
Quando sbuca nell’inquadratura dall’alto, è così bianco che sembra un grosso cono gelato. E sbuca spesso, molto spesso. Ogni volta che il Bologna imposta il gioco da dietro un difensore alza la testa in cerca di soluzione; a quel punto - immancabile - sul lato destro dell’inquadratura corre Jens Odgaard, e sembra sempre una buona idea servirlo. Odgaard, con l’uomo addosso, corre verso il pallone, tutto punte e spigoli, un gigantesco struzzo corazzato, e si ferma. Aspetta che gli arrivi l’uomo addosso, poi tende il sedere dietro, allarga i gomiti, e togliergli palla è praticamente impossibile. A quel punto per Odgaard il problema diventa cosa farci con quel pallone, ma è un problema secondario. L’importante è ricevere.
Odgaard riceve, Odgaard protegge, Odgaard passa, allarga, stringe, sembra un giocatore di basket; poi corre in avanti, sulla fascia, dribbla, crossa e sul suo stesso cross, Odgaard svetta di testa, fa gol, poi corre verso la curva e mima uno swing di baseball verso i tifosi: il simbolo dell’ultraviolenza, che mi fa pensare ad Arancia Meccanica, ma anche al sadismo rigoroso di Funny Games. Ride Odgaard, come una persona che non ha mai provato un attimo di debolezza nella sua vita.
A volte si ha la sensazione che faccia tutto Odgaard nel Bologna. Lo odio, non so come altro dirlo: io odio Jens Odgaard, ed è un odio strano da avere ed è difficile da spiegare, ma in questo pezzo proverò a farlo.
Quando si dice che l’odio rappresenti una forma di rispetto non sono d’accordo. Mi sembra un trucco per provare a neutralizzare uno dei pochi sentimenti di autentico conflitto, e che quindi possono cambiare qualcosa. In questo mio caso, però, mi sembra che ci si avvicini alla realtà. Guardando Odgaard il mio odio si mescola allo stupore, e poi a una sincera ammirazione: come ha fatto Jens Odgaard a diventare il fulcro creativo di una squadra che gioca in Champions e che sta lottando in Serie A per rientrarci?
Odgaard ha avuto un inizio di carriera indecifrabile. Veniva paragonato a Dzeko, ha giocato nell’Inter e nel Sassuolo; nel Lugano e nell’Heerenveen. Con l’Inter primavera ha vinto dei titoli ma si parlava dei suoi compagni e non di lui (Vergari, Colidio). Al Sassuolo è arrivato nell’operazione che ha portato Politano all’Inter. Quando è arrivato a Pescara sembrava già uno zombie: uno che doveva provare a riciclarsi in Olanda.
Quando è arrivato al Bologna, un anno fa, sembrava un giocatore comprato per inerzia. Serviva un vice-Zirkzee, e Sartori si sarà ritrovato Odgaard nel database: un prestito con un diritto di riscatto a 3 milioni e mezzo. Né giovane né vecchio, né forte né scarso, Odgaard poteva essere utile. Ma a cosa?
Era un centravanti che segnava poco, pochissimo: massimo 9 gol con l'AZ in un campionato in cui pure Sam Lammers riesce ad andare in doppia cifra. Però Odgaard faceva bene altre cose: la protezione della palla, il gioco con la squadra. Un attaccante generoso, un attaccante sgobbone. Uno di quegli attaccanti che Sartori ha sempre comprato in carriera: The Nordic Federico Cossato. Alto e grosso, poteva tornare utile nel quarto d’ora di caos finale che il Bologna euclideo di Thiago Motta si concedeva quando le partite erano bloccate. E in effetti è tornato utile, con un paio di gol non particolarmente pesanti ma che fanno sempre piacere. Era un uomo squadra. Dopo i gol i compagni lo festeggiavano come uno molto ben voluto.
Mi piaceva molto Jens Odgaard, e ora lo odio.
Nel frattempo è successa una cosa che ha fatto mutare i miei sentimenti. Il Bologna ha sostituito Thiago Motta con Italiano e Zirkzee con Odgaard. È vero, nominalmente gioca il promettente argentino Santiago Castro nel ruolo di centravanti, ma in realtà è Odgaard che ha davvero sostituito Zirkzee, a livello tattico e spirituale. È lui il numero dieci, il giocatore che viene incontro dall’attacco per cucire il gioco; è lui che gioca sulla trequarti, protegge palla, permette alla squadra di salire e ordinarsi. Tutto questo lo fa senza alcuno stile, a differenza di Zirkzee, e questo è - credo - uno dei motivi principali del mio odio. Se Zirkzee si apriva gli spazi danzando, Odgaard lo fa come un naufrago che cerca di issarsi a terra. Odgaard è una riduzione puramente performativa e strumentale di Zirzkzee. Sembra una dichiarazione esplicita che la bellezza, la classe, non contino nulla nel calcio; ciò che conta è fare certe cose: il come non è rilevante. A volte ho la sensazione che Odgaard sia usato da Vincenzo Italiano come un attrezzo: un oggetto inanimato utilizzato con una specifica funzione.
Se fosse un attrezzo Odgaard sarebbe un piede di porco, questo è chiaro. Ne riassume la durezza metallica, la mancanza di sfumature, l’efficacia quando si tratta di sfondare qualcuno o qualcosa.
Eppure questo piede di porco gioca numero dieci. Era un centravanti sgobbone buono per i cross, e Italiano ha intravisto in lui le doti del trequartista, ovvero del giocatore creativo per eccellenza, l’uomo di genio, colui che deve giocare negli spazi più stretti, maneggiando l’intricata arte del gioco spalle alla porta. Non possiamo fare a meno di notare che questo fatto di Odgaard che gioca numero dieci ci dica qualcosa su dove sta andando il calcio - e forse anche la politica.
Lo sappiamo: i trequartisti, i numeri dieci, sono morti, ma non pensavamo sinceramente che al loro posto sarebbe arrivato Odgaard. Per esempio una decina di anni fa scrissi che Hakan Çalhanoglu mi sembrava un nuovo modello di trequartista: un giocatore tecnico ma estremamente intenso, verticale, che calcia il più possibile e che personifica lo stile adrenalinico della propria squadra. Non pensavo però che saremmo arrivati a Odgaard, ora che Çalhanoglu è stato abbassato regista e considerato troppo poco intenso per l’evoluzione del calcio. Non pensavo che i centravanti-torre sarebbero diventati trequartisti. Çalhanoglu era il numero dieci del Leverkusen di Roger Schmidt, Odgaard ha mantenuto quell'attitudine al pressing, al lavoro per la squada, non tira troppo, gioca da pivot, ma sulla trequarti. Così Castro può giocare più sereno, non accollarsi troppo lavoro sporco; e così pure Orsolini, Ndoye, Dominguez e tutti questi esternini del Bologna possono concentrarsi nel fare quello che gli riesce meglio. Possono ricevere fronte alla porta, puntare l’uomo, calciare. Odgaard fa quello che fanno i numeri dieci: fa giocare meglio tutti gli altri. Mi costa ammetterlo ma è così. Se la tecnica è saper fare una certa cosa, allora Odgaard è un giocatore tecnico.
Odgaard non fa tunnel, né primi controlli delicati, e quando tocca la palla con la suola sembra sbavarci sopra. Eppure il suo lavoro lo fa con un’efficacia quasi perfetta. Ogni tanto ha un controllo rigido, per carità, come contro l’Inter. Quando uno stop metallico - che quasi ha fatto rumore - ha generato una transizione letale degli avversari. Non perde pochi palloni, Odgaard, ma per giocare in quella zona di campo stona poco, è sempre concentrato.
Odgaard porta equilibrio, Odgaard lavora, Odgaard si sbatte, Odgaard pressa come un pazzo, e segna pure. All’inizio questa mossa di Italiano l’avevo riconosciuta. È la stessa cosa che ha fatto a Firenze con Christian Kouamé, un centravanti sgobbone su cui il tecnico - chissà seguendo quale folgorazione - ha intravisto un’ala. In quel caso Kouamé non è stato schierato trequartista centrale ma esterno a sinistra. La zona di campo in cui sono migrati i giocatori creativi. Un anno ci giocava Riccardo Saponara, che partiva da sinistra e lì dipingeva calcio, e l’anno dopo Christian Kouamé, una persona in perenne lotta contro la forza di gravità, più a suo agio con la palla in aria che a terra. Era stato un peggioramento netto: una trasformazione totalmente quantitativa della funzione di Saponara in campo.
In quel periodo il gioco di Vincenzo Italiano si stava arenando. La Fiorentina era una squadra rigida, che dominava senza riuscire a combinare granché con quel dominio - ma, anzi, costruendo i presupposti per i propri problemi difensivi. I giocatori ricevevano da fermi, scaglionati su posizioni prevedibili e statiche. In quella situazione Italiano aveva visto in Kouamé una soluzione a questi problemi. Una soluzione brutale, violenta. La Fiorentina cambiava gioco verso di lui, che finiva per ingaggiare strani duelli col diretto marcatore - Kouamé è uno di quei giocatori che ha nella sua goffaggine la sua forza, si muove in modo così strano che diventa imprevedibile.
E insomma con Odgaard Italiano mi sembrava aver fatto la mossa Kouamé. Così come aveva sostituito Saponara con Kouamé, ora sostituiva Zirkzee con Odgaard. Solo che poi il danese si è rivelato molto più intelligente e raffinato, e il modo in cui facilita il gioco del Bologna è decisamente più efficace. Col tempo la squadra ha trovato nuovi equilibri e Odgaard nelle ultime settimane è meno decisivo nella risalita del campo; e allora si esalta in area di rigore, in inserimento: è difficile da leggere per le difese italiane. Ha un bel piede, sceglie sempre bene le conclusioni. Niente da dire.
Odgaard: un giocatatore fastidioso, un po’ manesco, bruttino da vedere, eppure forte. In Champions ha sfoderato masterclass di protezioni palla, gioco tra le linee, inserimenti. Alla tv non credevo ai miei occhi. Odgaard riceve, allarga, si butta in area, conclude. Ha segnato due gol nelle ultime due partite. Non sbaglia un movimento, una scelta e molti meno controlli di palla di quanto si creda. È la soluzione facile quando ce ne sono solo di difficili. Quando è mancato per infortunio il Bologna ha pareggiato col Lecce e negli studi si è discusso della sua assenza come di qualcosa di inarginabile, ingestibile. L'assenza del campione.
Ho capito tante cose, guardando Odgaard giocare nel Bologna. Non so cosa dica il suo successo sul calcio di oggi, se non che i giocatori intelligenti troveranno sempre il modo di esprimersi.