• tennis
Emanuele Atturo

Salutate il nuovo numero uno del mondo

Jannik Sinner realizza uno dei suoi sogni, e uno dei nostri.

Per diversi minuti noi sapevamo che Jannik Sinner era diventato numero uno del mondo e lui no. Quando abbiamo letto la notizia del ritiro di Djokovic eravamo davanti alla tv a vederlo giocare, mentre lui era in campo nei quarti di finale del Roland Garros contro Grigor Dimitrov. Abbiamo percepito un lieve smottamento della realtà, come un vuoto d’aria. Non era cambiato niente, ma tutto sembrava diverso, e forse solo in quel momento ci siamo accorti che era una prospettiva realistica, che Jannik Sinner era davvero diventato il numero uno del mondo.

 

L’idea di avere un giocatore italiano al numero uno era così estrema da sembrarci inconsistente, appartenente a un piano di realtà impossibile, finché non è successo davvero. Dopo aver seguito Jannik Sinner per tutti questi anni, attraversando depressioni e frustrazioni, questo numero uno somiglia a un punto d’arrivo definitivo, che ancora sbiadisce un poco nella fantasia. A volte desideriamo così a fondo qualcosa che nel momento in cui lo otteniamo una piccola parte di noi muore.

 

Jannik Sinner non poteva sapere di quel cambiamento perché era nel luogo più isolato del pianeta terra, il campo da tennis, eppure in qualche modo sembra subire la vibrazione di quel cambiamento. Perde il servizio per la prima volta nel match e si fa agganciare da Dimitrov nel terzo set. Questi passaggi a vuoto, sempre più rari, sono però ormai irrilevanti. Il tennis per Sinner sembra essersi ridotto a una questione di volere. Con Moutet aveva perso le coordinate per un set, confuso dal gioco da illusionista del francese, e poi aveva vinto i restanti tre come se il suo avversario non fosse proprio una cosa seria. Con Dimitrov ha avuto bisogno del tiebreak, dove ha innalzato il suo gioco all’eccellenza senza sforzo apparente. Ha servito bene, chiuso ogni spiraglio, e tirato un passante vincente di rovescio che infine ha fatto la differenza.

 

Un altro punto importante del tiebreak. Sinner sorride, è quella una delle chiavi del successo.

 

Dopo c’è stato il momento della rivelazione, con una forma molto televisiva. Fabrice Santoro ha iniziato la sua intervista in campo e noi pensavamo “Diglielo! Diglielo! Diglielo!”, ma quello ha fatto finta di niente per le prime domande. Datti una mossa, pensavamo, e avremmo voluto essere noi in campo a dargli la notizia. Solo al termine dell’intervista c’è stato il momento in cui quello che sapevamo noi e quello che sapeva Sinner si è ri-allineato. «Non posso lasciarti senza dirti una cosa» dice Santoro, il pubblico urla, c’è una pausa in cui Sinner forse intuisce qualcosa e gli occhi gli si accendono: «Lunedì prossimo, all’età di 23 anni, diventerai il primo italiano di sempre numero al mondo». Sinner deglutisce ed è il momento in cui possiamo cogliere la sua felicità gocciolare sul volto dall’interno, in piccoli dettagli: le palpebre sbattute rapidamente, un sorriso pieno, risoluto, di una pace quasi religiosa. Sinner guarda la platea del Philippe Chartier ed è costretto a prendere coscienza di quel nuovo stato di cose, saluta con la mano, con cui poi si tocca i capelli e abbassa la testa imbarazzato. Passa quasi subito a fare gli auguri di pronta guarigione a Djokovic.

 

Cosa c’è di più Jannik Sinner che provare imbarazzo nel momento in cui raggiungi uno dei tuoi sogni?

 

Nel 2018, all’ITF Val Gardena, risponde alla domanda della giornalista «sarai soddisfatto se?»: «Se divento numero uno al mondo e se continuo a essere felice quando sono sul campo da tennis». In conferenza dirà essere felice di essere una parte del grande movimento del tennis italiano. Non il migliore, non l’eccellezza di quel movimento, ma una sua parte. L’arte diplomatica di Sinner sembra quella dei grandi campioni dello sport che in un’altra vita faranno i capi di stato. Ma in lui c’è qualcosa in più, un desiderio di mantenere privata anche la gioia, perché non bisogna mai mostrarsi superiori o anche solo diversi dagli altri, su un altro piano. Non tanto per una mentalità da sportivo ultra-agonista, ma per conformazione morale, per educazione famigliare e culturale. La profonda felicità si può indovinare dietro quel sorriso, in quei due secondi in cui la sua espressione si scioglie, gli occhi battono più rapidamente del solito, ma nulla di più. Sinner non ha vizi, al ristorante ordina pasta al pomodoro se gli altri piatti costano di più. La sua Alfa Romeo Stelvio è l’unico lusso che si è concesso, e la pulisce con i guanti verdi davanti al garage di casa nel delirio utopico piccolo borghese. Tutto questo non per avarizia ma per rispetto dei soldi, e consapevolezza del proprio posto nel mondo. Avere la residenza fiscale in Italia, e non a Montecarlo come tutti, sarebbe una forma di eroismo che non gli appartiene – e poi l’Alto Adige è terra di mercanti, e bisogna arricchirsi quanto si può, senza né avidità né pauperismo. Cosa direbbe allo Jannik che in Val Gardena sognava di diventare numero uno del mondo? «Che alla fine è solo un numero». Dice questa cosa non perché la creda davvero, e non per eccesso di understatement, ma perché sbrodolarsi davanti agli altri è immorale.

 

Non si poteva scegliere un momento migliore per raggiungere questo traguardo. Certo, è stato l’infortunio e il ritiro di Djokovic a certificarlo, ma questo ha reso il passaggio meno atteso, e ci ha regalato quel momento assurdo in cui abbiamo potuto guardare la faccia di Sinner mentre scopre di essere diventato il numero uno al mondo. La vittoria contro Dimitrov certifica i suoi progressi. La facilità con cui ha smantellato il gioco di uno dei tennisti più in forma del circuito, la semplicità con cui lo ha fatto sembrare impotente. Su una superficie che non dovrebbe essere teoricamente la sua preferita; su una superficie che avrebbe teoricamente favorire il suo avversario. Sinner si qualifica alla prima semifinale al Roland Garros: un risultato che ci sembra fisiologico e che appena un anno fa sognavamo.

 

Ecco, un anno fa Jannik Sinner rimediava da Daniel Altmaier la sconfitta più bruciante della sua carriera. Eravamo solo al secondo turno del torneo. Un piccolo manifesto delle sue fragilità mentali e tecniche. Il servizio che non funzionava, l’assenza di piani strategici alternativi al tirare tutto e i bivi decisivi imboccati sempre dalla parte sbagliata. Due palle break buttate nel secondo set, due matchpoint sciupati. Ad Altmaier, giocatore modesto, era bastato alzare le traiettorie dei colpi, rallentare lo scambio, per mandare in tilt Sinner. Una sconfitta lunga cinque ore e mezzo dopo la quale era stato difficile trovare le parole. Sinner era numero 9 del mondo, non aveva mai giocato una semifinale Slam. Ai microfoni, mettendo su una posa leggera, aveva spiegato il problema: non era stato sorridente in campo. Può suonare come una supercazzola new age, ma chi ricorda quel periodo riconosce la verità di quelle parole. In quel periodo Sinner era cupo, serio, e sembrava portare addosso una certa preoccupazione per i mancati miglioramenti della sua carriera. Aveva cambiato staff, si sforzava molto di modificare dettagli del suo gioco, ma non era chiaro se quei cambiamenti stavano funzionando o no. I risultati non arrivavano. Serviva con i piedi uniti, e poi con i piedi separati, e poi di nuovo uniti, e poi di nuovo separati. Cosa sarebbe successo se fosse rimasto per sempre a quel livello? Poteva davvero dirsi soddisfatto di essere un top-10, quando per tutta la vita aveva lavorato per essere il migliore? Lo avrebbe accettato? Del resto quanto bisogna essere folli per sognare di essere il migliore al mondo a fare una cosa?

 

Il 31 gennaio del 2018 batte Arvyn Goveas in Egitto e conquista i primi punti ATP, era tutto capelli e niente muscoli.

 

 

Il 27 agosto del 2018 perde da Heller in finale in Val Gardena ed entra nella top-1000.

 

Il 25 febbraio del 2019 vince il Challenger di Bergamo. Ha tagliato i capelli, la musica enfatica dei Queen crea un contrasto comico. «Non poteva che essere Bergamo a decretare la nascita della nuova stella del tennis italiano. Il suo nome è Jannik Sinner, 17 anni, da Sesto, a pochi chilometri dal confine con l’Austria, ed è un gran bella notizia che Sesto sia in territorio italiano». Lui non sa come comportarsi, vaga per il campo come uno che sta aspettando che il bagno si liberi. Gli danno il microfono in mano e inizia a dondolare, il pubblico ride quando ripete due volte al suo avversario che è sulla buona strada; lui ha il riflesso auto-ironico di scherzarci: «L’ho detto due volte, lo so». Continua a girare intorno con lo sguardo, ansioso d’essere circondato: «È la prima volta che gioco davanti a così tanta gente». Chi ha assistito a quel match con Marcora comincia a far circolare la voce di uno sbarco alieno. Gli regalano un impianto Sony, consegnatogli dall’avvocato Rodeschini, e un motorino giallo col cestello su cui è costretto a fare un giro. Già all’epoca aveva questa grande capacità di far passare le persone attorno a lui per degli scemi.

 

 

Il 22 luglio del 2019 entra tra i primi 200 giocatori al mondo. Vince la sua prima partita ATP battendo Steve Johnson agli Internazionali d’Italia dopo aver perso il primo set 6-1. Nelle pre-qualificazioni di quel torneo ha battuto Lorenzo Musetti. Ai microfoni quasi si scusa per non mostrare troppo le sue emozioni.

 

Il 12 ottobre del 2020 vince le Next Gen Finals. È il più giovane, è il più forte; è il torneo in cui tutti si accorgono di un talento fuori scala. È tuttora il più giovane vincitore di quel torneo dedicato alle giovani speranze. Poche settimane dopo va da Fabio Fazio e si presenta al pubblico generalista.

 

 

Oggi che Sinner è diventato numero uno al mondo questi momenti ci sembrano distanti un’era geologica. Ma cosa significa essere numero uno del mondo? Che peso dare a questo traguardo ambiguo?

 

Non si alzano trofei, non si vincono finali: non c’è un momento di scioglimento. È una certificazione burocratica conferita da un algoritmo che calcola i risultati sui dodici mesi. Un metodo freddo che ha il vantaggio di documentare una gerarchia inequivocabile: non c’è forse parametro più meritocratico che misurare i risultati nell’arco dei dodici mesi per stabilire chi è il migliore. Un meccanismo che premia la costanza, la capacità di sapersi confermare. È da alcuni mesi che Jannik Sinner gioca come il miglior giocatore al mondo, e questo traguardo allora sembrava solo questione di tempo. È solo il 29esimo numero uno dei 51 anni di storia ATP, il primo era stato Ilie Nastase nel 1973; il secondo era stato John Newcombe, il terzo Jimmy Connors, il quarto Bjorn Borg, che ha detto una delle cose più profonde su cosa significhi essere numero uno: «Una volta arrivati è difficile restare in vetta. Devi dar prova di te in continuazione. Quando si raggiunge una meta, si è pervasi da una sensazione di vuoto. Ora la nuova meta è rimanere in vetta. Si tratta di cercare la perfezione nell’isolamento».

 

Sinner, però, non è solo. Ora affronterà Carlos Alcaraz nella semifinale del Roland Garros ed è lui ad accompagnarlo in questo viaggio. Alcaraz che sembra il primo fan boy di Sinner, che prima di tutti aveva pronosticato che nel 2024 l’italiano sarebbe potuto diventare numero uno del mondo. Alcaraz che parlava di Sinner come un suo pari mentre nessuno al mondo era disposto a metterli sullo stesso piano. La rivalità, nel tennis, può essere una cura dalla solitudine, dall’isolamento di cui parlava Borg. Non c’è nessun vuoto ma un avversario fortissimo da affrontare. Sarà una partita magnifica, in cui Alcaraz proverà a dimostrare qualcosa, col vantaggio di avere la libertà mentale di chi insegue. Il problema più grande quando sei numero uno, pensava Borg, è che tutti vogliono prendere il tuo posto.

 

Interrogato da Wilander Alcaraz ha detto su Sinner una cosa che oggi è certificata anche dalla classifica: «In questo momento è il miglior giocatore al mondo». Cosa avete provato mentre lo diceva?

 

 

Tags :

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021) e "Visionari, la percezione alterata degli sportivi" (Einaudi, 2024).