A Belfast contro l’Irlanda del Nord, nella partita decisiva per qualificarsi ai Mondiali, l’Italia ha giocato senza centravanti. Questo nonostante non solo avrebbe dovuto vincere, ma possibilmente farlo segnando più gol possibili. Nella partita precedente, contro la Svizzera, Mancini aveva iniziato con Andrea Belotti punta, ma l’assoluta sterilità offensiva lo aveva convinto a mettere Lorenzo Insigne falso nove. Perdevamo presenza fisica e attacco della profondità, ma almeno potevamo provare a disordinare la solidissima linea svizzera con dei movimenti incontro, aggiungendo qualità tecnica e creativa sulla trequarti. Aveva funzionato meglio e avevamo racimolato qualche occasione, compreso il rigore di Jorginho, e così Mancini ci ha riprovato contro l’Irlanda del Nord.
Al di là del fatto che la mossa non ha funzionato, è rimasto un dato: senza Immobile, infortunato, Mancini ha preferito giocare senza centravanti piuttosto che schierare i tre che aveva a disposizione, ovvero Belotti, Raspadori e Scamacca. Immobile criticassimo, il meno brillante dell’Europeo vinto, spesso avulso radicalmente al modo in cui l’Italia vuole giocare. Così discusso che in una recente conferenza stampa si è spinto a parlare di persecuzione mediatica: «Mi dispiace a volte non avere lo stesso trattamento degli altri, sembrava che non facessi parte dei 26 dell'Europeo e questa è una cattiveria bella e buona».
Finiamo a parlare così tanto di Immobile che ci siamo dimenticati che senza di lui l’Italia è persino peggio. Pur con tutti i suoi difetti, l’attaccante della Lazio è importante per il suo dinamismo e la quantità di movimenti che genera. Per la capacità di offrire profondità a una squadra che ne manca in maniera a volte disperata; anche per una capacità e una frenesia di concludere e finalizzare che pochi giocatori offensivi italiani hanno. Il suo è spesso un problema di esecuzioni tecniche in spazi stretti, legato probabilmente a un problema di sicurezza mentale. Immobile non è a suo agio nel sistema dell’Italia, che attacca con pazienza e in maniera posizionale; e questo - unito alla pressione mediatica che lo circonda - lo mette a disagio e lo fa sbagliare ancora più di quanto è abituato.
La differenza con le sue prestazioni alla Lazio non è limitabile ai gol: Immobile in azzurro sbaglia tutto quello che con la Lazio fa con la semplicità di chi asseconda una seconda natura. Quando deve guidare una transizione per esempio, o quando c’è da fare un controllo e tiro in campo aperto. Guardate l’errore sotto, nella partita col Belgio, lo avete mai visto sbagliare una cosa del genere in Serie A?
Belotti, però, è un giocatore con pregi e difetti simili, se non per una predisposizione maggiore al duello fisico col marcatore. La Nazionale italiana che nella storia più controlla il pallone e ama attaccare in un campo piccolo, ha solo numeri nove bravi negli attacchi diretti e dentro spazi ampi. È anche per questo che Mancini ha spesso giocato con il falso nove (Bernardeschi, Insigne) ed è per questo che ha puntato subito molto su Giacomo Raspadori, che ha caratteristiche opposte a Belotti e Immobile. L’attaccante del Sassuolo è bravo a giocare in spazi stretti, a cucire il gioco tra le linee, ad associarsi con i compagni addensando la zona della palla. Ma ha anche interessanti movimenti in area di rigore. È stato portato agli Europei più come mascotte, immaginando potesse tornare utile già da settembre; ma poi Dionisi ha iniziato a trasformarlo in un esterno offensivo e la sua evoluzione si è incartata. Al suo posto, come punta nel Sassuolo, gioca Gianluca Scamacca, altro attaccante di cui Mancini non pare fidarsi più di tanto, e che finora è stato incredibilmente incostante. Le sue partite sono ricche di intuizioni geniali ma anche di lunghe assenze.
Già durante l’Europeo l’Italia aveva avuto problemi di qualità negli ultimi metri, sia per quanto riguarda la finalizzazione che per la rifinitura, ma l’assenza di Immobile e lo stato di forma non sempre eccellente di Chiesa, Insigne, Belotti e degli altri giovani ha peggiorato la situazione da settembre a oggi. L’Italia continua ad avere grande controllo del pallone e un certo predominio territoriale, ma non riesce a trasformare questo dominio in occasioni pericolose. Un sistema difensivo intenso e aggressivo sull’uomo (come quelli di Austria o Svizzera), o un baricentro basso che nega la profondità (Irlanda del Nord) sono bastati a mandarci in tilt.
Il fantasma di Amauri
È proprio in questa situazione ambigua che ha iniziato a circolare il nome di Joao Pedro. Pochi attaccanti sono stati più affidabili di lui nelle ultime stagioni di Serie A: 18 gol nella stagione 2019/20; 16 in quella scorsa. Quest’anno è già a 8 reti in 13 partite, e nelle ultime tre stagioni è di gran lunga il brasiliano che ha segnato più gol in Europa: 41, 16 più di Neymar Jr. Un dato francamente incredibile. È da due anni che si discute di una sua convocazione in Nazionale verdeoro, ma Tite non lo ha mai chiamato, tanto che lui ha finito per rifugiarsi in frasi consolatorie come «La mia Nazionale è il Cagliari». Qualcuno nelle interviste gli chiedeva se magari poteva interessargli una convocazione dall’Italia, visto che sua moglie e di Palermo e possiede la cittadinanza. Lui però pensava solo al Brasile: «Sarebbe un grande piacere ma non mi permetterei mai: anche se ho un pezzettino d’Italia nel cuore, sono brasiliano cresciuto in Brasile, ho fatto 50 presenze nelle nazionali giovanili e mi sento brasiliano». Che significa «Non mi permetterei mai»?. Pare sia andato vicino diverse volte alla convocazione col Brasile, che alla fine però non è arrivata. È passato altro tempo, e c’era questo attaccante con la cittadinanza italiana che continuava a segnare e a un certo punto è diventato difficile da ignorare. Il direttore sportivo del Cagliari, Stefano Capozucca, in onda su Radiolina, ha dichiarato qualche giorno fa: «Gli ho detto: Joao il tuo obiettivo è salvare il Cagliari e andare in Nazionale: magari con l'Italia, perché lui ha la cittadinanza italiana».
Da quel giorno si parla dell’opportunità o meno di convocare Joao Pedro in Nazionale italiana. Come al solito in questo tipo di conversazioni l’aspetto tecnico appare secondario rispetto ai valori ideologici, come il senso d’adesione ai valori nazionali e l’appartenenza di sangue. Joao Pedro aveva già dichiarato di voler giocare per il Brasile, e quindi la Nazionale italiana sembra un semplice ripiego, come lo era stato per esempio per Amauri, più di dieci anni fa. Amauri a lungo corteggiato da Marcello Lippi, che aveva più volte esplicitamente detto che avrebbe voluto giocare per il Brasile; poi la convocazione era arrivata troppo tardi perché la Juventus gli concedesse il nullaosta. Alla fine era stato convocato nel 2010 dall’Italia di Prandelli per un amichevole contro la Costa d’Avorio. Nulla di particolare da segnalare. Qualcuno ha evocato il suo fantasma parlando di Joao Pedro. Amauri era stato a lungo invocato, convocato grazie a un’impressionante trafila burocratica, per poi giocare un’oretta in amichevole. Nella foto durante l’inno nazionale, intorno ad Amauri ci sono Bonucci (senza barba), Cassano, Balotelli e Angelo Palombo.
Qui c'è addirittura Simone Pepe.
Al di là dei discorsi che riguardano il senso del calcio per nazionali - sempre più ambiguo nel 2021 - sul piano tecnico la convocazione di Joao Pedro avrebbe senso?
Questo Joao Pedro, ci serve?
Joao Pedro ha avuto una carriera strana. È arrivato in Italia nel 2010, quando Amauri vestiva ancora la maglia della Juventus. Al Palermo ha giocato una partita, in Europa League contro lo Sparta Praga, e per il resto ha finito per rinforzare la squadra primavera. È tornato in Brasile, al Santos, ha giocato una decina di partite, per poi essere girato in prestito in Portogallo. L’anno dopo il Cagliari lo ha comprato mettendolo in mezzo a uno scambio con tale Matiàs Cabrera. Al Cagliari lo schierano più che altro esterno offensivo, o seconda punta. I tifosi lo chiamano “Geppo” o “Pippero” per evocarne una certa legnosità tecnica. Al secondo anno segna 13 gol in Serie B, ma non sembra comunque un profilo all’altezza della Serie A. Gioca trequartista, persino mezzala, mettendo in mostra un’intensità agonistica e una predisposizione notevole al sacrificio difensivo. A inizio carriera, in Brasile, aveva giocato persino davanti la difesa. Sembra questa duttilità a permettergli di restare ad alti livelli nonostante un talento non eccezionale. Eppure col tempo - mentre il Cagliari vive stagioni difficili e molti dei suoi compagni non mantengono le promesse del proprio talento - Joao Pedro, a fari spenti, comincia a segnare. Avanza il suo raggio d’azione fino a tornare prima punta come a inizio carriera, per segnare più o meno in tutti i modi.
L’evoluzione di Joao Pedro, così peculiare, sembra seguire le esigenze stesse della Nazionale italiana. Non ha disimparato a cucire il gioco sulla trequarti e a fare da rifinitore, ma è anche diventato un eccellente finalizzatore. Pur non avendo un gioco certo appariscente, Joao Pedro sa fare più o meno tutto. Avendo giocato da trequartista, è bravo a lavorare fra le linee, spalle alla porta e in spazi stretti, anche con l’uomo addosso. Nessuno nella rosa della Nazionale ha la sua capacità di giocare sulla trequarti con il marcatore che gli mette pressione alle spalle.
Le sue rifiniture non sono il massimo della precisione, ma nascono sempre da un’idea brillante, eseguita coi tempi giusti.
L’altra sua qualità migliore è quella delle letture e degli smarcamenti, con cui copre più o meno tutto il fronte offensivo. Di certo è meno bravo di Immobile o Belotti a offrire profondità dietro la linea e quindi ad allungare la squadra avversaria; ma è più bravo di loro a fare da riferimento centrale spalle alla porta. Quando poi la squadra attacca in maniera posizionale, la sua presenza in area di rigore non è trascurabile. Nelle ultime tre stagioni per esempio ha segnato 8 gol di testa, e sembra uno di quei giocatori che pare semplicemente sbucare in area. Il suo repertorio di finalizzazioni è notevole, le sue compilation di gol sono piene di tiri sporchi che finiscono ai lati delle mani dei portieri.
Ma se guardiamo i suoi dati in Serie A è difficile paragonarli con quelli di Ciro Immobile, Scarpa d’oro europea appena due stagioni fa. Joao Pedro è statisticamente peggiore in tutto, anche nel dato sugli xA. Numeri che andrebbero pesati anche nella differenza di contesto, visto che Joao Pedro gioca nella squadra ultima in classifica del campionato. Resta il fatto che il salto dal club alla Nazionale mantiene un margine di imponderabilità, e guardando la storia recente dell’Italia è un discorso che vale soprattutto per i centravanti. Immobile con la Lazio ha una media di 0,70 gol a partita, con la Nazionale scende a 0,27. Nel Cagliari Joao Pedro ha un’influenza enorme sul gioco della squadra: si sposta un po’ ovunque, fa giocate rischiose, si assume molte responsabilità. Rispetto a qualche anno fa lavora meno sul piano difensivo, la sua condizione atletica non è più quella di quando aveva venticinque anni. Come scenderebbe a compromessi nella formazione campione d’Europa? I suoi frequenti allargamenti sull’esterno sinistro come si sposerebbero con l’influenza di Insigne e Verratti in quel corridoio di campo?
È difficile immaginare che una convocazione di Joao Pedro potrebbe risolvere i problemi di finalizzazione dell’Italia, e questo è un argomento di chi non vorrebbe la sua convocazione: perché chiamare un calciatore che non vuole giocare nell'Italia, se non è nemmeno un fenomeno? Lui in realtà ha detto che la Nazionale sarebbe «Qualcosa di unico» perché deve tutto all'Italia, che a pensare a una convocazione gli vengono i brividi.
Il suo è un profilo tecnico interessante, con tutte le caratteristiche per giocare bene nel nostro sistema di gioco. In attesa che giovani come Kean, Raspadori e Scamacca prendano una strada più chiara nella loro evoluzione, non convocare Joao Pedro sarebbe stupido. Calcia pure i rigori.