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Jon Jones si è preso i pesi massimi
06 mar 2023
UFC 285 entrerà nella storia per il ritorno della leggenda di Jones ma anche per la vittoria di Alexa Grasso.
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10 min
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Foto di Louis Grasse / Imago
(copertina) Foto di Louis Grasse / Imago
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Prima di Jon Jones, solo Conor McGregor era riuscito a far uscire brevemente Bruce Buffer dalla sua parte durante la presentazione di un match. Quando McGregor salì nell’ottagono per affrontare Donald Cerrone - il 19 gennaio 2020 - era già una leggenda e lo storico presentatore della UFC lo aveva introdotto non come al solito, parlando semplicemente di sfidante, ma chiamandolo “The one, the only”. Nella notte di sabato a UFC 285, quando è stato il momento di presentare al pubblico il ritorno in scena di Jon Jones, già campione dei massimi-leggeri e imbattuto, Bruce Buffer ha scomodato la stessa formula, modificandola appena: “The one and only Jon “Bones” Jones”. Solo per loro due Bruce Buffer ha fatto un’eccezione alla regola, che prevede presentazioni più o meno standard per tutti.

Se Conor McGregor ha fatto molto per questo sport dal punto di vista mediatico, in termini di risultati è difficile competere con l’icona di Jon Jones. Il suo percorso sportivo è macchiato solo dal doping e da una sconfitta per squalifica, oltre che dalle varie uscite di strada nella vita quotidiana, ma quello che è successo sabato, dopo tre anni di assenza dall’ottagono, conferma la sua grandezza sportiva. A differenza del rientro precedente nei massimi-leggeri contro Ovince St. Preux (aprile 2016, dopo un anno e mezzo di stop), in questo caso Jones è apparso senza neanche l’ombra della ruggine, eliminata in partenza insieme al nastro che gli teneva saldo il piede - al quale aveva subito un infortunio nel match contro Chael Sonnen di quasi esattamente dieci anni fa - che i medici dell’UFC gli hanno fatto tagliare poco prima dell’incontro.

Bruce Buffer l’ha chiamato “The One and Only” perché, in effetti, di combattenti come Jon Jones ne nasce davvero uno ogni cento anni. Cyril Gane aveva detto che avrebbe contato sulla sua esperienza, ma nella presentazione grafica dei fighter il record di Jones (26-1, 1 NC) faceva impressione accanto al suo (11-1). Gane parlava di esperienza nella categoria ed è vero che Jones ci ha messo tre anni a costruire il fisico da peso massimo, non senza venir criticato nei giorni precedenti all’incontro (da chi forse immaginava un fisico più definito, dimenticando che in fin dei conti Jones ha anche 34 anni) ma si sarebbe dovuto dare un po’ più di credito a chi ha affrontato e demolito praticamente due generazioni di fighter. E che si è trovato a combattere la maggior parte delle volte in match titolati.

Jon Jones l’uomo ci ha abituato a vederlo combattere i suoi demoni, a vederlo cadere e ricadere in tentazione, a rialzarsi e cadere poi ancora più bruscamente; Jon Jones ilfighter, però, ha stabilito una dittatura feroce, un dominio senza se e senza ma, che ha trovato pochissime volte qualcuno al suo livello. Si possono ricordare le battaglie contro Gustafsson, la prima volta, e quella contro Dominica Reyes, più in equilibrio delle altre, ma alla fine il braccio alzato al cielo era sempre quello di Jones.

Ci ha abituato a rientri traumatici e soporiferi (come quello contro OSP citato sopra) ma proprio quando i dubbi si sono fatti più forti ci ha abituato ad aspettare, a credere nelle sue capacità proprio quando sembravano arrivate al suo limite. Che sia la marcia imperiale a suonare, quindi, chi lo vede sempre e comunque come il più grosso villain delle MMA può mettere tutti gli asterischi che vuole accanto al suo nome, quando si parla di “più grande”, chi vuole può contestargli le sue scelte di vita e gli errori indiscutibili, ma ogni giudizio deve convergere verso l’unanimità (mai assoluta, ci mancherebbe) quando si parla delle sue qualità e delle sue prestazioni all’interno dell’ottagono.

Il match con Cyril Gane, veloce, troppo veloce, di quelli che a conti fatti rischiano di deludere i fan occasionali a cui l’UFC stessa aveva creato hype, ha mostrato un nuovo Jon Jones. Che non è quello scazzato, quello che vince per il rotto della cuffia match che sembrano tirati, nei quali è comunque in controllo. In fin dei conti era stato quello l’ultimo Jon Jones che avevamo visto. Tre anni fa. Qualsiasi fighter dopo tre anni d’assenza rischia di essere l’ombra di se stesso e, come accennato, nel 2016, dopo un’assenza più breve, lo stesso Jones era parso l’ombra del fighter che era stato. Forse per questo in molti pensavano, e dichiaravano, che il miglior Jones era passato. Ma a UFC 285 Jones è tornato dominante, un dominio durato poco più di due minuti, contro uno dei fighter più pericolosi del roster.

Ciryl Gane era già stato sconfitto per decisione unanime da Francis Ngannou, che poi però aveva chiesto garanzie e cifre che UFC non gli ha accordato, spingendolo a lasciare la promotion. Il rientro di Jones ha salvato l’UFC da un vuoto nei massimi che sarebbe potuto risultare fatale, obbligando la promotion a promuovere a campione un numero 2, ma anche così resta il grande what if relativo al confronto tra il camerunese e l’americano. Che succederebbe se questa versione di Jones dominante, feroce, letale come mai si era vista prima, incontrasse Francis Ngannou? Non lo sapremo mai.

Sappiamo però che Jon Jones non è tornato “tanto per”. La sensazione era che a spingerlo verso questo incontro fosse stata soprattutto la sua voglia di dimostrare di essere il migliore, di superare la prova alla quale lo abbiamo atteso per tre anni.

Una battaglia, quella tra Jones e Gane, durata poco e iniziata in modo strano. Ad un leg kick di Jones, Gane ha risposto con un altro leg kick che si è infranto sulla conchiglia di Jones, costringendo al momentaneo stop dell’arbitro Marc Goddard. Dopo poco, i due sono tornati alla collisione e alla leggiadria di Cyril Gane ha risposto un solido forcing in avanzamento di Jon Jones, guidato dai suoi diretti, sia destri che sinistri, e dal caratteristico taglio delle distanze in diagonale, per costringere il fighter francese vicino alla parete.

Gane è un fighter estremamente mobile e all'inizio si è guardato bene dall’essere portato a parete, ma a un diretto un po’ telefonato col quale ha cercato il volto dello statunitense, Jones ha risposto schivando col cambio di livello ed entrando in clinch quasi direttamente sulla schiena di Gane. Da lì, è stato tutto in discesa. A seguito del takedown con cintura al corpo Jones ha messo un gancio, poi ha corretto la presa per ottenere l’atterramento con l’aiuto della parete e ha messo in atto una ghigliottina. Con la mano destra si è portato sotto il mento dell’avversario, mentre con il braccio sinistro ha cinturato la testa di Gane.

Neanche i commentatori sono stati in grado di comprendere la pericolosità della ghigliottina e sono rimasti visibilmente sorpresi quando Gane si è arreso, ma la pressione di Jones e la perfetta costruzione tecnica hanno richiesto appena un attimo dopo la correzione della presa per ottenere la resa da parte del suo avversario. Sorpreso forse più dei commentatori, Cyril Gane è rimasto seduto a terra, mentre Jones, con l’aria di chi sapeva che sarebbe finita in quel modo, ha regalato un balletto al pubblico appena appena cringe.

È stato uno dei ritorni più scioccanti nella storia della UFC, forse il più scioccante in assoluto, dopo un periodo prolungato di inattività, nell’ennesimo match titolato della sua carriera. Jon Jones ha vinto 15 dei match titolati affrontati in carriera (a cui va aggiunto un No Contest relativo al match con Daniel Cormier del 2017, vinto per TKO prima di venir trovato positivo ad uno steroide anabolizzante) e mentre noi ragioniamo se meriti o meno l’epiteto di “più grande” ha fatto suo anche il titolo dei pesi massimi, diventando così campione di due categorie (non in contemporanea, ma è comunque uno dei pochi ad esserci riuscito).

La nuova versione di Jones, a dispetto dell’ironia (ingiustificata) suscitata dalla mancanza di muscolatura evidente, in favore di un fisico più massiccio in generale, ha fatto a dir poco paura. E ha dominato uno dei combattenti più pericolosi del roster, un ex campione ad interim che sulle cinque riprese ha fatto soffrire persino Francis Ngannou. Per questo, oggi, la UFC lo celebra come il più grande di sempre: una necessità un po’ mediatica ed un po’ sociale, per ricoprire quel ruolo che proprio Ngannou aveva smesso di vestire per ragioni, diciamo così, burocratiche (di certo non sportive).

Nell’intervista post-match Jon Jones si è mostrato felicissimo, ha ringraziato i suoi coach, il suo team, la sua compagna, e ha fatto gli auguri di buon compleanno a sua figlia, ma si è concesso anche un momento tipicamente “suo”, sfidando Stipe Miocic, rivolgendosi a lui come al “più grande peso massimo della Storia”. Da parte sua, Miocic non aveva fatto mistero di voler combattere a luglio e il match contro Jones sembra venire incontro ai desideri di entrambi, oltre che a quelli dei vertici UFC. Sarà, eventualmente, anche il modo per Jon Jones di cementare il suo nuovo ruolo di dominatore divisione di peso più alta.

Alexa Grasso ha scioccato il mondo

Ma a UFC 285 è successa un’altra cosa eccezionale, se non del tutto incredibile. Perché se avevamo visto Taila Santos tracciare la strada per battere la campionessa dei pesi mosca femminili, la dominatrice incontrastata Valentina Shevchenko, in pochi credevano che Alexa Grasso potesse migliorare la prestazione della brasiliana.

La sconfitta, per Shevchenko, è la conferma del fatto che dopo anni di dominio, e ben sette difese titolate consecutive, è arrivato il momento di affrontare una nuova leva di avversarie di altissimo livello. Alexa Grasso già dalle prime battute si è mostrata guardinga e aggressiva, ha lasciato da parte i suoi soliti calci e la lotta a terra per concentrarsi su un pugilato fatto di combinazioni a tre colpi, con gancio destro in uscita, cambiando spesso la guardia e puntando su un footwork verticale, pronta a subire il primo attacco della sua avversaria, pur di chiudere delle poderose combinazioni di braccia (come vuole la scuola messicana alla quale appartiene).

Shevchenko, conosciuta per la sua durezza psicofisica e per la facilità con la quale annichiliva le sue avversarie, seppur con una guardia statica, puntando sul rientro in counterstriking, sui colpi in girata e sugli incroci, è rimasta piuttosto sorpresa quando già nel primo round una gragnola di tre colpi le si è infranta sul volto, facendole momentaneamente perdere la bussola. Shevchenko si è ricomposta, ma a quel punto era chiaro che lo stile di Grasso le avrebbe causato dei problemi.

Nella seconda ripresa Shevchenko ha aggiustato il tiro e ha cominciato a utilizzare le sue doti nel wrestling offensivo. Non sono stati pochi i takedown che l’hanno salvata da momenti d’impaccio nello stand-up, nei quali pareva non trovare risposta alle continue offensive a guardia alternata della fighter messicana.

Ad ogni modo, dopo due round le due combattenti erano sostanzialmente in parità. Nel terzo, però, le offensive di Shevchenko dallo stand-up si sono fatte più rare, mentre quelle di Grasso sono aumentate. A metà ripresa Shevchenko ha ritrovato l’atterramento, ma poco dopo l’arbitro Jason Herzog (in un richiamo francamente senza motivo perché le due stavano effettivamente lavorando e mantenendo viva l’azione) ha fatto rimettere in piedi le fighter. Un altro errore di Herzog è arrivato poco dopo: il mancato richiamo ai calci di Grasso in fase di scramble, che hanno colpito Shevchenko al volto quando quest’ultima era a terra.

La quarta ripresa ha messo il punto esclamativo al match: nonostante l’impossibilità di Grasso di sventare la maggior parte dei tentativi di atterramento da parte della campionessa, la messicana ha provato a sorprenderla con qualcuno dei suoi colpi migliori. E su uno spinning kick Grasso è riuscita a prenderle la schiena, portandola immediatamente a terra cercando la rear-naked choke, arrivata poco dopo, tra lo stupore generale dell’arena, totalmente sotto shock.

Come si diceva sopra, il regno di Valentina Shevchenko non era mai stato così tanto messo in discussione come negli ultimi due match. Adesso la domanda è se l’ex campionessa saprà operare gli aggiustamenti necessari per riprendersi la cintura. Grasso, nel corso dell’intervista post-match, ha detto di essersi allenata come non mai per questo match, in particolare proprio per prendere la schiena qualora fosse arrivato uno dei tipici tentativi di spinning kick di Shevchenko.

Shevchenko ha detto di essere pronta per un immediato rematch, ma in questi casi, quando si chiede di avere l’ultima possibilità di redenzione, sarebbe meglio riflettere e prepararsi al meglio, proprio come hanno fatto le sue avversarie durante il suo dominio. Nel frattempo, dietro le quinte, anche Taila Santos sta preparando il proprio rientro: la divisione dei pesi mosca femminili non è mai stata così ricca di talenti ed interessante. “Fa parte del gioco, sono cose che possono succedere”, ha detto la Shevchenko chiudendo con classe, almeno momentaneamente, uno dei regni più dominanti nella storia delle divisioni femminili.

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