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Jorginho è sempre più grande
08 lug 2021
Il giocatore al centro della Nazionale di Mancini.
(articolo)
11 min
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Wembley, 24 febbraio 2019. Il Chelsea di Maurizio Sarri si gioca la finale di Coppa di Lega contro il Manchester City. È il momento più critico per il tecnico toscano a Londra, sconfitto pochi giorni prima per 6-0 proprio dalla squadra di Guardiola. Memore della batosta, Sarri abiura ai suoi principi, compatta i suoi in un 4-5-1 dal baricentro basso e raggiunge stancamente i calci di rigore. Jorginho è il primo a presentarsi sul dischetto: solita rincorsa lenta, saltello, piattone… ma Ederson para. Il City avrebbe vinto 4-3, complice un altro errore di David Luiz. Jorginho in quel momento è il riflesso in campo di un allenatore inviso ai tifosi. Ogni volta che tocca palla riceve fischi, Rio Ferdinand dice che non serve a nulla: non fa assist, non corre, non difende. Il pubblico si chiede come mai non giochi Kanté da vertice basso del centrocampo a tre - dimenticando che il francese non aveva mai occupato quella posizione, neanche con Conte. Pochi giocatori sono stati impopolari in Inghilterra come Jorginho, un centrocampista controculturale rispetto alla Premier, l’esatto opposto dello stereotipo del mediano britannico tutto foga, muscoli e tiri da trenta metri. Non sembrava apprezzatissimo neanche in Italia, con le solite critiche ai suoi passaggini. Un eroe del 1982 come Tardelli, dopo un pareggio contro la Polonia in una delle prime gare della gestione Mancini, gli imputava poca personalità in fase di costruzione. In quella partita Zielinski lo aveva marcato a uomo e gli aveva impedito di sviluppare in prima persona. Jorginho allora aveva risposto alle osservazioni di Tardelli con parole che, in controluce, spiegano la poca stima di una parte degli italiani nei suoi confronti: «Quando ho un uomo addosso io devo portarlo via, così faccio spazio (ai compagni nda) per avere più possibilità di giocare. Se sono pressato, nel mio ruolo non posso permettermi di prendere la palla e fare finte e controfinte, rischiando di perderla».

Wembley, 6 luglio 2021. L’Italia affronta la Spagna nella semifinale degli Europei. Come Sarri, Mancini abiura alle sue idee, abbassa il baricentro e raggiunge stancamente i rigori, in una partita in cui Dani Olmo è stato un incubo per Jorginho. Stavolta l’ex Napoli è l’ultimo rigorista. Non c’è bisogno di aggiungere troppe righe per ricordare un momento così unico, che per una notte ci ha fatto dimenticare l’ultimo anno e mezzo. La foto di Unai Simon, seduto prima ancora che il regista azzurro colpisca la palla, è destinata a diventare un classico della storia della nostra Nazionale. La percezione di Jorginho, nel frattempo, si è capovolta: adesso è l’idolo di stampa e tifosi, nessuno si azzarderebbe a metterne in discussione il valore. Qualcuno reclama addirittura il Pallone d’Oro in caso di vittoria agli Europei.

Jorginho ha cambiato modo di giocare? Ha iniziato improvvisamente a tirare saette da fuori area? Ha iniziato a scavalcare le difese come Pirlo? No, di fondo si tratta dello stesso giocatore accusato di vendere fumo con passaggi corti buoni solo a ingrassare le statistiche. Forse però, guidati da risultati convincenti, abbiamo imparato ad apprezzare davvero il valore delle sue cuciture. Ci sono alcuni passaggi di Jorginho difficili da eseguire nonostante il raggio corto perché passano in mezzo agli avversari e attivano una ricezione alle loro spalle. Ci sono però tanti altri scambi che all’apparenza non generano nessun vantaggio. Più che i tocchi di Jorginho in sé, allora, bisognerebbe guardare il modo in cui influenzano i compagni e gli avversari. Il modo in cui, per esempio, hanno portato di peso l’Italia nella trequarti del Belgio, invitando anche Verratti, a inizio partita un po’ più bloccato, ad alzarsi di qualche metro rispetto a Jorginho e creando circuiti di passaggi più dinamici che hanno favorito i movimenti verso l’interno e i dribbling di Insigne. O ancora, pensiamo al modo in cui, al Chelsea, gioca di sponda per far salire i terzi centrali e portare uomini in più nella metà campo avversaria. Questo, insomma, è il Jorginho che abbiamo conosciuto con Sarri, quel centrocampista minimale capace di sopperire col cervello alle lacune fisiche e a una tecnica ottima ma non certo da predestinato.

Nell’ultimo anno, però, Jorginho ha aggiunto un paio di soluzioni al suo inventario in grado di rafforzare e proteggere il suo raffinato gioco di passaggi, con la palla e senza.

Un nuovo sguardo con la palla
Del maggior coraggio di Jorginho con la palla tra i piedi ce ne siamo accorti nel secondo tempo contro il Belgio, con quella finta su Thorgan Hazard in cui per un attimo abbiamo creduto di regalare un contropiede letale. Si tratta del dribbling su cui Sergio Busquets – il capostipite dei centrocampisti minimali – ha costruito una carriera. Il catalano però, con le gambe lunghe e la formazione da futsal, ci ha abituato a dribbling elaborati nello stretto. Per Jorginho sembrava una novità, ma a ben vedere non è più una giocata rara nelle sue partite. Sarri e Tuchel sono due dei massimi esponenti del gioco di posizione. Il principio caratteristico del calcio di Sarri è il gioco a parete, a uno o due tocchi. Quello di Tuchel, invece, sono i tocchi extra che portano fuori zona un avversario e permettono di giocargli alle spalle. Non è un caso, allora, che Jorginho si sia abituato ad aggiungere il terzo e il quarto tocco sotto pressione proprio con il tecnico tedesco.

Il miglioramento più vistoso è il modo in cui il regista del Chelsea ha imparato a sfruttare a proprio vantaggio il contatto con l’uomo che lo aggredisce alle spalle. Il corpo a corpo che ritorce contro l’avversario la sua stessa foga è un trucco irrinunciabile per tutti i migliori centrocampisti. Di solito Jorginho, spalle alla porta, come prima opzione ricercava la parete su uno dei centrali. Adesso invece si concede qualche rischio in più, si fa tamponare, copre la palla, la lascia sfilare e la scarica dopo aver tolto di mezzo un avversario, che rimane alle sue spalle. Sulla protezione palla dell’italo-brasiliano Tuchel ha costruito vittorie prestigiose come quelle contro Tottenham e Liverpool in campionato.





Mancini magari si sarà avvalso in maniera meno organica di questa sua qualità, ma in situazione di emergenza Jorginho ha saputo tirarla fuori: uno strato di protezione in più per il sistema di possesso dell’Italia. È come se Jorginho avesse dato fondamenta più solide alla propria attitudine, un ricorso extra che tiene in vita il suo gioco a due tocchi ed evita problemi ai compagni.
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Questo è un frame tratto dal primo tempo con la Svizzera. Per l’Italia dietro la linea della palla restano i centrali e Jorginho, in possesso. Gli altri giocatori occupano la trequarti: Spinazzola e Berardi in ampiezza, Locatelli, Insigne e Barella nei corridoi centrali dietro Immobile. Jorginho tenta di servire Locatelli alle spalle del centrocampo con un pallonetto pretenzioso. Shaqiri intercetta ma la palla torna verso i piedi di Jorginho, che si deve girare di spalle per controllarla. Xhaka e Freuler lo aggrediscono insieme, visto che è girato. È una situazione scomoda perché, se intercettassero, i centrocampisti svizzeri potrebbero appoggiarsi sul vicino Seferovic e lanciare la transizione contro soli quattro difensori. Invece Jorginho si piega sulle gambe, apre leggermente il braccio e si frappone tra Freuler e la palla, che scorre verso il suo destro. Con un primo tocco la controlla e assorbe il colpo dell’Atalantino, col secondo la allontana definitivamente dai due che lo pressano e col terzo la dà indietro a Bonucci: il possesso palla dell’Italia è salvo, non ci siamo esposti a transizioni e possiamo riprendere a costruire direttamente nella metà campo svizzera.

Il limite più evidente di Jorginho è il fisico. Non solo per la corsa e le sue possibilità in fase difensiva, ma anche per quanto riguarda la fase di possesso. Basterebbe fare un paragone con i suoi compagni di reparto in Nazionale. Non ha la vitalità di Barella, non ha un corpo tozzo nato per dribblare dove non c’è spazio come Verratti, non ha neanche le gambe con cui Locatelli porta palla in avanti. Ha capito, però, che non servono muscoli in eccesso per piegarsi sul bacino e far forza sulle gambe. A volte basta solo leggere in che direzione corre l’avversario, mal che vada ci si guadagna una punizione.
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Ultimi minuti di Italia-Belgio, dopo aver rubato un pallone nella propria area a Doku, ruota piegato sul pallone in avanti e taglia la strada alla riaggressione del belga, regalando secondi preziosi all’Italia.



Rispetto agli anni con Sarri, poi, Jorginho sembra aver migliorato anche il gioco in ampiezza. C’entrano, sicuramente, i sistemi di gioco differenti in cui sta giocando. Rispetto all’allenatore toscano, Tuchel a Londra e Mancini con l’Italia occupano sempre l’ampiezza con due uomini. Jorginho adesso, come alternativa al gioco corto, alza la testa e cerca il compagno aperto e libero. Ama rivolgersi soprattutto verso destra, il lato di Berardi e Chiesa in questo Europeo. Jorginho, peraltro, ricerca il cambio gioco non solo per portare la palla negli ultimi trenta metri, ma anche per costruire vicino la propria porta. Se i riferimenti centrali sono marcati, allora apre in direzione di Di Lorenzo o del giocatore che rimane a costruire a sinistra (Chiellini o il terzino, se resta più basso all’inizio). Insomma, adesso la palla Valdifiori, il lancio alla cieca dietro la difesa su passaggio che arriva dall’esterno, non è più la sola opzione sul lungo del giocatore del Chelsea.

Jorginho senza la palla, una mezzala aggiunta
L’intelligenza senza palla è un dono che anche i detrattori riconoscevano a Jorginho. L’italo-brasiliano sa muoversi alla perfezione per fornire uno scarico ai difensori o per portare via un avversario e lasciare la linea di passaggio verso un compagno. Si tratta soprattutto di movimenti in orizzontale, che seguono la circolazione della palla tra un difensore e l’altro.

In Nazionale sembra aver aggiunto qualcosa di diverso. Già di per sé Jorginho si sgancia di più per diventare il quarto vertice del nucleo di sinistra, quello composto da Insigne, Verratti ed Emerson/Spinazzola. La sua presenza vicino la fascia ha messo sempre gli azzurri in superiorità contro il Belgio, che non ha trovato il modo di pressare il nostro lato forte. Non è del tutto una novità per lui. Nell’ultimo anno al Napoli, per compensare l’infortunio di Ghoulam, era solito avvicinarsi ad Hamsik e a Insigne sulla sinistra.

La vera scoperta, per lui, sono delle piccole corse in verticale, sempre in prossimità della fascia, con cui detta nuove linee di passaggio in avanti e permette al possesso di progredire. L’Italia occupa il campo in maniera intelligente, ma non ha uomini in grado di rendere fluido il possesso con un dribbling forzato che scombini i piani degli avversari. Partendo da dietro rispetto agli altri compagni che partecipano al possesso sulla fascia, i movimenti di Jorginho sono più difficili da tracciare: qualcuno dovrebbe seguirlo con ripiegamenti profondi, o, in alternativa, ci si dovrebbe distrarre da uno degli altri componenti della catena azzurra.

L’azione in cui De Bruyne quasi ci regala un rigore con un fallo su di lui si sviluppa proprio così. Una delle combinazioni più belle di quella partita, con uno scatto in verticale di Jorginho che porta a un tiro pericoloso di Insigne. Sulla fascia stavolta ci sono Jorginho, Verratti e Immobile, che si è sfilato verso sinistra. Insigne e Spinazzola rimangono sul limite dell’area poco più all’interno. De Bruyne sta su Jorginho, Tielemans controlla Verratti e Vermaelen rimane vicino a Immobile. Jorginho porta palla di fronte a De Bruyne, poi scarica verso la fascia su Verratti.



Tielemans si sposta verso il centrocampista del PSG, ma Jorginho è già scattato alle sue spalle. Tielemans fa segno a qualcuno di seguire Jorginho: De Bruyne ormai è troppo lontano e Vermaelen è più al centro vicino a Immobile.



Alla fine Meunier si stacca dalla difesa e va su Jorginho. La difesa del Belgio nel frattempo si abbassa e Insigne fa il movimento opposto: si sfila all’indietro e offre subito una linea di passaggio interna a Jorginho che lo serve.



Insigne si gira e senza pressione calcia verso il secondo palo, dove Courtois respinge.



I movimenti in avanti di Jorginho potrebbero essere un’ottima variabile se l’Inghilterra abbassasse il baricentro. Di contro, persa la palla, non ci sarebbe nessuno a presidiare il centro, visto che il nostro metodista si è sganciato: situazione da scongiurare contro una squadra piena di giocatori formidabili in conduzione e che sembra ricercare proprio gli squilibri dell’avversario.

È incredibile pensare a come sia cambiata la vita della nostra Nazionale nel giro di tre anni. Il rispetto guadagnato da Jorginho, nel suo piccolo, testimonia il valore del percorso. Se l’Italia rappresenta un progetto entusiasmante, l’italo-brasiliano è un giocatore su cui un progetto vincente si può costruire, e lo sa anche Tuchel. Non viene più percepito come un buon metodista per il quale comunque non vale la pena mutare i propri principi – il motivo per cui Ventura non lo ha mai considerato, nonostante guidasse una delle squadre più brillanti della storia recente della Serie A. Se il suo calcio, in sostanza, è rimasto lo stesso, la sua aura in campo è diversa. La vittoria della Champions rende per forza più autorevoli, nessuno in finale avrà le spalle larghe come quelle di Jorginho, regista straordinario ma anche centrocampista in grado di controllare alla perfezione Kevin De Bruyne in due partite dal peso specifico incommensurabile come la finale di Champions e il quarto di finale degli Europei. Chi l’avrebbe detto, qualche anno fa, che avremmo invocato il Pallone d’Oro per lui, al di là di quanto possa essere realistica una sua candidatura? Il cervello e la forza di volontà di Jorginho hanno superato qualsiasi aspettativa. Non dovrebbe sorprenderci, allora, che a trent’anni abbia aggiunto nuovi registri al suo gioco, come la protezione di palla e gli smarcamenti in avanti. I fuoriclasse l’Italia li ha eccome.

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