Claus Vingegaard è sulle strade del Tour con sua moglie e il loro camper. Stanno aspettando il figlio Jonas, maglia gialla, sulle rampe del Grand Colombier. È il giorno della festa nazionale francese, il 14 luglio 2023. Quando il giornalista americano della NBC gli chiede di provare a spiegare cos'è lo Janteloven non batte ciglio, come se fosse qualcosa di scontato. Lo Janteloven è uno schema comportamentale che serve a riassumere l’attitudine filosofica della popolazione danese e norvegese, e più in generale scandinava. Proviene dal romanzo di Aksel Sandemose En flyktning krysser sitt spor (Un fuggitivo incrocia le sue tracce). «Non devi credere di essere qualcosa se non sei qualcosa», risponde Claus Vingegaard. Il giornalista gli chiede se può spiegare meglio, lui aggiunge: «Non devi credere di essere meglio degli altri». Magari è nulla più di uno stereotipo, magari si potrebbero utilizzare queste poche parole per capire i silenzi di Jonas Vingegaard, il suo apparire introverso e timido.
Jonas Vingegaard ha vinto il suo secondo Tour de France consecutivo. Una prestazione sportiva fenomenale, anche considerato il fatto che abbia trovato per la sua strada Tadej Pogačar, il talento più puro che il ciclismo abbia saputo esprimere negli ultimi anni. Qualcosa che era difficile immaginare nei suoi primi anni in sella ad una bicicletta.
Il primo approccio al ciclismo di Vingegaard è al Giro di Danimarca, che passa vicino alla casa della sua famiglia. Vingegaard va alla partenza di tappa insieme ai suoi genitori e il club di ciclismo locale ha uno stand con una bici sui rulli. In conferenza stampa dopo la vittoria del Tour de France 2022, il ciclista danese ha ricordato che gli dissero di essere molto portato, anche se: «Penso che l’abbiano detto a tutti i bambini per attirarli a praticare».
Del talento di Vingegaard abbiamo parlato anche nel nostro podcast sull'attualità del ciclismo, Fuori Tempo Massimo.
Come rivelato da un interessante articolo della rivista digitale Escape Collective, i primi anni del Vingegaard ciclista furono un vero e proprio fiasco. C’era però qualcosa in quel ragazzino che negli altri mancava. La sua tenacia era impareggiabile e nonostante ogni allenamento fosse peggiore del precedente, puntualmente arrivava all’appuntamento pronto per ricominciare. Questo atteggiamento non è presente nelle leggi di Jante, ma ho avuto la fortuna di vivere in Jutland durante il periodo dell’università e credo faccia a sua volta parte del DNA della popolazione locale. L’ambiente dello Jutland è ostile in particolare per il vento, serve tenacia per poter affrontare ogni giorno le sue raffiche senza poterci fare niente.
“Pesci e montagne, il prossimo scalatore danese arriva da Thy”. Così titola un servizio della radiotelevisione di stato danese DR che risale al 24 dicembre 2017. Jonas Vingegaard ha all’epoca 21 anni e corre in bicicletta per la squadra Continental danese ColoQuick-Cult da un anno. Sogna di approdare al ciclismo professionistico e di poter vincere sulle grandi montagne europee. Nel frattempo si allena di pomeriggio tra le pianure sconfinate e ventose dello Jutland del Nord, dopo aver lavorato in un’asta all’ingrosso di pesce al mattino.
Questo è un dettaglio della sua biografia che viene descritto spesso con una certa dose di esotismo. Ma in realtà non è inusuale lavorare in questo tipo di industria per i ragazzi di quelle parti. Due i motivi: la paga è molto buona e il tempo libero non manca. Chi non ha legami sentimentali o lavorativi, quindi, spesso si imbarca sulle grandi navi che solcano il Mare del Nord dove si sta via anche diversi mesi.
Come rivelato da lui stesso in conferenza stampa al Tour de France l’anno scorso e riportato da Eurosport, a dargli il contatto dell’asta ittica fu il suo amico e, oggi collega, Michael Valgren. I due vengono dalla stessa regione nord occidentale della penisola della Jutland e sono amici di famiglia. Un dettaglio non esce però dalla bocca di Vingegaard, ma dai suoi direttori sportivi in ColoQuick-Cult, Christian Andersen (oggi in UnoX) e Brian Petersen. «Gli serviva un piano B. E gli serviva un’organizzazione più rigida. Lavorare gli ha permesso di avere uno schema di impiego del tempo e un ritmo quotidiano costante», hanno dichiarato a L’Équipe l’anno scorso appena dopo la cronometro alla penultima tappa di Rocamadour.
Vingegaard corre con loro dalla primavera del 2016 e dimostra un talento enorme ma anche numerose fragilità. I dati in allenamento sono eccellenti ma i risultati non arrivano. Nel 2017 una caduta al Tour des Fjords in Norvegia rischia di mettere fine alla sua carriera. La rottura del femore lo tiene fermo 8 mesi circa, sia dalla bici che dal lavoro e al ritorno ci tiene a tornare prima al lavoro che alla bici. Perché? Dice di apprezzarne la routine.
A fine 2017, nel servizio di DR, Vingegaard parla delle sue ambizioni per l’anno successivo. È sorridente e sereno, dice di voler vincere una medaglia ai Mondiali del 2018 in Austria, sia perché lo aiuterebbe nel suo sogno di trovare una squadra professionistica per l’anno successivo ma anche perché si addice alle sue caratteristiche: «Mi piace andare in salita. È quello in cui sono bravo. È ciò a cui tengo di più, a cui mi sono allenato di più». Strano per un ciclista proveniente da una regione della Danimarca la cui massima altitudine è di 173 metri.
«Ci siamo accorti delle sue abilità di scalatore nell’estate del 2009, quando eravamo in vacanza in Croazia», dice suo padre Claus in un reportage del 2022 de L’Équipe che ha seguito i genitori in un campeggio di Bourg d’Oisans (sotto l’Alpe D’Huez) durante lo scorso Tour de France. «L’anno dopo siamo andati in Svizzera ma Jonas era tutto il giorno davanti al Tour de France e ci ha chiesto di andare a scalare le stesse montagne di Alberto Contador. Così dall’anno successivo fino al 2015 siamo venuti a Bourg d’Oisans e siamo diventati cacciatori di montagne», aggiunge il padre.
Nel 2015, il giovedì successivo al passaggio del Tour de France sull’Alpe, Jonas si iscrive alla cronoscalata della salita, organizzata tutte le settimane d’estate dalla gente del luogo. Il suo tempo segna un buon 40’52”, l’ottava miglior prestazione di sempre da parte di un amatore. «Vedevamo che aveva qualcosa di particolare. Ma soprattutto quando rientrava a casa dopo aver fatto le salite era felice. Non l’abbiamo mai spinto, l’abbiamo sempre accompagnato», dicono i genitori a L’Équipe.
L’anno successivo c’è il passaggio al team ColoQuick e come membro della squadra danese U23 segue test clinici che confermano quel qualcosa che i genitori vedevano in lui. Lars Johansen è un dottore specializzato in test agonistici assunto dalla federazione danese, che ha seguito i test VO2 Max di Vingegaard: «Non posso rivelare i dati di Jonas ma erano 15% più elevati degli altri. Meno del 5% dei ciclisti del mondo ha questi risultati».
Dati clinici fuori categoria, una passione spropositata per il ciclismo e le montagne, e una grande costanza in allenamento. Eppure i risultati non arrivano. Karina Vingegaard, la mamma di Jonas, ne parla nel reportage dicendo che Jonas fino all’età di 16 anni aveva problemi di gestione dell’ansia. Ogni volta che c’è una gara il suo fisico sembra mal sopportare lo stress e quasi sempre gli induce il vomito. I genitori gli chiedono se davvero pensi che sia la sua strada e lui tutte le volte gli risponde che l’amore per la bici è troppo forte. La situazione migliora grazie all’aiuto di un mental coach e sembra non dargli più grossi problemi ma Christian Andersen, suo tecnico in ColoQuick, ricorda i giorni del Mondiale in Austria nel 2018. «Arrivava da favorito per la prova a cronometro e con buone chance per quella in linea ma prima di partire era completamente paralizzato. Tremava». I risultati ancora una volta sono da dimenticare.
Breve salto temporale in avanti di quattro anni. Jonas Vingegaard è al Tour de France, sta lottando, lo vincerà. Dopo ogni tappa è al telefono. Immediatamente. È ancora sudato dallo sforzo, non è ancora salito sui rulli per il defaticamento, spesso non ha ancora salutato i suoi compagni di squadra o congratulato i suoi avversari ma è sempre costantemente al telefono. Dall’altro capo c’è sua moglie Trine: «Non penso che sarei riuscito a fare tutte le cose che ho fatto fino ad oggi senza di lei», dice Jonas Vingegaard in conferenza stampa.
Foto di Pauline Ballet /ASO
Trine Marie Hansen nel 2018 è la Marketing Manager dell’azienda casearia danese ColoQuick, sponsor principale della squadra dove corre Jonas Vingegaard all’epoca. I due si incontrano nei vari meeting della squadra e lei è impressionata dalla sua umiltà. Dal suo Janteloven direbbe qualcuno. Oggi Trine Marie Hansen è la moglie di Jonas Vingegaard ma anche, in parte, la sua manager e la sua mental coach. Un percorso di crescita personale che hanno gestito insieme. Prima da fidanzati, poi da sposi e infine anche da partner a livello professionale. Non è stato semplice.
I direttori tecnici del team Jumbo Visma, impressionati dai suoi test clinici e dai suoi dati sulla piattaforma Strava, su consiglio di Christian Andersen, decidono di credere nel giovane scalatore danese nel 2019 e gli danno un contratto. È lo stesso Vingegaard a rivelare in un’intervista a Vèlo Magazine prima del Tour de France 2022 che la squadra olandese si interessò a lui nel 2018, dopo aver visto i suoi tempi sul Coll de Rates, una delle salite spagnole che molti ciclisti professionisti affrontano durante il periodo senza gare e dove Jonas Vinegaard aveva registrato il miglior tempo. Un viaggio nei Paesi Bassi per ulteriori test fisici li ha convinti definitivamente.
Una prima possibilità che Jonas ripaga con la sua solita dedizione ai dettagli negli allenamenti e che ha il suo culmine nel mese di luglio durante il Tour de Pologne. Jonas Vingegaard è in testa alla classifica generale alla vigilia dell’ultima tappa. Il giorno successivo terminerà quella gara all’81º posto in Classifica Generale.
«Quando al mattino ho visto la chiamata di Jonas, avevo capito che ci fosse qualcosa che non andava», rivela Christian Andersen a Dominique Issartel de L’Équipe. «Gli ho parlato e mi ha confidato di non aver dormito tutta la notte, di non essere riuscito a fare colazione. Sapevo che in quella tappa sarebbe successo di nuovo».
Fin dal suo arrivo in Jumbo la squadra gli aveva messo a disposizione una struttura di supporto psicologico a disposizione di tutti gli atleti della squadra. Con Vingegaard però sembrava non funzionare. Trine Marie Hansen con la sua esperienza da manager di persone in azienda, lo vedeva ma non voleva mettersi in mezzo al lavoro del compagno.
Dopo il Tour de Pologne la svolta. I due iniziano a discutere a lungo dello stress e della sensazione di tensione che precede un grande avvenimento. Lei gli portava i suoi esempi aziendali e lui ascoltava. Iniziano a prendere alcuni accorgimenti pratici, tra cui quello mai banale di parlare. Jonas era solito svegliarsi all’alba nei giorni importanti. Svegliarsi all’alba e iniziare a torturarsi mentalmente su tutto ciò che potesse andare male. Lei gli propone soluzioni semplici. Alzarsi, chiamarsi e parlare. Mettere la sua musica preferita a tutto volume e ballare. Andare nelle camere dei suoi compagni di squadra, dei suoi direttori sportivi, dei suoi meccanici e anche svegliarli se necessario. Sempre per parlare con loro. Non tanto della corsa, o non solo della corsa, ma parlare per rendere la testa meno pesante.
Il clic secondo Trine arriva nel 2020. Nei giorni in cui il suo compagno di squadra Primoz Roglič perde il Tour de France, Jonas Vingegaard è in ospedale a supportare Trine nel parto della loro primogenita Frida. È dall’ospedale che Vingegaard vede la sconfitta della Planche des Belles Filles.
L’anno successivo la stagione inizia nel migliore dei modi. Vittoria di tappa negli Emirati Arabi sul Jebel Jais, vittoria in Italia alla Settimana Coppi e Bartali. La squadra lo inserisce nel calendario di Primoz Roglič che, dicono i suoi genitori, si è comportato tutto l’anno come un fratello maggiore. Nell’Itzulia, il giro dei Paesi Baschi, sta bene e fa ancora meglio. La squadra decide di inserirlo nella selezione per il Tour de France dove si aspettano che possa essere l’ultima spalla di Roglič in montagna ma anche un papabile leader per il futuro.
Il direttore sportivo Merijn Zeeman spiega quei giorni a L’Équipe che per non rompere il sottile equilibrio raggiunto, nei giorni successivi al ritiro di Roglič in quel Tour, la squadra aveva deciso che sarebbe stato Vingegaard il proprio capitano, ma quasi a sua insaputa. «Tutti i giorni nei briefing di tappa, davamo compiti a tutti ma mai a lui. Solo alla vigilia dell’ultima cronometro nella penultima tappa gli abbiamo detto che l’obiettivo era la sua seconda posizione in classifica».
Il Tour va bene, Vingegaard non cede e anzi l’ultima settimana riesce anche in più occasioni a insidiare Pogačar. Trine Marie Hansen svela che per quel Tour avevano messo in piedi un piano di supporto speciale. Andare al Tour de France con un telefono nuovo e con il numero cambiato per evitare di ricevere messaggi che non fossero della famiglia o della squadra. Una delle persone più assidue nel scrivergli fu Primoz Roglič. Dopo il ritiro, il ciclista sloveno fu invitato dalla squadra a scrivergli tutti i giorni per dargli consigli su come gestire la corsa. Cose piccole che in realtà non lo sono.
Vingegaard sembra un ciclista nuovo. Consapevole dei suoi mezzi ma ancora in difficoltà nell’esprimere la propria leadership. Nello scendere a patti con lo Janteloven, con il sapere di essere migliori degli altri. Sempre sua moglie Trine svela la seconda parte del loro programma, spingere Jonas nella vita personale e sportiva a non dire più “Come vuoi” ma esprimere i propri desideri. Nell’autunno i due comprano una nuova casa e Trine lo spinge a decorarla. Vingegaard si scopre appassionato di bricolage, prende le decisioni sull’arredamento. Passo dopo passo.
In copertina a tutto questo, a nasconderlo, noi vediamo le grandi azioni in bicicletta che segnano le prime fasi del 2022, la rampa di lancio di un futuro campione. A inizio stagione vince la Drôme Classic con un'azione straordinaria a 30 km dal traguardo. Tutti però si concentrano sul nuovo giovane talento della UAE Team Emirates: Juan Ayuso. Alla Tirreno-Adriatico fa bene ma arriva dietro Tadej Pogačar senza neanche dare l’impressione di poter lottare realmente. All’Itzulia fa bene ma leggermente peggio dell’anno prima e dopo una campagna delle Ardenne da dimenticare, sembra già diretto verso il dimenticatoio da cui è venuto.
Il Criterium du Dauphiné ribalta la situazione. È in forma. In alcuni tratti, sembra addirittura migliore del suo capitano Primoz Roglič che gli arriva davanti anche grazie al suo splendido lavoro.
Poi arriva il Tour, con tutto il carico emotivo e irrazionale che solo un grande giro sa portarsi dietro. Ancora di più partendo da casa, dalla Danimarca. Sul palco di presentazione delle squadre il giorno prima dell’inizio del Tour a Copenaghen, Jonas Vingegaard è il co-leader della squadra che ha come obiettivo di vincere il Tour de France. Ha il viso coperto da una mascherina FFP2 e gli occhi che inizialmente sorridono. Poi però, quando viene annunciato il suo nome dallo speaker e si alza il boato del pubblico, i suoi occhi si trasformano. Sono umidi e rossi e a stento contengono l’emozione mentre la folla incita a tutto volume il suo nome: VIN GE GOO VIN GE GOO! Il presentatore sul palco vorrebbe proseguire nella presentazione della squadra ma il pubblico sembra letteralmente impazzito. Quaranta secondi di delirio collettivo in cui parte anche il coro di Seven Nations Army come se il popolo presente quella sera nel parco divertimenti Tivoli a Copenaghen avesse per un attimo dimenticato Sandemose e le sue teorie collettiviste.
Salto in avanti. Primoz Roglič cade nella tappa del pavé. Una tappa difficile che la sua squadra aveva preparato da mesi partecipando anche al GP Denain, una gara che si svolgeva in parte sui tratti di pietre affrontati dal Tour de France. Eppure non va come previsto. Arrivano le Alpi e quando tutto sembra pendere verso la terza vittoria consecutiva di Tadej Pogačar arriva il cambio. Jonas Vingegaard, supportato in maniera straordinaria dalla sua squadra, aiutato da tattiche innovative e da due gambe perfette, si prende la vittoria di tappa e la Maglia Gialla. Non la lascerà più. La difende e addirittura allunga nuovamente sui Pirenei e si gode il meritato successo.
I diari del ritorno in patria sono degni dei ritorni vittoriosi in patria degli eserciti nei poemi omerici. Jet privati di stato, bagni di folla a Copenaghen, visite a tutte le principali cariche istituzionali pubbliche. Jonas Vingegaard è quasi in stato di shock: «Avrei voluto partecipare al Giro di Danimarca ma mi sono reso conto di avere bisogno di ancora riposo. Vincere il Tour de France è come una sorta di esplosione a livello mentale. È difficile parlare con i media e i fan tutti i giorni. Fa molto piacere ma è anche molto stancante».
Dopo un fine di stagione travagliato, dove impressionano più le gare mancate che quelle a cui partecipa (solo due gare disputate post Tour de France: Giro della Croazia e Giro di Lombardia) Vingegaard si presenta all’inizio della stagione 2023 con un animo diverso.
Sembra più disteso, più aperto. In bicicletta, poi, ancora più dominante. Non è solo più un demone del ritmo infernale in alta montagna, ma se la cava anche piuttosto bene nello scatto.
Il suo approccio alla stagione sembra esattamente voler tendere a questo. Non essere troppo distante dal suo principale rivale Tadej Pogačar nelle pendenze più ripide, nelle salite più corte. Dove migliorarsi senza grosse pressioni su questi terreni? Spagna.
L’inizio della stagione in Galizia alla O Gran Camiño sembra tutto quello di cui ha bisogno: un ambiente controllato, distante dai suoi rivali, senza troppe pressioni mediatiche e con salite da pendenze a doppia cifra. Il risultato è un successo e anche il suo approccio alla gara è molto più rilassato. In questa intervista ai microfoni del podcast A la Cola del Pelotonsi nota. Vingegaard è rilassato, ride. Gli viene chiesto se sente la sfida a distanza con Tadej Pogačar ma lui ridendo dichiara: «Non penso a lui, ma mi piace vincere le corse».
La Parigi Nizza è un passaggio obbligato ed è presa con la consapevolezza che non sarà il punto di arrivo della stagione ma solo un punto di partenza. L’attenzione mediatica è notevole. Complice anche il fatto che la squadra Uno X, composta di soli atleti norvegesi e danesi, è alla prima partecipazione, la stampa scandinava è numerosa e compatta. Il palcoscenico, insomma, è invitante. Vingegaard non si sottrae ma negli occhi non si vede la stessa leggerezza galiziana. Nella partenza della penultima e ultima tappa di Nizza ho la fortuna di vederlo da vicino in Zona Mista e pur ribadendo ogni giorno che è lì in preparazione del Tour de France in estate, il tempo dedicato ai giornalisti è ogni giorno di meno. Le domande si fanno sempre più pressanti.
Dopo la Costa Azzurra è tempo di cimentarsi nuovamente con salite ripide e tempo ballerino nel Nord della Spagna. Questa volta nei Paesi Baschi. La corsa a tappe più disputata da Jonas Vingegaard in questi anni. Complice anche l’affollamento di rivali nelle classiche primaverili, il ciclista danese trasforma l’Itzulia nel suo giardino. Domina e vince dove e quando vuole.
Infine un Delfinato corso da padrone. Con maestria e quel pizzico di sfrontatezza che solo i campioni in fiducia riescono a tirare fuori. Sul Col de la Croix de Fer gli sento dire per la prima volta di essere non ancora al top della forma. Mi ricordo di aver pensato che stesse bluffando. Poi dietro al podio sul Col de la Croix de Fer, durante un temporale tardo primaverile, lo vedo sorridere e fermarsi a salutare due bambini che gridavano il suo nome. Non me l’aspettavo da lui, cosa significa?
Il Jonas Vingegaard che abbiamo visto in questo Tour de France è forse la sua migliore versione di sempre. Sulla strada le sue abilità a cronometro e in salita sono migliorate. Anche la sua capacità di gestire i momenti complicati di corsa, anche da solo, è stata impareggiabile. Fuori dalla corsa si è divertito ogni giorno a passare dai microfoni di France TV a spiegare anche dettagli apparentemente futili come la pronuncia del suo cognome (Vingegoo).
Il Jonas Vingegaard di quest’anno sulle strade del Tour è sembrato più leggero, semplice, ancora in lotta con alcuni atteggiamenti che non gli vengono del tutto naturali, ma del tutto a suo agio a gestire il successo e la fama che ne consegue. L’anno scorso sua moglie aveva deciso di andare a trovarlo solo nei giorni conclusivi per non mettergli altre pressioni. Quest’anno con sua figlia l’ha accompagnato lungo tutti i giorni di gara. Un passo alla volta.