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Lo schiaffo di Jorge Martin
18 nov 2024
Il pilota spagnolo ha vinto il motomondiale coronando un'evoluzione sorprendente.
(articolo)
12 min
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IMAGO / Icon Sportswire
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Nella storia del mondiale di MotoGP del 2024 c’è un momento che potrebbe aver avuto un peso più grande di quello che si era immaginati all'inizio, e che risale al week-end del GP del Mugello, tra la fine dello scorso maggio e l’inizio di giugno, quando la Ducati ha deciso chi avrebbe affiancato Pecco Bagnaia nel team ufficiale per i prossimi due anni.

Una scelta attesa da tempo, il cui esito oscillava tra due piloti che in questa stagione hanno corso in team satelliti della casa di Borgo Panigale: da un lato Jorge Martín, vice-campione del mondo nel 2023 e in quel momento in testa alla classifica generale, in forza al Team Prima Pramac dal 2021; dall’altro Marc Márquez, l’otto volte campione del mondo appena arrivato in Ducati col Team Gresini Racing e subito forte in sella alla moto italiana.

Dopo uno strano tira e molla durato settimane, dal venerdì si era iniziata a diffondere sempre più insistentemente la voce di una decisione definitiva a favore di Marquez, confermata nei giorni immediatamente successivi al GP, con Martín costretto a ripiegare sull’Aprilia ufficiale per il suo futuro. Come in un effetto domino, di lì a poco è arrivata, dopo vent’anni di collaborazione, anche la separazione tra Ducati e il Team Pramac, con il successivo passaggio del team toscano ad una partnership con Yamaha.

Una situazione che ha scatenato tantissime polemiche, che ancora oggi scorrono carsiche sotto le vicende del Mondiale, ma che era difficile capire che conseguenze avrebbero potuto produrre sul prosieguo della stagione. Oggi forse possiamo capirci qualcosa di più. Da quel momento infatti il senso di rivalsa per questi accordi potrebbe aver galvanizzato sia il Team Pramac che Martín, quest'ultimo alla fine campione del mondo 2024, il primo nell’era MotoGP a conquistare il titolo in un team indipendente (prima di lui ci era riuscito Valentino Rossi nel 2001, su una Honda Nastro Azzurro, quando la classe regina era ancora la 500). Un Mondiale incredibile, che giunge al termine dopo un duello storico, fiero e leale contro Francesco Bagnaia, a cui non è bastato lo sweep nell’ultimo Gran Premio stagionale a Barcelona per compiere la rimonta sul rivale spagnolo.

I MERITI DI MARTIN

Il testa a testa tra Martín e Bagnaia ha accompagnato tutta la stagione, e ieri ha chiuso (sul pareggio, quantomeno per ora) un biennio in cui i due sono stati dominatori incontrastati della disciplina. Sarebbe stato interessante poter assistere ad una “bella”, con "Pecco" e Jorge sulla stessa motocicletta anche la prossima stagione. Non sarà così e la competitività di Martín sarà tutta da verificare: l’Aprilia in questa stagione ha mostrato alti e bassi lungo tutto il campionato, facendosi apprezzare soprattutto sul giro secco ma meno in gara: per Martín il bolide di Noale sarà prima di tutto un enigma da risolvere.

Rispetto a un mese fa, quando ho scritto del loro duello, il distacco in classifica tra i due è rimasto lo stesso: 10 erano le lunghezze di vantaggio del pilota spagnolo a 4 appuntamenti dal termine, 10 sono i punti di scarto alla chiusura dei battenti della stagione motociclistica. Negli ultimi GP i due fuoriclasse in Ducati si sono equivalsi, facendo emergere ancora una volta il tema ricorrente della stagione: Martin ha portato a casa 8 podi su 8 tra sprint e gare lunghe, con 2 vittorie (entrambe in sprint race), 4 secondi posti e 2 piazze d’onore; nello stesso lasso di tempo, Bagnaia ha accumulato 6 podi, salendo sul gradino più alto per 4 volte, di cui 3 vittorie in gare lunghe (sono diventate 11 a fine stagione), pagando però il quarto posto nella sprint di Philipp Island e soprattutto la caduta in quella di Sepang, avvenuta mentre era terzo alle spalle di Martín e Marquez. La scivolata sul circuito malese ha rappresentato l’ottavo “zero” in stagione per Bagnaia, che da questo punto di vista è stato particolarmente sfortunato. Basti pensare che Bagnaia è stato il terzo pilota in assoluto in MotoGP per DNF (did not finish), alle spalle di due piloti di bassa classifica come Joan Mir e Augusto Fernandez e al pari di Johann Zarco (alle prese con una Honda in caduta libera) e Marco Bezzecchi (che ha avuto una stagione complicatissima con la GP23).

Una caduta, quella di Sepang, che per lo meno è stata utile a sfatare il mito che Bagnaia abbia "tirato troppo". Al contrario, il motociclista di Torino ha spiegato come quell’errore sia avvenuto per aver approcciato troppo piano curva 9, trovando una buca che l’ha portato a perdere l’anteriore e tanti punti. Al termine della gara finale a Barcelona, a freddo, Bagnaia ha spiegato come l’errore di cui si è più pentito è quello della sprint race di Silverstone, una caduta avvenuta mentre era terzo, quella sì, a detta sua, dovuta ad un’esagerazione per recuperare sui primi. Tante cadute per Bagnaia, troppe, in particolare nelle sprint race, più che mai tallone d’Achille per lui: nonostante lo stesso numero di vittorie di Martin (7), Bagnaia ha ottenuto 43 punti meno del rivale nelle “garette” del sabato. Una voragine dovuta anche ad una strategia diversa attuata da Bagnaia, che storicamente ha bisogno di più sessioni in sella alla moto per trovare il giusto feeling, patendo la mancanza di un turno di prove libere (sostituito, appunto, dalla sprint race a partire dalla stagione 2023). Per questa ragione, Bagnaia deve quindi rimpiazzare il suddetto turno con la sprint, portando spesso la moto al limite. Una strategia all or nothing che l’ha portato a vincere 7 sprint, ma anche a cadere 5 volte il sabato.

Ha vinto la costanza di Martín, dunque, e se un viaggiatore del tempo facesse leggere questa frase ad un appassionato a novembre 2023 questi sarebbe a dir poco sorpreso. L’evoluzione di "Martinator" nel 2024 è a dir poco imprevedibile: il pilota impulsivo e a tratti confusionario degli scorsi anni è diventato razionale, intelligente e furbo nel raccogliere sempre il massimo da ogni gara. Martín è così diventato “specialista” di secondi posti: tra sprint e gare lunghe ne ha raccolti un totale di 16, a fronte delle 10 vittorie (3 gare più 7 sprint), contro i 18 primi posti (11 gare più 7 sprint) e i 2 secondi posti complessivi di Bagnaia. Nel processo, però, Martín non ha rinunciato alla sua identità profonda, rimanendo il pilota esplosivo e coraggioso che abbiamo imparato a conoscere sin dall’arrivo in MotoGP. Un chiaro esempio è il duello deflagrato nei primi giri della gara lunga di Sepang contro Bagnaia, probabilmente l’istantanea più esaltante della stagione appena conclusa, con una sequela impressionante di sorpassi e controsorpassi tra i due protagonisti (addirittura arrivata in doppia cifra) che hanno tenuto tutti a bocca aperta. Una battaglia che ha visto prevalere Bagnaia, ma che ha mostrato come Martín non volesse mai indietreggiare di un centimetro, provando anzi quanto più possibile a minare le certezze nell’amico-rivale con il suo stile di guida così peculiare. Un Martín sempre più sicuro di sé, insomma, e che, con il suo carattere genuino ma ruspante anche giù dalla moto, ha voluto dare uno schiaffo morale alla Ducati, che lo ha scartato per la seconda volta in tre anni (lo fece già nel 2022, quando gli fu preferito Enea Bastianini per il biennio 2023-2024).

LA VITTORIA DELLA SQUADRA

Se per Martin questo Mondiale vale la consacrazione, per la sua squadra è un titolo storico. Il Team Prima Pramac ha ribaltato pregiudizi e bias per il secondo anno consecutivo, portando una squadra privata a vette mai viste prima. Mentre nel 2023 il team viola si è aggiudicata il campionato a squadre, quest’anno è arrivato il titolo piloti: in entrambi i casi, è stata la prima volta per un team satellite (o indipendente che dir si voglia). Risultati che rappresentano il culmine di un percorso straordinario per Paolo Campinoti, fondatore e proprietario del team, nonché imprenditore nel campo energetico con Pramac: arrivato nel paddock nel 2002, ha iniziato la partnership con Ducati nel 2005, fino a diventarne partner sempre più stretto e affidabile a tal punto da condividere la fornitura di moto factory, pur non facendo parte dello stesso box (rimanendo dunque le differenze di staff e gruppo alle spalle). Il Team Pramac si inserisce alla perfezione nel solco della tradizione delle piccole realtà italiane artigiane che, anche nello sport, riescono a raggiungere risultati inaspettati grazie a un know-how encomiabile e a una coesione unica.

«Bagnaia è in un team ufficiale, è in un ambiente ideale per vincere», aveva detto Jorge Martin, nella settimana precedente al GP di Barcelona «Io ho un team di 12 persone che lotta da solo contro il mondo, se penso ai risultati che abbiamo raggiunto non posso chiedere di più: il mio successo è merito loro, di tutta la gente attorno a me. Voglio vincere il titolo per loro». Dichiarazioni a cui hanno fatto eco quelle di Campinoti, rilasciate a Sky durante i festeggiamenti per il titolo, che riprendono l’episodio del 2022 menzionato in precedenza: «Quando Ducati ha preferito Bastianini a Martin, Jorge mi ha chiamato e mi ha detto: "Capo, faremo la storia". [Con Jorge] sono stati quattro anni bellissimi». A ulteriore riprova dell’eccellente lavoro di Pramac, va sottolineato come quest’anno Martin abbia sempre trovato il giusto setup per il week-end, senza mai incappare né in errori tecnici, né tantomeno in sbagli nella scelta di gomme e ogni altra strategia.

In questo fattore, nell’impresa di Martin, ha un ruolo fondamentale Gino Borsoi, team manager di Pramac dal 2023, anno in cui Martín ha compiuto il definitivo salto di qualità in MotoGP. Dopo una lunga gavetta tra 125, 250, Moto3 e Moto2 con il Team Aspar, durante la quale Borsoi ha vinto da dirigente una lunga serie di titoli mondiali e svezzato un gran numero di giovani promesse poi diventate grandi campioni, il dirigente veneto (alle spalle una buona carriera in 125 con Aprilia, oggi considerato da molti il migliore nel suo ruolo) ha raggiunto l’apice, e l’ha fatto per di più con uno dei piloti da lui lanciati: Borsoi, infatti, è stato il primo team manager di Martín in Moto3, ai tempi della Mahindra, dove il suo compagno di squadra era – ironia della sorte – Pecco Bagnaia. La chiusura di un cerchio decennale per questi tre personaggi, cresciuti assieme fino ad arrivare ai vertici del Motomondiale.

IL TALENTO DI BAGNAIA

Tornando a Bagnaia, per quanto il boccone adesso sia amaro, non è impossibile vedere il lato positivo di questa storia. Certo, alla fine il Mondiale è sfumato ma i numeri raggiunti sono comunque eccezionali: con 11 vittorie in stagione, il tre volte campione del mondo ha raggiunto un numero di trionfi in una singola annata capaci di accumulare prima di lui, in classe regina, solo Giacomo Agostini, Mick Doohan, Valentino Rossi e Marc Márquez. Altro dato interessante è la vittoria del BMW M Award, il premio che va al corridore che raggiunge i risultati migliori in qualifica in tutta la stagione, che Bagnaia si è aggiudicato per la terza stagione consecutiva: meglio di lui solo Márquez, con 7 vittorie consecutive tra il 2013 e il 2019.

Quello di Bagnaia è un talento sempre più completo, insomma, per un motociclista a cui va il merito di essere andato oltre la bolla di appassionati: una missione riuscita, se si considera il risalto che ha avuto la stagione motociclistica, la più seguita dalla pandemia in poi, e forse la più appassionante dal 2015. Nonostante la sconfitta, si può ragionevolmente pensare che Bagnaia abbia iniziato in questa stagione il percorso di raggiungimento del picco della sua carriera: non sono solo i numeri stellari a farlo pensare, ma anche una sicurezza sempre più salda nei duelli corpo a corpo (svettano su tutti quelli vinti contro Martin a Sepang, citato poc’anzi, e quello contro Márquez a Jerez) e un talento inaspettato nel guidare sotto la pioggia, che si è visto soprattutto nel GP thailandese, dove l’ormai ex numero 1 ha condotto le danze per tutta la gara senza mostrare il minimo segno di incertezza. Tutti elementi che fanno di Bagnaia una garanzia ancor più granitica nell’attuale panorama motociclistico. L’obiettivo del prossimo biennio, in quella che si preannuncia essere una sfida per gli annali contro il nuovo compagno di team Marc Márquez, diventa ora quello di limare alla perfezione i pochi difetti su cui c’è ancora da lavorare, primo tra tutti la difficoltà succitata nel mettere a punto la moto in poco tempo.

Dall’altro lato, Martín lascia Ducati con un titolo di campione del mondo in più e tanta sicurezza guadagnata dal punto di vista personale e sportivo. Il grande dilemma, in questo caso, rimane Aprilia, che si trova in qualche modo “costretta” a consegnare al neocampione del mondo una moto capace quantomeno di giocarsi la difesa del titolo, sicuramente aiutata maggiormente dagli sponsor, che faranno uno sforzo ulteriore pur di stampare il loro nome accanto alla moto con il numero 1 sul cupolino (che Martín ha già anticipato di voler indossare, mantenendo la tradizione ripresa da Bagnaia dopo tanti anni).

Per la MotoGP si chiude un mini-ciclo transitorio, durato dal 2020 al 2024 circa, coincidendo all’incirca con gli anni di declino di Márquez, il quale, nel bene e nel male, rappresenta ancora il centro magnetico di questa disciplina. In questo vacuum hanno fatto in tempo ad imporsi (non senza fatica) alcune figure che rappresentano – assieme al #93, appunto – il presente di questa disciplina e che rappresenteranno il futuro quando Márquez si ritirerà: Bagnaia e Martín sono gli esponenti principali di questa nouvelle vague, ma accanto a loro trova spazio anche Fabio Quartararo (che, Yamaha permettendo, è pronto a tornare ad esprimersi ai suoi livelli) e chissà, anche due talenti del futuro come Pedro Acosta (già brillante quest’anno in classe regina) e David Alonso (campione in carica in Moto3 con numeri mai visti prima).

Prima di chiudere il libro di questo campionato e iniziare a riflettere sul futuro, vale la pena spendere ancora due parole sul duello Bagnaia-Martín. Già durante la stagione erano emersi prepotentemente paragoni tra i due piloti Ducati e coppie di rivali del passato (Lorenzo-Rossi, per dirne una), paragoni che Bagnaia, con il solito profilo basso che lo caratterizza, aveva sempre rispedito al mittente. Con il passare delle gare, però, è parso sempre più evidente come questi ultimi anni abbiano fatto brillare le stelle dei due piloti di fine anni Novanta (gennaio 1997 Bagnaia, gennaio 1998 Martin), premiando i loro sforzi di crescita molto graduali, al contrario di quelli di colleghi molto più precoci quali appunto Márquez, Quartararo o Acosta, o anche gli stessi Valentino Rossi e Dani Pedrosa, per scavare in un passato meno recente.

Inizialmente erano in tanti a storcere il naso rispetto a questa rivalità, oggi all'unanimità è considerata la leva che ha permesso di riportare in alto la disciplina. Una rivalità accesa, ricca di spunti da un punto di vista sportivo, ma segnata anche da una grande amicizia, come sembrano dover essere le rivalità nello sport contemporaneo. Non è difficile incappare in fotografie di Bagnaia e Martín da ragazzini, mentre percorrevano il lungo viale che li avrebbe portati a scrivere la storia, assieme e contro.

Ieri abbiamo visto materializzarsi il sogno di due ragazzi che hanno condiviso notti in camper da adolescenti e che oggi si ritrovano, anche grazie all’altro, sul tetto del mondo. Come ha detto Martin ha detto a Bagnaia, in un abbraccio nel parco chiuso: «Grazie per farmi rendere sempre meglio».

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