L’importanza di Correa nella Lazio è sempre più grande: in un anno è passato da primo cambio dell’attacco a spalla quasi insostituibile di Ciro Immobile. E lo ha fatto con i marchi di fabbrica del suo bagaglio tecnico: la capacità di cambiare passo palla al piede, di creare superiorità numerica con i dribbling e di associarsi in maniera raffinata al compagno di reparto e a Luis Alberto, che con l’esplosione di Correa si è saputo reinventare, prima in maniera stentata e poi sempre più convinta e affidabile, nei panni di mezzala.
Quella in corso doveva essere la stagione della consacrazione del “Tucu”, che in effetti mostra un dominio tecnico sempre in crescita. In particolare, pochi giocatori in Serie A saltano l’uomo con la brillantezza fisica e la tecnica di Correa, ma l’incantesimo si spezza a pochi metri dalla porta, dove Correa diventa un giocatore goffo, imbranato.
Tanto è leggero e mercuriale palla al piede, tanto pesante e impacciato quando si tratta di fare gol. Nello stringato bilancio delle prime sette giornate di campionato Correa ha realizzato un solo gol, e sta facendo parlare di sé più per gli errori sotto porta che per il resto. Tutti errori che si sono stampati negli occhi dei tifosi della Lazio: il pallone sparacchiato su Pau Lopez nel derby della seconda giornata; le chance sprecate davanti al totem Handanovic nella trasferta di San Siro; il rigore calciato sulla traversa a Bologna, non prima della solita conclusione addosso a Skorupski.
L’argentino è diventato il capro espiatorio perfetto per una tifoseria che da anni arriva ad annusare la qualificazione in Champions League senza mai arrivarci. Eppure Correa ha fatto anche grandi prestazioni, che ne alimentano il paradosso, come quella al Dall’Ara con la squadra rimasta in 10: Inzaghi lo ha tenuto in campo come unica punta preferendo la sostituzione di Immobile, e l’argentino ha provocato l’espulsione di Medel, tenendo in apprensione da solo l’intera difesa rossoblù.
Come detto, però, gli errori restano indimenticabili - se non imperdonabili. L’argentino non è il problema della Lazio, che non ha trovato dal mercato le soluzioni che pensava, ma è forse il miglior simbolo di una squadra che continua a essere più bella che concreta.
Una situazione fotografata da Francesco Acerbi dal ritiro della Nazionale: «Abbiamo sempre gli stessi problemi da quando sono alla Lazio. Giochiamo bene, ma a volte perdiamo partite che non dobbiamo perdere. Se la classifica è questa vuol dire che qualcosa ci manca».
Prequel
Correa sta semplicemente vivendo un brutto momento realizzativo oppure la sua è una tendenza conclamata?
L’argentino ha da sempre un rapporto complicato con il gol ma il problema si è acuito con il suo graduale avvicinamento alla porta: arrivato in Italia poco più che ventenne, con un grande punto interrogativo legato al ruolo, poteva permettersi qualche errore ogni tanto partendo da zone più arretrate. Non era a lui che si chiedeva di segnare.
Il 4 ottobre 2015 si gioca Sampdoria-Inter, capitan Roberto Soriano sta conducendo una ripartenza al cospetto di un’Inter che fatica a rientrare. Correa si sbraccia sulla sinistra, Muriel non fa nulla per aiutare Soriano, andando quasi a sovrapporsi al compagno di squadra. Il centrocampista riesce comunque a servire l’argentino, che ciabatta malamente sul corpo di Handanovic con il mancino.
È un tipo di soluzione che Correa, anche a distanza di quattro anni, continua ad avere quasi come istinto primario: cercare il tiro tra le gambe del portiere, o sotto il corpo dello stesso, invece di alzare la testa, leggere il piazzamento e provare a indirizzare la sfera negli angoli. Handanovic respinge, e a questo punto Correa può calciare da dentro l’area piccola con la porta sguarnita.
Va ancora una volta con il sinistro: è un gol fatto. Non per l’argentino, che mette clamorosamente a lato.
Un’ondata di stupore si abbatte sul Ferraris.
All’epoca questo errore era coerente con la figura del calciatore fumoso e incollocabile che sembrava definire Correa in quel momento, ma sono passate quattro stagioni e l’argentino è diventato, anche grazie a Simone Inzaghi, tutt’altro tipo di giocatore.
Reduce da due stagioni a Siviglia in cui aveva agito prevalentemente da esterno – destro o sinistro – del 4-2-3-1, “el Tucu” nella Lazio è uscito dalla “comfort zone” della fascia sinistra per avere un’influenza più completa sulla partita.
All’inizio ha accettato il ruolo di “spacca partite”, giocando titolare soprattutto nei primi mesi della scorsa Europa League ed entrando a gara in corso in campionato, ma presto il tecnico biancoceleste ha capito l’importanza di Correa, soprattutto alla luce del calo di prestazioni di Luis Alberto nella posizione ibrida di regista offensivo/seconda punta che sembrava ormai letta senza troppi problemi dalle difese avversarie.
Correa ha ridato alla Lazio la possibilità di correre in verticale anche senza appoggiarsi sui soliti scatti di Immobile ad allungare le difese, permettendo a Inzaghi di riscoprire il brivido di un giocatore abilissimo nel ribaltare l’azione in conduzione (mancava dalla cessione di Felipe Anderson), sfruttando anche una stazza non da poco per un trequartista/seconda punta: gli strappi palla al piede dell’argentino, che sfiora il metro e novanta ma sa volare via velocissimo, consentono alla squadra di salire e di aprire squarci nelle retroguardie.
Così, col passare dei mesi, Correa è diventato un giocatore fondamentale nelle dinamiche di gioco della squadra di Inzaghi, che ha riadattato Luis Alberto a centrocampo per formare una sorta di quadrilatero magico: lo spagnolo e Milinkovic-Savic da intermedi, Correa e Immobile (o Caicedo) in avanti.
L’istinto lo porta quasi sempre a muoversi nel centro-sinistra, idealmente davanti alla mezzala, che sia Luis Alberto o Milinkovic-Savic (nella versione con Parolo sul lato opposto) poco importa. Correa interpreta il calcio in maniera sfacciata, ama l’uno contro uno, il dribbling anche a 40 metri dalla porta, le pause e i successivi strappi: è uno stile di gioco inevitabilmente rischioso, ma che consente alla Lazio di andare spesso in superiorità numerica.
È un giocatore più intelligente di quanto si possa pensare: Correa ha imparato a dividere bene gli spazi con Immobile, a fraseggiare nello stretto, a premiare i tagli del compagno di reparto. La parte conclusiva della scorsa stagione aveva lasciato sul tavolo delle analisi le premesse per quella che, in ambito NBA, definirebbero “breakout season”, l’annata dell’esplosione.
Le reti con Cagliari e Bologna in campionato, anche se in gare già sostanzialmente balneari, e le due firme pesantissime in Coppa Italia, vale a dire il gol-qualificazione in occasione della semifinale di ritorno a San Siro contro il Milan e quello che ha chiuso la finale contro l’Atalanta, lasciavano presagire un’ulteriore crescita.
Magari un percorso simile a quello di Keita Balde, che proprio con Inzaghi aveva fatto il salto da giocatore bello da vedere e non troppo concreto nei sedici metri ad attaccante prolifico (16 gol in 31 presenze nel 2016/17).
I presupposti, almeno in questa prima parte di stagione, non sono stati ancora rispettati.
Il migliore Correa possibile. L’argentino scappa in campo aperto e ha la freddezza, entrando nel novantesimo minuto, di leggere la situazione, irridere Freuler in velocità, evitare una conclusione con un brutto angolo preferendo il dribbling su Gollini e poi calciare a porta vuota, non senza un brivido.
Qual è il problema?
La strana situazione di Correa è sottolineata anche dalla quantità di volte che arriva davanti al portiere. In queste sette giornate di campionato, gli expected goals per partita di Correa sono saliti a 0,587 (0,310 nella scorsa stagione), e la pericolosità dei singoli tiri presi non è così diversa da un anno fa (0,130 ora, 0,142 nel 2018/19).
È crollata invece, e in maniera drammatica, la capacità di conversione di queste occasioni, considerando che i tiri sui 90 minuti sono passati dai 3,3 dello scorso anno ai 4,6 di quest’anno.
Bisogna contestualizzare questi numeri per capirli meglio: Correa è il quarto giocatore in assoluto della Serie A per xG prodotti, un dato notevole per un giocatore che non è propriamente una punta. È dietro solo a Cristiano Ronaldo, Dzeko e Zapata, ma è l'unico - considerando le prime 10 posizioni - ad aver segnato un solo gol.
Va detto che l’argentino ha buone scelte di tiro, quasi tutte concentrate in area di rigore. Verrebbe allora da pensare che Correa, molto semplicemente, calci male. Stiamo però parlando di un giocatore estremamente tecnico, soprattutto in conduzione, e capace di conclusioni anche dall’alto coefficiente di difficoltà.
Nel festival dei pali dell’ultimo derby, il contributo di Correa con un giro sul secondo palo di grande eleganza.
Al momento della conclusione, però, Correa fa spesso la scelta sbagliata, oppure indugia nell’attimo di esitazione in più che permette al difensore di coprire un angolo. Oppure si lascia prendere dalla frenesia che porta a centrare in pieno il portiere.
In una sorta di sindrome di Stoccolma applicata al calcio, è come se Correa avesse iniziato a familiarizzare con i difetti che la Lazio di Simone Inzaghi non riesce a scrollarsi di dosso, somatizzandoli fino a diventarne un’emanazione. Una squadra che gioca bene, che piace, sembra divertirsi quando può esprimere calcio, ma che al momento di diventare concreti si perde.
Prendiamo nuovamente in prestito le parole di Acerbi: «Quello che ci manca è salire quel gradino che ci porti a fare un salto di qualità: è la voglia, la determinazione di portare a casa risultati che contraddistinguono le grandi squadre, ad esempio non si possono prendere due gol dalla Spal dopo aver dominato, così pure col Cluj. È un salto di qualità che spero si riesca a fare a breve, perché non siamo dove ci aspettavamo di essere».
Un momento “classic Correa” dalla scorsa semifinale di Coppa Italia: l’ingresso in area a velocità supersonica dopo due dribbling, l’abilità nello scambio con Luis Alberto, la conclusione addosso al portiere
Probabilmente Correa non diventerà mai il finalizzatore freddo e spietato che i tifosi della Lazio sognano. Gli aspetti in cui l’argentino può crescere riguardano però la lettura delle singole situazioni, visto che le doti tecniche non sono in discussione: nella partita contro l’Inter, per esempio, “el Tucu” ha messo insieme giocate incredibili in positivo (il tiro a giro con il pallone recapitatogli da brevissima distanza da Caicedo a 0.49 di questo video) e in negativo (sempre nel video precedente, la decisione di provare a scavalcare Handanovic con uno scavetto a 1.16, quando l’arco delle soluzioni possibili era pressoché infinito).
Specialmente nelle situazioni di uno contro uno con i portieri, ricorrere al dribbling potrebbe essere una soluzione da esplorare: un’arte sempre meno in uso, che però toglierebbe a Correa l’ansia di dover pensare troppo, o troppo poco, alla conclusione. L’esempio da seguire è in casa, con Caicedo che sta diventando uno specialista.
Correa è l’esempio forse più lampante che avere una grande tecnica non basta per diventare un grande finalizzatore. Fare gol ha a che fare con un istinto e con doti immateriali non riducibili alla capacità di toccare e calciare il pallone.
Il rigore sbagliato a Bologna è un incidente di percorso normale per qualsiasi giocatore, ma che per Correa sembra un sintomo patologico del suo rapporto con il gol. Inzaghi ha immediatamente difeso il calciatore, rispondendo anche alle critiche per aver tolto Immobile e non lui: «Ciro è un trascinatore, ma dopo l'espulsione di Leiva ho dovuto fare una scelta. Correa era fresco, la scelta penso che abbia pagato. Immobile è il nostro rigorista, ma era uscito in quel momento. Correa si è preso la responsabilità ma ha colpito la traversa, sarebbe stato il gol vittoria. Ma solo chi li calcia sbaglia i rigori. Correa è uno dei rigoristi come Immobile, Luis Alberto e Jony, se la sentiva ed è giusto che l'abbia tirato. Deve continuare a lavorare così, presto tornerà al gol».
La società ha prolungato il contratto dell’argentino fino al 2024, annunciandolo nella settimana della sosta. La speranza è che si tratti di un momento particolare e che Correa aumenti il proprio potere negli ultimi metri, anche perché solo cominciando a segnare le sue occasioni più facili Correa ha la possibilità di andare facilmente in doppia cifra.
La prossima occasione di riscatto sarà contro l’Atalanta, che in campionato è partita alla grande ma che in Europa ha dimostrato di soffrire terribilmente i giocatori bravi a dribblare, proprio come Correa.