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Joao Pedro, quando meno te lo aspetti
24 set 2021
Il capitano del Cagliari continua a stupirci stagione dopo stagione.
(articolo)
9 min
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Nel calcio ipertrofico di Messi, Ronaldo, Lewandoski, Haaland, con le loro stagioni da trenta, quaranta, cinquanta gol, che posto può occupare un giocatore come Joao Pedro? Un brasiliano arrivato la prima volta in Serie A molto giovane (18 anni, una sola presenza nel Palermo), tornato poi in Serie A una seconda volta ancora relativamente giovane (22 anni, 5 gol nella stagione della retrocessione del Cagliari, 2014-15) e rimasto sempre al Cagliari, a lottare con più o meno ansia per non retrocedere, arrivato a piena maturità a ventisette, ventotto anni, e che oggi è il sesto brasiliano ad aver segnato più gol nella storia del campionato italiano? Come minimo il posto di Joao Pedro sarà quello di leggenda locale. Che, insomma, è già qualcosa. Nel 2016, quando il Cagliari è tornato in A e Joao Pedro era già il suo giocatore più importante, scrivevamo: «Se dovesse confermare questi numeri, difficilmente lo vedremo in Sardegna ancora per molto». E invece è ancora lì, su quell’isola che è sempre più sua, il contrario di Ulisse prigioniero di Circe, più vicino semmai a David Suazo che dopo 94 gol viene visto partecipare – questo mi è stato detto da un amico, la cui madre, o forse zia, lo ha incontrato al tavolo – ai tornei locali di burraco.

Forse dovremmo pensare ai giocatori come Joao Pedro immaginandoli su un piano temporale separato rispetto a quello dei loro contemporanei, uno in cui i giocatori di squadre come il Cagliari non se ne vanno dopo la prima stagione fatta bene, e neanche dopo la seconda. Ma non sarebbe neanche giusto considerarlo solo come un fatto locale, proprietà affettiva dei soli tifosi cagliaritani. Joao Pedro ha lasciato un segno in Serie A, sta lasciando un segno, anzi, affermando la sua unicità, il suo stile prettamente individuale e originale – e questo, sì, è un filo che lo unisce ai migliori di questi anni, anche se è un filo fragile che quando si prova a tirare con le dita viene subito via, si sfalda, e in qualsiasi discussione calcistica che riguardi giocatori come Joao Pedro, o Quagliarella, o Pandev, o Muriel, bisogna stare attenti a non fare paragoni troppo in alto se non si vuole venire ridicolizzati; anche se tutti sappiamo che c’è un filo che unisce il talento dei migliori “tra i minori” a quello dei migliori “in assoluto”.

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Dicevamo, però, che gente come Joao Pedro va considerata come se provenisse da un altro tempo. Collegata con un filo, ma su un piano temporale diverso. La più grande illusione che accompagna giocatori come Haaland e Mbappé, nati pronti o quasi, frutto dei migliori patrimoni genetici e di una mentalità aliena, cannibale, è che il talento può svilupparsi, gonfiarsi, maturare e poi esplodere nel giro di poco. È una cosa che giganti come Messi e Ronaldo ci hanno fatto dimenticare dopo venti stagioni consecutive senza senso: chi ricorda le difficoltà del dribblomane di Manchester, chi pensa più al piccolo argentino emigrato in catalogna che piange tutte le sere senza farsi vedere dal padre? L’illusione, cioè, che il talento sportivo sia una presenza costante, una certezza anzi, e non qualcosa che va lavorato, cercato, invocato e, in alcuni casi, aspettato pazientemente.

Quello di Joao Pedro è un talento cambiato negli anni, cresciuto per accumulazione e stratificazione, è il talento di un giocatore che è stato trequartista, ala, persino mezzala, e poi seconda punta, e poi centravanti. Che ha scoperto – nel senso di svelato – la sensibilità di un raffinato finalizzatore solo nelle ultime due stagioni, segnando 34 gol. Lo scorso anno ha segnato più di un quarto del totale dei gol del Cagliari in campionato (una squadra che si è salvata alla penultima giornata) e anche quest’anno ha iniziato con 4 gol in 5 partite. Sarebbe sciocco aspettarsi una costanza maggiore non solo per il contesto ma anche per l’indolenza del talento di Joao Pedro, che può tranquillamente passare intere partite senza fare niente di eclatante, partecipando al gioco ma neanche moltissimo (non supera mai di molto i 20 passaggi a partita), aspettando, aspettando.

Quando però l’occasione arriva, ed è un’occasione di cui magari si accorge solo lui, o di cui comunque si accorge prima di tutti gli altri, il suo corpo si attiva con una rapidità imprevedibile, come se si trattasse di un semplice riflesso muscolare. In questo senso forse il gol più rappresentativo del suo talento è quello segnato nella partita con la Roma del marzo 2020, stop di coscia al limite dell’area e pallonetto di interno come fosse un movimento unico, con il portiere avversario scavalcato sul secondo palo anche se era solo un paio di passi oltre la riga della porta. Guardando – e riguardando – quel gol viene voglia di chiedergli in che momento ha pensato di calciare in porta in quel modo. È stato prima o dopo aver controllato la palla di coscia? Come viene voglia di fare una cosa impossibile, separare pensiero e azione. Chissà, magari è un gol che gli viene da un sogno fatto da ragazzo, nella polvere di Ipatinga da dove ha detto di venire, polvere in cui volteggiano pagliuzze di ferro e oro.

In ogni caso i giocatori a lui vicino, Smalling che lo marca, Pau Lopez che si tuffa all’indietro, capiscono cosa sta succedendo quando Joao Pedro sta già esultando. È questo il filo rosso che accomuna tutti i grandi calciatori, indipendentemente da quanto a lungo siano stati grandi, questa sorpresa che sa di beffa, questo anticipo che gli rende le cose facili. Anche se in passato era piuttosto veloce con la palla al piede – una velocità dovuta principalmente alla tecnica con cui conduce palla con il collo esterno del destro, toccandola, sembrerebbe, sempre con gli stessi pochi centimetri quadrati di piede – quasi tutti i suoi gol vengono dalla sua sveltezza di pensiero, anche i tap-in a pochi metri, quando sceglie se controllarla o no, in che angolo tirare, come coordinarsi, tutto con un attimo di anticipo sui difensori e sul portiere, come un invitato che si presenta alla festa prima degli altri e si trova davanti un buffet ancora integro.

Per ragioni di chiarezza farò un esempio, citando uno dei suoi gol più da opportunista. Il secondo, dei due segnati contro il Chievo nella stagione 2016-17. Nasce da un’azione caotica, che Joao Pedro osserva quasi da spettatore, dal lato sinistro dell’area di rigore, finché una specie di rinvio corto del portiere avversario gli arriva sui piedi. Qualsiasi altro giocatore avrebbe calciato di prima, anticipando il portiere e il difensore che gli viene addosso, e cercando di evitare quello sul palo di porta. Lui invece fa una prima finta rientrando verso il centro dell’area, con cui fa cadere quello sulla riga e salta quello che gli va addosso, poi, una volta solo davanti allo specchio, per eliminare il portiere fa altre due finte, quasi camminando finché il portiere si tuffa e lui può calciare ad altezza media. Se avesse tirato prima, magari dopo la prima finta, quasi sicuramente avrebbe segnato lo stesso, ma quelle due finte in più gli garantiscono la calma più assoluta.

Quelle finte servono a Joao Pedro per non andare troppo di fretta. Vengono, come detto, da un talento sinceramente indolente. Oggi che non ha ancora compiuto trent’anni gioca come un veterano, nel bene e nel male, cammina spesso in campo ed è bello osservarlo mentre aspetta, girando la trequarti quasi sovrappensiero, rientrando tardi dal fuorigioco con le spalle basse, lasciandosi sfilare la palla accanto per non far fischiare l’arbitro. E poi, un attimo dopo, è altrettanto bello notare che, dopo quel calcio d’angolo respinto in tuffo con la determinazione di un difensore navigato, è Joao Pedro ad alzarsi da terra e a darsi il cinque con i compagni – esibendo quello strano paradenti con cui gioca (non è l’unico, ma continuerò a trovare strano un calciatore coi paradenti anche quando lo avranno tutti).

Lui dice di aver imparato a fare l’attaccante da Pavoletti, e di aver sviluppato le potenzialità del proprio tiro di interno, particolarmente forte e preciso, in un periodo in cui da infortunato alla caviglia non poteva calciare forte di collo. Ma c’è sempre qualcosa che viene dal pensiero dietro – o che forse accompagna, in parallelo – i suoi gol. Certo non è facile spingere la palla in rete una, due, tre, cinquanta volte, neanche se molte di quelle volte la palla è ferma sul dischetto o ti arriva incontro a pochi metri dalla riga. Bisogna trasformare il proprio corpo in una sponda che dia l’angolo giusto, la traiettoria efficace. E Joao Pedro non ha fatto un gol uguale a un altro, ha segnato di testa, di stinco, saltando il portiere, calciando di collo al volo, di interno a rientrare sul primo palo, di interno a uscire sul secondo. Senza mai rompere la porta, sempre con una certa calma.

Nell’ultima partita giocata in questa stagione, quella persa in casa 2-0 con l’Empoli, ha toccato pochissimi palloni ma a una decina di minuti dalla fine ha avuto una delle due occasioni più limpide della partita del Cagliari. Marin gli porta la palla fino in area, sul lato sinistro, Joao Pedro controlla con l’esterno destro e calcia quasi subito, di interno, sul secondo palo, anche se ha un difensore davanti. La palla esce di pochissimo e sia lui che Keita Baldé si mettono le mani in testa, ma è un tiro meno banale di quello che sembra leggendo: non c’era spazio, il difensore era davvero attaccato a lui e gli copriva il secondo palo, Joao Pedro aveva calciato appositamente al lato provando a far girare la palla toccando il terreno. E la palla ha girato, in effetti, solo non abbastanza da entrare sul secondo palo. Sembra un tiro da mini-golf, con gli ostacoli fermi e la buca nascosta a momenti dalla pala di un piccolo mulino a vento.

Pochi giorni prima aveva realizzato assist e gol nel pareggio 2-2 con la Lazio, a Roma, in un’esibizione pubblica della sua furbizia. L'assist lo fa vincendo il duello in fascia con Luis Felipe, rallentando quando gli arriva la palla e accelerando quando arriva il difensore a contatto, sfuggendogli da davanti come fosse stato un miraggio pur senza grande velocità, e una volta sul fondo ha servito all’indietro Keità. Il gol invece se l'è costruito praticamente dall’inizio, entrando nella trequarti di campo con Leiva addosso e chiamando il triangolo a Marin, che gli restituisce una palla difficile da controllare nel cuore dell’area, alta, da dietro, con Reina in uscita. Il pallonetto di testa è tanto contro-intuitivo quanto semplice. Una soluzione che, come piacerebbe agli scienziati, è efficace anche perché elegante. Richiede poco sforzo atletico e tecnicamente somiglia più a un palleggio con cui eviti che ti tolga la palla un cane, che a un tiro.

Joao Pedro esulta in modi diversi, su suggerimento del figlio più grande. Spesso però si batte una tempia con la punta dell’indice, e guarda in modo provocatorio, talvolta scazzato, il pubblico o la telecamera. Non ho idea di cosa voglia dire precisamente, ma a me sembra giusto che sottolinei il ruolo che svolge il cervello nelle sue giocate. E che non significa sono più intelligente di voi, quanto piuttosto, credo, lasciatemi il tempo di pensare. Gli ci sono voluti ventisette, ventotto anni, ma alla fine i suoi pensieri hanno dato dei frutti..

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