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Nonostante João Felix non sia più il prodigio col volto da bambino che ci aveva stregato nei giovedì d’Europa League della primavera 2019, sembra abbastanza strano che sia riuscito comunque a conservare quella stessa aura fanciullesca.
Alcuni dettagli non hanno nulla a che vedere con ciò che accade in campo, ma con João Felix, invece, era come se le fattezze da bambino fossero parte viva del suo gioco, la trasposizione in carne ed ossa della tecnica candida e immacolata con cui aveva avocato le attenzioni di tutti gli appassionati: la bocca semiaperta quasi in segno di stupore, coi denti leggermente sporgenti per via dell'apparecchio, le ciocche di capelli che ondeggiavano mentre ne accompagnavano la corsa. Non si può spiegare in maniera razionale, ma quando abbiamo scoperto João Felix, quando ci siamo innamorati di lui, i suoi lineamenti erano una parte importante di quella esperienza: sarà che per certi giocatori estetica ed efficacia viaggiano di pari passo, si retroalimentano, perché per João la riuscita delle giocate dipende spesso dalla grazia che riesce a infondervi.
Oggi che João Felix di anni ne ha 26 e dovrebbe vivere il momento della piena maturità, quel candore appare come un peso, il segno di chi non ha mai accettato di dover uscire dalla bambagia. Il portoghese ha fallito non con una, non con due, ma con ben tre squadre ai livelli più alti. Anche la bellezza non può che scomparire di fronte a così poca consistenza. Ma è stata davvero solo colpa sua? João non si è dimostrato all’altezza o c’è anche altro? Siamo disposti a concedergli ancora del credito?
Il portoghese sicuramente è responsabile della sua situazione, perché non ha ancora saputo dimostrarsi competitivo a sufficienza per il calcio d’élite. È un giocatore che tende ad abbattersi nei momenti di difficoltà, fino a diventare impalpabile. Se intorno ritrova un contesto di mediocrità, è difficile che possa essere lui a cambiare la situazione. Certo, il talento è tale per cui, di tanto in tanto, ha dimostrato di essere di un'altra pasta anche di fronte a scenari esigenti: alcune buone prestazioni in Champions League con la maglia dell’Atlético, tra cui un ottavo di finale vinto da migliore in campo ad Old Trafford, un grande inizio di Liga lo scorso anno a Barcellona. Troppo poco, però, per uno con i suoi mezzi.
La verità è che tutti i suoi limiti sono stati moltiplicati da chi ne ha gestito in maniera scellerata la carriera, segnata dalle cifre esorbitanti alle quali è stato mosso il suo cartellino, che hanno messo in secondo piano ogni considerazione di campo sulle mosse da fare e sulle squadre da scegliere. Sembra essere il destino di molti giocatori portoghesi, al quale lui non ha avuto la forza di sottrarsi.
E così João ha finito per sprecare buona parte della sua carriera in tre squadre per nulla adatte alle sue caratteristiche e che, proprio come lui al momento del suo acquisto, vagavano ancora in cerca di un’identità.
Al suo arrivo all’Atlético Madrid, nell’estate del 2019, i colchoneros stavano vivendo il più grande momento di transizione della loro storia recente. Buona parte dei pretoriani di Simeone aveva appena dato l’addio: Godín, Juanfran, Felipe Luís, ma anche Lucas Hernández e Antoine Griezmann. L’Atleti, quindi, era chiamato a cambiare pelle, con Simeone che pareva voler costruire una squadra più offensiva. João avrebbe dovuto prendere il posto di Griezmann, il primo grande equivoco della sua carriera, visto che il portoghese non aveva l’animo da regista a tutto campo del suo predecessore, né il suo spirito da soldato pronto a immolarsi per la causa. Gli sparuti momenti di brillantezza non sono bastati a convincere Simeone, che così lo ha spedito per qualche mese al Chelsea.
Dalla padella alla brace, visto che il suo prestito è coinciso con i primi, disastrosi mesi della gestione Boehly, dove francamente chiunque avrebbe faticato.
E quindi, tornato alla base nell’estate 2023, Mendes, il suo agente, è riuscito a trovare una nuova soluzione con un altro prestito, ad una concorrente diretta dell’Atleti come il Barcellona. João è anche partito bene, ma i blaugrana presto si sono inceppati. Xavi da allenatore, nei suoi momenti migliori, aveva saputo costruire una squadra solida ma con problemi a valorizzare il talento offensivo a disposizione. Persa anche la coesione che aveva permesso ai catalani di vincere la Liga 2022/23, lo scorso anno per il Barcellona è stato piuttosto disastroso e João, in una squadra asfittica a livello offensivo, ha finito per soffrire e assaggiare troppo spesso la panchina.
Ed eccoci alla stagione corrente, con l’acquisto da parte del Chelsea e la firma di un contratto di 7 anni a certificare quando chi gli sta intorno non abbia fatto molto per aiutarlo. Maresca non ha faticato a privarsi di lui, degradato al ruolo di giocatore da Conference League.
João Felix sembra una di quelle persone persone che escono da una relazione tossica per impelagarsi immediatamente in una peggiore, sempre vittima degli stessi errori e degli stessi consigli sbagliati.
Stavolta, però, il portoghese arriva in un contesto che, per quanto disfunzionale, potrebbe fare al caso suo. La superiorità del talento di João rispetto al resto della rosa del Milan è così eclatante che forse potrà godere finalmente della centralità che non ha saputo ritagliarsi a Madrid, a Londra e a Barcellona. In caso contrario, però, si tratterebbe della bocciatura definitiva, perché vorrebbe dire che João non ha spalle larghe a sufficienza nemmeno per prendersi una squadra senza troppa concorrenza, di cui oggi dovrebbe essere un leader.
Ci sono stati, in passato, acquisti di gennaio con caratteristiche simili alle sue che in poco tempo hanno saputo incidere nel nostro campionato. Giocatori di eccezionale qualità tecnica che nei ritmi temperati della Serie A hanno trovato l’ecosistema adatto: Rafinha all’Inter, il quarantenne Ibrahimović, Adel Taarabt, sempre per restare al Milan, pur in un’epoca ormai lontana.
João ha tutto per conquistare l’Italia, possiede un potenziale ben più alto dei nomi appena citati, ma il talento, come sappiamo, è solo uno dei tanti fattori necessari per esprimersi nel calcio d’élite. E di variabili che potrebbero compromettere l’esperienza milanista del portoghese, purtroppo, ce ne sono molte.
Innanzitutto il fatto che non ci sia nessun diritto di riscatto. Di prestiti secchi tramutati in acquisti, in passato, ce ne sono stati, ma occorreranno quattro mesi davvero convincenti per spingere il Milan ad investire su di lui, ammesso che sia questo il suo obiettivo e che si tratti di qualcosa di fattibile per i rossoneri, visto che al portoghese rimangono altri 6 anni di contratto col Chelsea. In più, per i giocatori in prestito non sempre è facile trovare le motivazioni giuste e a João quel fuoco sembra mancare proprio, col risultato che, per contrappasso, si è ritrovato in un vortice di prestiti che va avanti praticamente da tre anni e dal quale ancora non è uscito.
L’ambiente Milan, poi, non sembra proprio l’ideale per assorbire virtù come dedizione, costanza e disponibilità al sacrificio. Sia Fonseca che Conceiçao ci hanno messo poco ad individuare l’attitudine come il peccato capitale della rosa del Milan. Dare la colpa solo all’immaturità dei giocatori, però, sarebbe miope. A certi livelli, dev’essere l’ambiente di lavoro a trasmettere determinati valori: qual è la cultura del lavoro al Milan? Davvero basta il ricordo delle imprese sul campo di Ibrahimović per trasmettere il senso del dovere nei confronti di un club di questo blasone?
L’ingaggio di Conceiçao sembrava dovesse rispondere anche alla ricerca di un leader capace di raddrizzare l’ambiente, ma in certi contesti un uomo solo non può fare miracoli. Pensare a priori che Conceiçao possa incidere sulla mentalità di João Felix, quindi, sarebbe ingeneroso. Il nuovo acquisto, peraltro, aveva già lavorato con un allenatore simile a quello che troverà a Milano come Simeone, che ad un certo punto ha preferito sbarazzarsi di lui. Il Cholo da João non aveva sufficienti garanzie caratteriali, di tenuta fisica e nemmeno tattiche: a differenza di Griezmann, l’impegno senza palla non è mai stato una prerogativa del portoghese. Al Milan, di giocatore esentato dalla fase difensiva c’è già Leão. Conceiçao ha costruito i suoi successi al Porto sul carattere monolitico della sua squadra, dove i primi a rendere fangose le partite erano attaccanti come Taremi, Tiquinho o Marega: troverà mai il modo di far coesistere due giocatori dallo scarso contributo difensivo come Leão e João Felix? Come pressare con due così? Come schermare lo spazio?
Certo, non è detto che debbano per forza partire insieme dall’inizio. Non approfittare della superiorità tecnica di João rispetto alla Serie A, però, sarebbe un peccato e anzi: probabilmente l’unico modo per farlo sentire a suo agio e permettergli di esprimersi al meglio è proprio dargli la consapevolezza di poter essere padrone delle partite. Non è con le maniere forti che Conceiçao potrà lavorare su di lui, ma con la fiducia, con la capacità di farlo sentire importante: il tecnico portoghese si gioca tanto in questi mesi, ha bisogno di risultati immediati e allora potrebbe soprassedere sul fatto che João sia arrivato in prestito secco. Il fatto di avere la lingua in comune, poi, potrebbe aiutarlo a trasmettergli stima e motivazione, oltre che concetti di campo.
João, messo nelle migliori condizioni, può fare tutta la differenza per il Milan. Per Conceiçao potrebbe costituire una variante tattica preziosa. Da mezzapunta di sinistra o ala potrebbe essere un’alternativa credibile a Leão, dettaglio da non sottovalutare con un calendario così fitto. Se si muovesse stabilimente dietro la punta in un 4-2-3-1, invece, permetterebbe a Reijnders di partire da zone più basse di campo: l’olandese potrebbe così tornare a vedere il gioco frontale, arrivare di sorpresa in attacco e, in definitiva, potenziare tutte le proprie qualità migliori. In più, per la prima volta Reijnders e Pulisic troverebbero un compagno con cui parlare la stessa lingua e dialogare nello stretto. In una squadra con gravi difficoltà ad attaccare difese chiuse come il Milan, la tecnica di João Felix risolverebbe alla radice tanti problemi. Lui, finalmente, non solo guadagnarebbe uno status da primo giocatore offensivo, ma riuscirebbe anche a passare tanto tempo a ridosso dell’area avversaria, la zona in cui il Milan in Serie A trascorre la maggior parte delle sue partite e dove un giocatore creativo ma poco autosufficiente come João ha bisogno di ricevere.
Il nuovo numero 79 rossonero nello stretto non perde mai la palla, darebbe una continuità agli attacchi che al momento al Milan manca del tutto. Soprattutto, nessuno in Serie A, forse solo Dybala, potrebbe partorire soluzioni estemporanee come lui, capace di risolvere dal niente situazioni complicate: colpi di tacco, filtranti geniali, tiri dalla media distanza scoccati all’improvviso, il tutto utilizzando senza sforzo qualsiasi parte del piede.
Le giocate non sono mai mancate a João Felix, neanche nei momenti peggiori. Per realizzare il salto di livello che non ha mai compiuto, però, avrebbe bisogno di diventare finalmente padrone di una squadra, capace di deciderne le sorti offensive: non per forza legando il gioco come pensava avrebbe fatto Simeone, compito che probabilmente non rientra nelle sue caratteristiche, ma anche con le fiammate, dopo che qualcuno – Reijnders e il resto di chi gli sta dietro magari – ha provveduto a portargli il pallone nell’ultimo terzo di campo. Migliorare i compagni intorno a sé, ispirare Gimenez in rifinitura e diventare, in definitiva, il giocatore produttivo che prometteva di essere, il trequartista da 20 gol e 11 assist della sua prima stagione tra i professionisti.
Creare le condizioni affinché ciò avvenga non è per nulla scontato e il passato ci insegna che le probabilità di fallimento sono alte. Se c’è una squadra italiana che storicamente valorizza i giocatori più estrosi, però, è il Milan. Sarebbe davvero una sorpresa se, in una stagione così infausta, San Siro trovasse un nuovo grande giocatore di cui trasmettere il ricordo, anche se solo di pochi mesi.