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Hype: João Félix
08 ago 2019
Il giovane portoghese sta già strabiliando nelle prime partite con l'Atletico Madrid.
(articolo)
14 min
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Nel suo video di presentazione Joao Felix passeggia per il museo del Prado con aria spaesata. Passa a fianco a Las Meninas di Velazquez, si ferma di fronte al trittico del Giardino delle delizie di Hyeronimus Bosch. Poi finalmente si gira verso la telecamera posta in basso e gli sorride, l’acne sulle guance, come fosse stato sorpreso. Il senso del video non è che Joao Felix è un’amante della pittura ma che, dentro al Prado, si confonde fra le opere d’arte. Capolavoro tra i capolavori.

Del resto il prezzo del suo cartellino è stato simile a quello dei più prestigiosi dipinti dell’arte occidentale. I 126 milioni di euro pagati dall’Atletico Madrid al Benfica sono gli stessi pagati da Betsey Whitney a Ryoei Saito nel 1990 per mettersi in casa Il ballo al Moulin de la gallette di Auguste Renoir.

Joao Felix, come altri talenti assoluti del calcio mondiale, è stato presentato come fosse una specie di frutto della terra, un bene di lusso che appartiene all’umanità. La scritta “Puro talento” con cui l’Atletico Madrid ha annunciato il suo acquisto rimanda a un’idea di purezza incorruttibile, di una capacità d’espressione naturale che non ha dovuto sporcarsi con le fatiche del lavoro.

Joao Felix è stato il calciatore portoghese più pagato della storia (quindi più di Cristiano Ronaldo), il più caro mai acquistato dall’Atlético, quello che ha fruttato più soldi a una squadra portoghese. Fa impressione pensare che tutto questo sia maturato dopo appena una stagione tra i professionisti: gli sono bastate 53 partite, di cui la metà giocate in Segunda Liga, per essere considerato il più grande giovane talento del calcio mondiale.

Dio bambino

Quando parliamo di Joao Felix dobbiamo ricordarci da quanto poco tempo gioca tra i professionisti. Quella appena conclusa è la sua prima stagione in un campionato di prima categoria, e bisogna considerare che è diventato titolare solo a gennaio.

Certo, di lui si parlava come un predestinato da tempo. Con i capelli sopra gli occhi, l’apparecchio e un’aria delicata e infantile, Joao Felix si è presentato al calcio portoghese come una specie di Dio-bambino. Come ogni storia di predestinazione, Felix a un certo punto della sua vita è stato scartato da qualche squadra perché “troppo gracile”, come se ci dovesse essere sempre qualcuno a cui dover rinfacciare che la bellezza fiorisce nonostante il cinismo. In Portogallo la cosa ha fatto particolarmente discutere perché questa squadra è il Porto, dove Felix era entrato all’età di otto anni per unirsi all’Elite Player Project. A 13 anni però è stato ceduto alla Padroense perché non aveva abbastanza muscoli: «Giocavano sempre gli altri che erano più alti o più grossi di me. Io sedevo sempre in panchina» ha detto a The Player’s Tribune.

Nel 2015 allora è entrato al Benfica e nel 2017 ha rinnovato il contratto su cui è stata inserita la clausola da 120 milioni: «Al Benfica credono all’idea del collettivo davanti a quella dell’individualità». In quella stagione Felix aveva brillato in una Youth League in cui il Benfica aveva perso in finale contro il Red Bull Salisburgo. Gli inizi con la prima squadra non sono stati immediati. Come racconta a The Player’s Tribune: «Ho giocato la prima partita, un'amichevole, e nel secondo tempo sono stato sostituito. Non era andata bene, e ho visto immediatamente la reazione sui social e in tv. Avevo ancora la mentalità da giocatore delle giovanili, che non deve convivere con le pressioni dei social media».

Lo scorso anno, Joao Felix si è rivelato dopo pochi minuti dal suo ingresso in campo nel derby contro lo Sporting Lisbona: il Benfica stava perdendo in casa, prima che Joao Felix andasse a saltare sul secondo palo di testa per segnare il gol dell’1-1. Difficile trovare un dettaglio migliore in una storia di predestinazione che segnare dopo pochi minuti dall’ingresso in campo nel proprio primo derby di Lisbona.

L’altro momento in cui Joao Felix si è preso le luci della ribalta è stato nei quarti di finale d’andata di Europa League, quando ha ribaltato da solo l’Eintracht Francoforte. Dopo 20 minuti con una sua corsa centrale, e un filtrante con tunnel, ha generato l’azione del calcio di rigore che ha lasciato l’Eintracht in 10. Poi ha realizzato il rigore dell’1-0. Alla fine del primo tempo ha segnato il 2-1 con un tiro violentissimo sul primo palo da 25 metri, un gol che riassume la sua tecnica di tiro speciale. All’inizio del secondo tempo ha servito un assist, con una complicata sponda di testa, ad André Dias, e qualche minuto dopo ha siglato il suo terzo gol con un elegante inserimento in area di rigore.

È stata la tripletta più “giovane” della storia delle coppe europee. Tre giorni dopo ha messo insieme due assist e un gol contro il Vitoria Setubal.

https://twitter.com/UEFAcom_it/status/1118064705157959681?s=20

Il rapporto col gol

Nella considerazione di Joao Felix, e nell’esorbitante prezzo del suo cartellino, ha inciso soprattutto il numero di gol realizzati: 20 in 2530 minuti stagionali, tra Taca de Portugal, coppe nazionali ed Europa League, uno ogni 80 minuti circa. Per fare un paragone suggestivo: Cristiano Ronaldo, alla stessa età, ci aveva impiegato tre stagioni a realizzare i venti gol che Felix ha segnato solo quest’anno al Benfica. Nell’epoca di Messi e Ronaldo i gol sono diventati di fatto la merce più significativa per misurare il valore di un calciatore - e del resto in un contesto mediaticamente così sclerotizzato da mettere sempre tutto in discussione, i calciatori si appellano al numero di gol segnati come fosse l’unico segno incontestabile della loro forza.

Ma al di là delle nevrosi contemporanee, i gol segnati da Joao Felix rimangono l’aspetto più impressionante del suo impatto col calcio professionistico. Specie perché era arrivato con le credenziali di un rifinitore gracile, un fantasista tecnico ed etereo. I gol segnati hanno invece rivestito la sua immagine di una patina di concretezza e immediata spendibilità ad alti livelli. La sua relazione col gol è ciò che lo rende speciale, quindi diciamo subito che dobbiamo considerare Felix un attaccante a tutti gli effetti, e che tutti i ruoli che può rivestire dovrebbero essere finalizzati ad esaltare il suo rapporto con la porta avversaria.

Quando Joao Felix gravita in area di rigore sembra avere un istinto particolare, quella specie di sesto senso che è ancora uno dei misteri più impenetrabili del calcio, per incrociare sempre la traiettoria della palla. Lo abbiamo visto ad esempio nel primo gol segnato con la maglia dell’Atletico Madrid, nel roboante 7-3 rifilato al Real. Saul recupera una seconda palla ed entra in area di rigore; Felix si sbraccia all’altezza del dischetto per ricevere lo scarico all’indietro, ma Saul crossa teso all’altezza dell’area piccola. Non sembra un pallone alla sua portata, ma Felix si coordina con tre passi per anticipare Marcelo e segnare di punta.

Dopo il gol nel derby di Lisbona anche quello nel derby di Madrid.

Per sfruttare queste sue caratteristiche, nel Benfica Felix giocava da seconda punta di un 4-4-2 solo nominale. Da lì si abbassava sulla trequarti, con gli esterni ad accentrarsi in un 4-2-3-1. Felix in realtà poteva muoversi con una libertà totale, che gli permetteva di assecondare una sensibilità già spiccata per il gioco senza palla. Quando la squadra doveva risalire il campo si defilava sulla fascia, da dove è più a suo agio spalle alla porta; in fase di attacco posizionale alternava invece gli smarcamenti sulla trequarti agli scatti in profondità dietro le difese.

Negli ultimi 30 metri Felix è un giocatore letale per le difese avversarie, non solo per il suo talento tecnico ma, soprattutto, per come questo viene esaltato dalla raffinatezza delle sue letture. Quando riceve palla sulla trequarti, Felix è estremamente diretto: le sue scelte sono sempre aggressive, rapide ma eseguite con grandissima qualità. Raramente gioca a più di due tocchi, che comprendono quasi sempre l’ultimo passaggio o il tiro in porta.

Questo però non significa che Felix sia un giocatore caotico, di quelli che mettono insieme un grande volume di produzione offensiva accettando il compromesso dell’imprecisione. Bisogna anzi dire che Felix ha un’ottima selezione di tiro, equilibrata e con pochi tiri presi fuori dall’area di rigore - potrebbe persino tirare di più. Tra campionato ed Europa League ha avuto bisogno di poco più di 4 tiri per segnare. Felix non è ancora un attaccante d’élite per occasioni generate - 0,45 xG per 90’ - ma sta mantenendo un’efficienza nel convertirle assolutamente fuori dal normale, con 15 gol ricavati da 10,61 xG, con una conversione quindi dell’1,41 - va considerato che Mbappé quest’anno ha avuto 1,05, Zapata 1,03, Messi 1,31. Numeri che vanno comunque contestualizzati nel numero inferiore di gol rispetto ai giocatori citati, e in un campione di partite più piccolo. In ogni caso Joao Felix sembra avere le qualità per stare in quel gruppo di attaccanti capaci di trasformare l’overpermance nella normalità.

A questi numeri vanno aggiunti anche quelli che riguardano l’assistenza ai compagni: 1,5 passaggi chiave per novanta minuti e 7 assist complessivi (da 5,23 xA). La rapidità delle sue esecuzioni sulla trequarti è favorita dal modo con cui controlla la sfera, che non ha niente di normale. Se il primo controllo è il gesto tecnico che più testimonia il rapporto naturale di empatia fra giocatore e pallone, Joao Felix è un calciatore con una relazione veramente simbiotica con la palla, che quando va in suo possesso sembra entrare in un campo gravitazionale diverso.

«Da bambino Joao ha imparato a dribblare prima di camminare» dice il padre di lui, che quando deve descrivere il rapporto tra suo figlio e il pallone usa proprio la parola “empatia”. Guardate questo controllo che ha fatto da prologo all’assist per Diego Costa.

Quando deve tirare, anche qui in modo controintuivo rispetto all’idea del talento elegante che cuciamo su di lui, Joao Felix pensa innanzitutto alla potenza. Il tiro di collo pieno è sempre la prima opzione, e se col sinistro, che usa bene quando deve concludere, cerca soprattutto traiettorie secche a incrociare, col destro trova tiri anche piuttosto complessi, anche se quasi sempre violenti.

Una delle tante azioni con cui Joao Felix sta mettendo a ferro e fuoco il precampionato dell’Atletico Madrid.

Al di là dei tiri da fuori con cui richiama la nostra attenzione, è il senso pratico con cui conclude in area di rigore che fa di Felix un vero attaccante: il tipo di giocatore con un istinto speciale per pescare sempre la migliore conclusione per battere il portiere. In questo senso non bisogna sottovalutare neanche la sua bravura di testa, con cui ha segnato 3 gol lo scorso campionato, dimostrando un’ottima scelta di tempi.

Rui Vitoria, l’allenatore che ha dosato con cautela il suo ingresso tra i titolari, dice che Felix ha «Un’enorme capacità di finalizzazione. Se gli dai spazio troverà il modo per finalizzare l’azione». Nuno Gomes ha paragonato il suo tocco di palla a quello di Zinedine Zidane mentre Rui Costa, leggenda del Benfica a cui Felix dice di ispirarsi, dice che «Sa indovinare in anticipo quello che accadrà davanti alla porta. È un numero 10 moderno, una seconda punta con un notevole senso del gol».

Erede di Griezmann

Joao Felix, quindi, è un fenomeno della definizione dell’azione, sia in fase di rifinitura che di finalizzazione. In questo, per l’Atletico Madrid, può essere davvero il miglior erede di Griezmann possibile. Felix non sembra avere la stessa sensibilità tattica del francese, la sua capacità di interpretare il ruolo di seconda punta come un vero e proprio regista offensivo. Il portoghese ha un’interpretazione più verticale e diretta, più legata al gol. Lontano dagli ultimi trenta metri non ha - almeno per ora - neanche la bravura di Griezmann nel fare da innesco delle transizioni offensive, con letture sempre perfette.

Un altro aspetto che Felix dovrà migliorare è anche quello del gioco spalle alla porta. Una situazione in cui è aiutato dal suo primo controllo, ma dove spesso è messo in difficoltà dall’aggressività dei difensori più fisici. Non brilla nella protezione della palla, anche per una questione di struttura fisica: leggera, con gambe filiformi che non lo aiutano nel prendere posizione. Quando però ha tempo e spazio per ricevere, anche senza girarsi, la sua immediatezza di pensiero diventa letale. Per questo - come si è visto nelle ultime partite con lo Sporting Lisbona - costringe gli avversari ad avere un atteggiamento sempre ultra-aggressivo e rischioso.

Bisognerà vedere come l’Atlético lavorerà fisicamente su di lui, e se potenzierà ulteriormente una struttura fisica che ha già avuto bisogno di rinforzarsi per assorbire l’impatto col calcio professionistico, magari proprio a cominciare dalle gambe.

Nel frattempo Simeone forse per facilitarne l’inserimento lo sta utilizzando esterno di destra del 4-4-2, un ruolo che in queste prime amichevoli sta interpretando con una naturalezza poco spiegabile. Dalla destra, quando la squadra è in possesso della palla, Felix è libero di accentrarsi per ricevere smarcato sulla trequarti centrale fronte alla porta. La zona del campo dove il portoghese diventa mortale per le difese avversarie. È un ruolo che richiede anche un certo sacrificio in fase di non possesso, con una copertura dell’esterno attenta e ragionata. Un lavoro difensivo non banale che un giocatore dall’attitudine offensiva come Joao Felix sta interpretando bene.

Già nel Benfica Felix si è dimostrato in grado di svolgere la fase di non possesso con attenzione e intensità: un altro aspetto per cui Simeone ha deciso di investire su di lui i soldi del trasferimento di Griezmann al Barcellona. Forse non arriverà mai al grado di sacrificio del francese - davvero unico per un giocatore di alti livelli - ma Felix ha già oggi un’ottima predisposizione su cui Simeone può lavorare.

Nello sviluppo di Joao Felix, in ogni caso, sembra esserci il suo spostamento in attacco al fianco di Diego Costa. Un attaccante con cui sembra potersi integrare alla perfezione, che può compensare le mancanze attuali di Felix: il lavoro fisico spalle alla porta, gli scatti continui in profondità, la lotta con i difensori (aspetto su cui Felix è comunque già abbastanza smaliziato, guardare l’entrata e il litigio con Pepe per credere). In queste amichevoli i due sembrano essere nati per giocare l’uno per l’altro: Felix gli ha già servito 3 assist in 3 partite giocate non per tutti e novanta i minuti.

Sulla sua posizione Felix ha già le idee chiare: «La mia posizione preferita è sempre stata quella del centrocampista offensivo, ma faccio quello che mi chiede l'allenatore. Posso adattarmi bene a qualsiasi posizione, attaccante, ala o centrocampista offensivo». Ha dichiarato che il suo idolo è Ricardo Kakà, con cui in quest’estate ha scattato una foto in cui il tempo sembra collassare su sé stesso, ma che attualmente gli piace guardare Neymar giocare (un modello che sembra a dire il vero molto distante da lui).

Per le sue caratteristiche lo sviluppo naturale di Joao Felix è quello di “Shadow striker", cioè un attaccante che parte alle spalle di un centravanti per attaccare da dietro gli spazi che gli vengono liberati. Un tipo di profilo non particolarmente fortunato nel calcio contemporaneo, in cui le seconde punte vengono sviluppate come ali e sembrano, in sostanza, incollocabili. Quello che è successo a Paulo Dybala alla Juventus, che mentre continuava a ripetere di sentirsi una punta veniva gravato di compiti sempre più grandi di raccordo sulla trequarti.

Il talento tecnico di Joao Felix è comunque in grado di portarlo a essere incisivo anche lontano dall’area di rigore, anche se affidandogli sempre molte responsabilità di definizione. Come ha detto: «Sono un giocatore che ragiona e che vuole sempre stare a contatto con la palla. Come a tutti i calciatori, mi piace fare gol, mi piacciono le responsabilità, non ne ho paura».

Per questa sua precocità, la provenienza e l’istinto da finalizzatore, Joao Felix è stato paragonato praticamente subito a Cristiano Ronaldo. Simeone si è affrettato a precisare che «Non ha nulla di Ronaldo», mentre Felix ha detto «Con tutto il rispetto per Ronaldo, io scriverò la mia storia». La scelta di andare all’Atletico Madrid non è stata così scontata: una squadra dal gioco non puramente offensivo, che ancora deve fare il suo ingresso tra i primi 4 o 5 club in Europa, e che lancia i giovani con molta parsimonia. Questo, però, può essere letto in controluce come una garanzia che stiamo parlando di un giocatore che merita un investimento speciale. In questi anni Griezmann è stato per l’Atletico più di un semplice calciatore: un simbolo, un leader tecnico, l’idea che anche la tecnica più pura possa essere messa al servizio di un sistema fondato su concetti quasi più morali che tattici.

Oggi l’Atletico è in un momento di transizione, e la sua capacità di rigenerare un nuovo ciclo vincente - senza Godin, Felipe Luis, Juanfran, Gabi - dipenderà molto da quanto Joao Felix sarà in grado di sciogliere il suo calcio all’interno del collettivo e delle idee del “Cholo” Simeone, dandogli quella dimensione tecnica che Griezmann riusciva a garantirgli.

A neanche 20 anni, al più grande talento del calcio mondiale, è richiesto di crescere in fretta.

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