
Josh Allen si siede al tavolo della conferenza stampa ancora vestito da gara. Cappello in testa e sguardo basso: «Losing to them sucks». Ovviamente, quel “them” si riferisce ai Kansas City Chiefs, capaci di mandarlo a casa dai playoff per 3 volte in altrettanti tentativi. Il record in stagione regolare dice 3-1 per Buffalo, ma ai playoff la musica è ben diversa: la storia dei Bills in post season, poi, ricca di delusioni, è sale sulle ferite che già fanno fatica a rimarginarsi.
Volente o nolente, la giovane carriera del numero 17 di Buffalo è legata a doppio filo a quella di Patrick Mahomes. Ogni grande dello sport ha avuto i propri sparring partner a cui infliggere sconfitte periodicamente: se i vari Shawn Kemp, Charles Barkley e Karl Malone devono ringraziare soprattutto Michael Jordan per essersi ritirati senza vittorie di squadra, beh, Josh Allen sa benissimo a chi guardare.
Proprio in una stagione in cui il talento medio nel roster di Buffalo è decisamente inferiore rispetto al passato, soprattutto in difesa, Josh Allen ha iniziato la stagione con le marce alte, tenendo fede al suo status di quarterback top. Senza un ricevitore dominante, ma con un coordinatore offensivo che gli sta rendendo la vita più facile, Josh Allen è il più serio candidato al premio di MVP emerso in queste prime settimane.
Il suo percorso
Il quarterback arrivato in NFL nel 2018 da Wyoming non ha nulla a che vedere con quello che oggi calca il prato dell’Highmark Stadium: ok l’esperienza acquisita e l’allenamento, ma stiamo parlando di due giocatori diversi. Il Josh Allen rookie si distingueva per doti atletiche fuori dal comune e per un braccio particolarmente potente, due doti che lo hanno sempre accompagnato. Il resto, invece, era tutto da costruire: la precisione, sia sul corto che sul lungo, latitava, e lo stile “avventuroso” che lo contraddistingue da sempre lo metteva in difficoltà contro le difese
NFL. La stagione 2018 fu la più classica delle annate di transizione di un passatore senza esperienza. Dopo essere stato gettato nella mischia in week 1 contro i Ravens, avanti 40-0, Allen trovò la sua prima vittoria due settimane dopo, passeggiando in casa dei favoritissimi Minnesota Vikings. Arrivarono qualche infortunio e le sconfitte per Buffalo con Nathan Peterman come QB titolare. Tornato in campo sul finale di stagione, Allen sembrava sempre più a proprio agio, con una meccanica leggermente più precisa.
Il 2020 è stato l'anno della svolta: gli allenamenti svolti in offseason avevano dato i loro frutti. In una apparizione al Pat McAfee Show, il QB di Buffalo ha spiegato chi e cosa lo aveva aiutato ad aggiustare i difetti tecnici. Fondamentale fu l’incontro con Jordan Palmer, ex journeyman NFL e fratello del ben più famoso Carson, e con il suo innovativo metodo. Palmer aveva studiato la meccanica del giovane Allen tramite un programma di scansione del corpo, che aveva evidenziato difetti posturali nella meccanica di lancio: braccio e fianco non si muovevano all’unisono durante l’esecuzione. La percentuale di passaggi completati nell’anno da rookie, poco sotto il 53%, salì al 59% l’anno successivo e addirittura al 69% nel 2020, il suo breakout year.
Se Palmer forniva l’esperienza del campo, Chris Hess, fondatore di Biometrik, ci metteva quella tecnologica. Come racconta Bruce Fieldman in un pezzo su The Athletic, il corpo umano può distinguere al massimo 30-40 frame al secondo: gli strumenti di motion capture ideati da Hess, ex offensive lineman, potevano arrivare fino a 240, dando la possibilità di analizzare i movimenti nei minimi dettagli. Non solo: i palloni utilizzati da Josh Allen per allenarsi erano dotati di speciali microchip che registravano la “spirale” effettuata, catalogata con un valore da 100 (spirale perfetta) a 1 (un’elica di elicottero).
Sono passati ormai anni, ma la stella dei Bills non smette di allenarsi per perfezionare la meccanica. Come raccontato dallo stesso giocatore, i minicamp volontari organizzati da Buffalo la scorsa primavera erano incentrati unicamente alla correzione dei movimenti di lancio. Nel suo caso, un problema alla spalla verificatosi la scorsa stagione lo aveva portato a modificare ulteriormente la meccanica: il risultato erano stati i 18 intercetti, peggior dato della sua carriera. L’obiettivo, quindi, era riprendere la routine e tornare alla normalità.
Non un one man show
È curioso che Josh Allen sia ora in pole position per l’MVP in una stagione in cui sembra poter giocare a marce più basse del solito e senza troppi eroismi. La partenza estiva di Stefon Diggs, andato a Houston via trade, lo aveva privato di un ricevitore che aveva fatto le fortune sue e della squadra. Nel 2023, Diggs era stato destinatario del 29.6% dei target di Allen, sesto dato più alto in NFL tra i ricevitori, ma il calo di rendimento era evidente: dopo week 6, la stella di Buffalo non ha fatto registrare neanche una partita da più di 100 yard e ha segnato solo 3 touchdown.
Le basi per questa stagione sono state messe a metà della scorsa, con l’arrivo di Joe Brady come offensive coordinator. Nonostante la giovane età (è un classe ’89), Brady ha già una notevole esperienza come assistente offensivo tra NFL e NCAA. Prima il praticantato ai Saints sotto Sean Payton, che lo ha formato come coach, poi gli anni a LSU, dove ha lavorato con Joe Burrow e tanti futuri giocatori professionisti. Il suo credo offensivo è improntato alla West Coast Offense, appresa da Sean Payton che, a sua volta, era stato discepolo di Bill Walsh: passaggi veloci, corti e poco tempo per lanciare, oltre a un ampio uso delle corse. Dopo la parentesi al college, con tanto di titolo nazionale, l’approdo in NFL da offensive coordinator dei Panthers. La pessima situazione della squadra, tra un talento medio scarsissimo, un coaching di livello simile e le porte girevoli nel ruolo di quarterback non lo hanno aiutato: Brady fu silurato nel corso della sua seconda stagione. A Buffalo, invece, è stato lui a subentrare, prendendo il posto di Ken Dorsey nel corso della scorsa annata dopo avere iniziato come QB coach. Le cifre di squadra, eccellenti fino a week 3, risentono delle due sconfitte di fila subite contro Ravens e Texans: nonostante tutto, Allen rimane secondo in EPA per dropback (0.38), una statistica avanzata che misura l’efficienza di un quarterback ogni volta che è impegnato in un’azione su passaggio.
Le ultime due partite hanno fatto scendere un po’ di nebbia su Buffalo, sia perché le sconfitte sono arrivate contro due dirette concorrenti in AFC, sia per il gameplan offensivo messo in atto nei minuti finali della sfida contro Houston. Nessuna delle due sembrava davvero voler vincere, ma quando Buffalo ha ripreso il pallone con poco più di un minuto da giocare e l’inerzia dalla propria, la rimonta sembrava potesse concretizzarsi. La scelta di affidarsi in toto ad Allen, reduce da una commozione cerebrale gestita in maniera quantomai discutibile dallo staff e in difficoltà per quasi tutta la partita, si è rivelata fatale. Con il cronometro fermato dai passaggi forzati e sbagliati da Allen, Houston ha ricevuto di nuovo il pallone con circa un minuto sul cronometro trovando il field goal della vittoria. A prescindere dal risultato, la gestione del cronometro e degli schemi con la partita in bilico è qualcosa su cui Brady e lo staff dovranno riflettere.
Tornando un attimo ai lati positivi su cui Buffalo può costruire le proprie fortune in questa stagione, tre sono gli aspetti più evidenti guardando l’attacco dei Bills. Il primo la grande frequenza di movimenti pre snap, necessari per mostrare le intenzioni della difesa e capire se sta giocando a uomo o a zona. I Jacksonville Jaguars hanno provato sulla propria pelle cosa significhi difendere contro un attacco che sa esporre le tue debolezze.