settimane fa non sapeva competere con i migliori giocatori al mondo.
Il suo approdo su questo inedito standard di gioco è una ricchezza non solo per noi appassionati italiani, ma per il tennis in generale. A queste Finals si sono qualificati i migliori giocatori al mondo, ed è significativo che si siano qualificati alle semifinali i primi 4 classificati della classifica mondiale. A Torino abbiamo visto il consolidarsi di un nuovo ordine ai vertici del tennis, e Sinner ne fa parte. Qualcosa che sapevamo che prima o poi sarebbe arrivato, ma non così presto, non così chiaramente.
A fine partita, nel solito rituale, la folla ha cantato il suo nome e stavolta Sinner non è riuscito a trattenere qualche lacrima.