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Correa è all'Inter per il salto definitivo
30 ago 2021
L'argentino veste nerazzurro dopo una carriera non sempre all'altezza del suo talento.
(articolo)
8 min
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Al minuto 82 di Verona-Inter, quando Matteo Darmian si impegna per tenere in campo un passaggio bello ma forse lungo di Vidal, Joaquin Correa è entrato da dieci minuti e non sembra crederci più di tanto. Avanza camminando con indolenza, interpretando il ruolo del talento sudamericano bello e inutile che da una vita si porta dietro. Darmian, però, che riesce sempre a fare qualcosa in più di quanto ci si aspetta, tiene la palla in campo e un po’ annebbiato la spara in area come capita. Il cross non è male, ma è alto e sfila all’indietro mentre sembra incontrare quasi per caso la corsa di Correa. Per una strana distorsione cognitiva, «El Tucu» è uno dei giocatori che sembrano sempre più bassi di quello che sono in realtà. Il suo metro e 88 gli basta per saltare sopra il marcatore, ma per lui che non ha una fama da grande colpitore di testa è un tiro difficile. Correa non si limita a schiacciare la palla, ma le dà un giro supplementare verso l’alto che la rende troppo alta per il portiere. È un gol da “ariete”, da numero 9, ed è ironico che ad averlo segnato è stato un trequartista noto per il suo stile etereo e fastidiosamente poco pragmatico. È ironico soprattutto che lo abbia segnato lui, al termine di un’estate in cui l’Inter ha cercato centravanti fisicamente portentosi che potessero avvicinarsi il più possibile all’ideale platonico di Romelu Lukaku: un uomo che pareva caricarsi letteralmente l’Inter sulle spalle. Scartato il troppo caro Duvan Zapata, e il non del tutto convincente Belotti, o l’enigmatico Scamacca, infine è arrivato Joaquin Correa, e quello all’esordio ha segnato non solo un gol bello e controintuitivo per le proprie caratteristiche, ma anche un gol importante, in una partita in cui l’Inter ha sofferto il ritmo e l’atletismo dell’Hellas Verona. La squadra di Di Francesco pareva la squadra di Juric, e così ha aggredito l’Inter in alto seguendo la traccia di forsennate marcature a uomo. Dopo meno di un quarto d’ora, dopo una riconquista altissima, Ivan Ilic ha segnato con uno di quei scavetti così belli e indolenti da sembrare provocatori.

Poi Correa ha segnato quel gol di testa, ha mimato di avere il ghiaccio nelle vene e allargato le braccia verso il settore interista come a dire «Eccomi qui». Simone Inzaghi si fa 70 metri di corsa per andarlo ad abbracciare: è stato lui, che lo ha allenato alla Lazio, a volerlo lì. Due minuti prima gli aveva chiesto di non arretrare troppo verso il centrocampo quando il Verona attaccava, che doveva rimanere alto ad aspettare un’occasione. Ha finalizzato un’azione piena di ottimismo per l’inizio di stagione dell’Inter: iniziata da uno straordinario passaggio in verticale di Arturo Vidal, rifinita da un generoso cross di interno da Matteo Darmian.

Poco più di cinque minuti dopo Correa segna un altro gol che se non è così difficile, almeno fino a venerdì sembrava difficile per lui. Perché quando riceve a sedici metri dalla porta, completamente libero, lo specchio di fronte, pare troppo facile per le sue qualità. Ma nella sua carriera Correa si è costruito una solida reputazione di errori facili che fanno da contraltare a gol impossibili. E così c’è da strabiliare quando fa sembrare così semplice il tiro incrociato rasoterra di sinistro, che non sarebbe nemmeno il suo piede.

Visto da una certa prospettiva, Correa non è costato poco: 31 milioni di euro, al termine di una trattativa in cui Lotito aveva dichiarato «Pagare moneta, vedere cammello». Ha 27 anni: non tanti, ma tanti per considerarlo un giovane talento; viene da due stagioni in cui ha segnato 8 e 9 gol: non pochi, ma pochi per un attaccante che ha giocato in una squadra offensivamente brillante come la Lazio. L’impressione, però, è che Inzaghi lo abbia voluto all’Inter convinto che quello che abbiamo visto finora non è ancora il miglior Correa possibile. «Non ha ancora fatto vedere il suo meglio», ha infatti detto dopo la partita il nuovo allenatore dell'Inter. E in effetti in questi anni Correa è sembrato imprigionato in un limbo tra il talento sprecato e la piena realizzazione. In tutte le squadre in cui ha giocato ha alternato partite da fenomeno ad altre fiacche e frustranti. Le sue incredibili doti tecniche e atletiche lo portano spesso nelle condizioni ideali per essere decisivo nelle partite, e poi Correa finisce per sbagliare le cose più semplici. Un paio d’anni fa, mentre la sua influenza nella Lazio cresceva, la sua cronica incapacità a fare gol faceva interrogare: pesano più i suoi cambi di passo, le sue conduzioni palla al piede, i suoi dribbling, la sensazione che possa ribaltare partite in un momento, oppure il fatto che tutta quella mole di gioco rimanga infine incompiuta? Due anni fa poi Correa trovò il modo di sbloccarsi, nella partita che sbloccò tutta la Lazio. Dopo una sponda di Immobile, Correa si infila in area di rigore e, dopo aver protetto palla, lascia partire un tiro sotto l’incrocio opposto.

In carriera Correa ha avuto questi momenti di grandezza. Sempre lo scorso anno mise a sedere Donnarumma con una finta e un dribbling di suola, e accompagnando poi la palla in porta senza tirare. Nella stessa partita sdraiò Tomori in area di rigore prima di tirare fortissimo sotto la traversa. Contro la Juventus piegò Demiral a forza di doppi passi, prima di concludere con un tiro sul primo palo. Ma a questi ha alternato problemi muscolari e partite sciape in cui non si capiva la sua reale utilità in campo. Per questo quando si parlava dei giocatori migliori della Lazio ci si riferiva sempre alla santissima trinità Immobile-Milikovic-Luis Alberto. Lui rimaneva fuori, in attesa che coprisse i margini di miglioramenti che si vedevano nel suo gioco, sulla carta perfetto per una squadra che ama attaccare in campo lungo.

La rapidità con cui Correa muove il suo fisico longilineo è quella dei trequartisti eleganti e verticali post-Kakà. Giocatori che non spiccano nella rifinitura ma nel modo in cui rompono le linee in corsa; che al dribbling in spazi stretti preferiscono l’accelerazione in quelli ampi; che a disagio con l’uomo addosso, preferiscono spostarsi in fascia per ricevere con la porta già di fronte. Ma quali sono le reali potenzialità di Correa?

Il fatto è che guardando le sue statistiche nel corso degli anni, Correa non eccelle in niente in particolare. Non eccelle nel dribbling per esempio. La scorsa stagione ha dimezzato quelli tentati dell’anno prima, con una riuscita inferiore al 50%. Siamo su numeri piuttosto modesti - 1,5 ogni 90 minuti, distanti dai migliori esterni offensivi del campionato. Correa non brilla neanche nella rifinitura dell’azione. Alla Lazio ha servito appena 5 assist nelle ultime due stagioni, con appena 1 passaggio chiave per 90 minuti. Del resto Correa non brilla nelle scelte degli ultimi trenta metri di campo. Il dato davvero eccezionale di Correa è quello degli xG su azione, che da due anni lo mette tra i primi 15 giocatori del campionato, pur non giocando sempre e spesso distante dalla porta. E pur non avendo un gran numero di tiri. Correa sceglie bene quando concludere in porta, e sa ricavarsi tiri pericolosi.

Correa in effetti ha un istinto notevole per gli inserimenti sulle seconde palle, e per gli scatti in profondità sulla rifinitura dei compagni. Caratteristiche che sembrano sposarsi bene con attaccanti sgobboni e bravi a venire incontro come Lautaro e Dzeko. Il problema è sempre stato quello della conversione, su cui Correa non ha numeri eccezionalmente negativi ma comunque sempre sotto le attese - lo scorso anno -0,8 rispetto ai gol previsti (dati Stasbomb). Come già al suo esordio, l’Inter di Inzaghi dovrà esplorare soprattutto queste capacità ancora in parte inesplorate di Correa di agire da attaccante ombra, sia partendo da titolare che a partita in corso. Il suo tempismo nelle corse senza palla è sottovalutato.

Qui per esempio individua bene la tasca di spazio in cui correre, tra il terzino e il centrale del Genoa. La palla preferita di Luis Alberto.

Nelle prime partite la nuova Inter di Simone Inzaghi pare concedere una maggiore libertà di interpretazione ai suoi giocatori, rispetto al gioco più meccanico di Conte. Un giocatore istintivo come Correa aggiunge profondità tecnica, ma anche talento nelle associazioni offensive. La Lazio basava molta della propria pericolosità sulle letture individuali e le associazioni tra i giocatori offensivi, e in quel contesto Correa ha mostrato letture non banali.

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In quest’azione dimostra una lettura negli smarcamenti notevole. Prima viene incontro sulla trequarti e chiama palla sui piedi, ma quando vede che Immobile è riuscito a portare via Masiello, cambia la propria direzione di corsa e la chiama nello spazio centrale. Infine rifinisce di prima per Immobile, anche se non con grande precisione.

Non prendendo un altro numero nove, l’Inter ha sacrificato l’idea di avere a disposizione un altro riferimento offensivo spalle alla porta per aggiungere però varietà e soluzioni. L’idea di giocare sempre con due punte fisse come si faceva con Conte lascerà il posto a tridenti più vari. Inzaghi alternerà probabilmente il 3-5-2 col 3-4-2-1, con Correa, Lautaro e Calhanoglu che possono ricoprire il ruolo di trequartisti e incursori (e a questi nomi si può aggiungere forse anche Perisic). In questa rosa di nomi Correa ha caratteristiche uniche, per la capacità di correre e risalire il campo e di creare occasioni da azioni individuali. Ma l’aspetto più importante è che con Dzeko - un numero nove abile nel gioco di cucitura e rifinitura sulla trequarti - Correa dovrà mettere a disposizione la sua capacità di inserirsi e concludere in porta.

Correa era stato già vicino al passaggio all’Inter nel 2012, quando giocava in Argentina nell’Estudiantes. Juan Sebastian Veron spinse per farlo rimanere e rifiutare i due milioni di euro offerti da Moratti all’epoca. Nei suoi passaggi nella Sampdoria, nel Siviglia e nella Lazio, Correa ha sempre suggerito un talento promettente, senza riuscire a diventare un giocatore davvero influente per le sue squadre. Non ha mai avuto infortuni davvero gravi, ma diversi problemi muscolari che ne hanno spezzato la continuità e confermato l’impressione di un talento troppo fragile per il calcio contemporaneo. Dopo una carriera da giocatore sudamericano incline al romanticismo, con alcune buone stagioni in mezzo ma mai del tutto convincenti, Correa deve dimostrare di poter diventare concreto e utile in una squadra con ambizioni di scudetto.

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