Un gol, due assist, il premio di migliore in campo e addirittura qualche rimpianto per i due legni colpiti: a Joaquin Correa una partita del genere non capitava da così tanto tempo, che è sembrata quasi una prima volta. Forse per la suggestione dovuta al ricordo del suo debutto in nerazzurro, che risale a tre anni e mezzo fa, sempre al Bentegodi: quel giorno entrava dalla panchina e raddrizzava il pomeriggio storto della nuova Inter di Simone Inzaghi, con una doppietta tanto illusoria (prima e ultima) quanto improbabile (di testa, decisamente non la sua specialità). Ieri invece l’argentino è partito titolare - a proposito di eventi rari: 552 giorni dopo - e ha ripagato la fiducia mettendo la firma sullo 0-1, poco dopo il quindicesimo minuto. La sequenza con cui ci è riuscito - velo, triangolo con Thuram e scavetto per battere il portiere in uscita - cattura l’occhio, ed è un manifesto del perché, un tempo almeno, si poteva perdere la testa per il talento, l’eleganza e gli istinti nello stretto del Tucu. Il contatore dei giorni trascorsi dall’ultimo gol in campionato (756) ci ricorda invece com’è andata davvero la sua carriera, soprattutto in quest’ultima fase nerazzurra.
Correa ieri era già andato vicino alla rete nei minuti precedenti, di testa, deviando sulla traversa una di quelle palle lente e “sporche” che gli piacciono il giusto. Subito dopo essersi sbloccato, invece, ha restituito il favore a Thuram per lo 0-2, trovandolo con una bella linea verticale nelle praterie dietro alla difesa dell’Hellas. Gol e assist, in un amen, e partita indirizzata: proprio ciò in cui sperava Inzaghi, privo del febbricitante Lautaro Martinez e con l’impegno-Lipsia all’orizzonte. Al quarantesimo, poi, Correa ha aggiunto al tabellino il suggerimento di tacco per il definitivo 0-5 di Bisseck, e poco importa che fosse “cercato” (come ha detto l’argentino nel post-gara), fortuito, o una probabile via di mezzo tra le due. Alla fine, a tempo quasi scaduto, il numero 19 ha addirittura sfiorato la doppietta, con un bel tiro da fuori area che avrebbe messo il punto esclamativo sulla sua giornata di grazia, ma si è stampato sull’incrocio dei pali.
Sfortuna a parte, il bottino raccolto nella sola partita di ieri si avvicina sinistramente a quello complessivo delle ultime due stagioni, in cui Correa conta 38 presenze tra Serie A e Ligue 1, con la miseria di tre reti e un assist. Alla sfida del Bentegodi si era presentato con un lungo digiuno all’attivo, dopo non essere riuscito a segnare neppure un gol per il Marsiglia; l’ultimo con la maglia dell’Inter risaliva ad aprile 2023, se contiamo anche la Champions League (il 3-1, bello ma tutt’altro che determinante, nella gara di ritorno dei quarti contro il Benfica) - altrimenti bisognare tornare a ottobre 2022, e cioè a un altro bel gol segnato nel garbage time contro la Sampdoria. Erano più di due anni, insomma, che Correa non regalava una vera gioia ai tifosi dell’Inter, e probabilmente neanche lui ricordava più cosa si provasse.
Per due anni ogni volta che la telecamera lo inquadrava lui tradiva il suo tormento interiore. Correa sembrava un'anima in pena. Arrivato a Milano per l’occasione più importante della sua carriera, protagonista di un inizio da sogno e poi intrappolata in un lungo incubo, fatto di infortuni e prestazioni-fantasma, di cui l’argentino sembrava soltanto aspettare la fine, passivamente. Muso lungo, testa bassa, linguaggio del corpo sconnesso, quell’intensità ondivaga con cui ha sempre attirato qualche mugugno dagli spalti, e figurarsi a San Siro, dove il pubblico non ha molta pazienza e dove Correa è diventato da tempo un simbolo di qualcosa, sicuramente di negativo. Coperto di fischi a ogni occasione possibile, nell’ostilità di un ambiente che ha convinto Inzaghi a utilizzarlo soltanto in trasferta.
Per dare un’idea del termometro emotivo del tifo interista riguardo a Correa, basti pensare alla speranza nutrita dall’ambiente la scorsa primavera, quando il Marsiglia era in corsa per vincere l’Europa League e arrivare quarto in campionato: due traguardi che avrebbero reso automatico il riscatto del cartellino del Tucu dall’Inter, ma che come sappiamo non si sono verificate. E così, mentre veniva dimenticato dal pubblico italiano, che fino a ieri ne aveva perso quasi del tutto le tracce, l’argentino è diventato un brutto pensiero per i suoi tifosi. Una di quelle ansie che preferiresti dimenticare, tipo l'acconto delle tasse di novembre. In estate alla società sono arrivate suppliche di ogni genere perché ci si provasse a liberare di Correa:non un’impresa semplice, con 3.5 milioni di euro di stipendio netto a stagione. La sua presenza da quinto attaccante, escluso peraltro dalla lista UEFA, fosse diventata un problema da risolvere con urgenza. Correa non sembrava solo inutile, sembrava portare sfiga. E se la partita di Verona, invece, si rivelasse quella della svolta? Se il rapporto Correa-Inter dovesse avere un’incredibile inversione di rotta, proprio quando avevamo smesso di crederci? Se oggi fosse il giorno, insomma, di chiedere scusa al Tucu?
Troppo presto, lo sappiamo. Una partita comoda col Verona cosa dovrebbe dirci, se non che Correa è ancora vivo e lotta insieme a noi? Che può portare anche qualche buona notizia, ogni tanto?
Credere alle redenzioni però fa bene, meglio illudersi, cosa abbiamo da perdere. Sappiamo bene che con ogni probabilità quelli di ieri sono stati gli ennesimi, abbaglianti, isolati e per certi versi desolanti flash del suo talento. Destinati a cadere nello spreco, e quindi nel nulla. A fine stagione il contratto di Correa andrà in scadenza, e nonostante la bella prestazione di Verona è molto difficile immaginare un sequel della storia; fino a poche ore fa, anzi, l’impressione era che le parti avrebbero cercato una soluzione già a gennaio per accorciare l’agonia, provando a risparmiare qualcosa e liberando un ragazzo che, al di là di tutto, in estate ha compiuto trent’anni e aveva giocato solo 38 minuti fin qui in stagione.
La prestazione di Verona, insomma, ha dato una rinfrescata ai motivi per cui nel 2021, quando Correa è sbarcato a Milano ed era più vicino ai 30 anni d’età che ai 25, per lui si usassero ancora espressioni come “potenziale”, “maturazione”, “futuro”. Quando l'Inter andava male e Inzaghi era messo in discussione si citava Correa come esempio della sua inadeguatezza. Era il suo pupillo alla Lazio e lo aveva voluto all'Inter; aveva costretto la società a spendere un bel po' di soldi.
Inzaghi ieri ha dimostrato - prima con i fatti, poi con le parole dolci in conferenza stampa - di non essere soltanto il suo primo estimatore, ma di ambire anche al titolo di ultimo passeggero a scendere dal carro.
Nelle prossime settimane, come giusto dopo la prova di ieri, ci saranno altre opportunità per El Tucu. Nuove occasioni in cui dimostrarci che ci sbagliamo, e che a Verona non abbiamo visto il suo ultimo squillo in nerazzurro, o magari il penultimo, prima di tornare un’altra volta l’ombra di sé stesso.
Le qualità tecniche, quella grazia leggera con cui "Il Tucu" porta palla, possono sempre illuderci, anche oggi che Correa ha quasi 30 anni e noi non ci avevamo fatto caso, e ci sentiamo un po' più vecchi.