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Josh Allen vuole la sua rivincita
17 ott 2024
Il quarterback dei Buffalo Bills è il più serio candidato al premio di MVP della regular season.
(articolo)
13 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Josh Allen si siede al tavolo della conferenza stampa ancora vestito da gara. Cappello in testa e sguardo basso: «Losing to them sucks». Ovviamente, quel “them” si riferisce ai Kansas City Chiefs, capaci di mandarlo a casa dai playoff per 3 volte in altrettanti tentativi. Il record in stagione regolare dice 3-1 per Buffalo, ma ai playoff la musica è ben diversa: la storia dei Bills in post season, poi, ricca di delusioni, è sale sulle ferite che già fanno fatica a rimarginarsi.

Volente o nolente, la giovane carriera del numero 17 di Buffalo è legata a doppio filo a quella di Patrick Mahomes. Ogni grande dello sport ha avuto i propri sparring partner a cui infliggere sconfitte periodicamente: se i vari Shawn Kemp, Charles Barkley e Karl Malone devono ringraziare soprattutto Michael Jordan per essersi ritirati senza vittorie di squadra, beh, Josh Allen sa benissimo a chi guardare.

Proprio in una stagione in cui il talento medio nel roster di Buffalo è decisamente inferiore rispetto al passato, soprattutto in difesa, Josh Allen ha iniziato la stagione con le marce alte, tenendo fede al suo status di quarterback top. Senza un ricevitore dominante, ma con un coordinatore offensivo che gli sta rendendo la vita più facile, Josh Allen è il più serio candidato al premio di MVP emerso in queste prime settimane.

Il suo percorso

Il quarterback arrivato in NFL nel 2018 da Wyoming non ha nulla a che vedere con quello che oggi calca il prato dell’Highmark Stadium: ok l’esperienza acquisita e l’allenamento, ma stiamo parlando di due giocatori diversi. Il Josh Allen rookie si distingueva per doti atletiche fuori dal comune e per un braccio particolarmente potente, due doti che lo hanno sempre accompagnato. Il resto, invece, era tutto da costruire: la precisione, sia sul corto che sul lungo, latitava, e lo stile “avventuroso” che lo contraddistingue da sempre lo metteva in difficoltà contro le difese

NFL. La stagione 2018 fu la più classica delle annate di transizione di un passatore senza esperienza. Dopo essere stato gettato nella mischia in week 1 contro i Ravens, avanti 40-0, Allen trovò la sua prima vittoria due settimane dopo, passeggiando in casa dei favoritissimi Minnesota Vikings. Arrivarono qualche infortunio e le sconfitte per Buffalo con Nathan Peterman come QB titolare. Tornato in campo sul finale di stagione, Allen sembrava sempre più a proprio agio, con una meccanica leggermente più precisa.

Il 2020 è stato l'anno della svolta: gli allenamenti svolti in offseason avevano dato i loro frutti. In una apparizione al Pat McAfee Show, il QB di Buffalo ha spiegato chi e cosa lo aveva aiutato ad aggiustare i difetti tecnici. Fondamentale fu l’incontro con Jordan Palmer, ex journeyman NFL e fratello del ben più famoso Carson, e con il suo innovativo metodo. Palmer aveva studiato la meccanica del giovane Allen tramite un programma di scansione del corpo, che aveva evidenziato difetti posturali nella meccanica di lancio: braccio e fianco non si muovevano all’unisono durante l’esecuzione. La percentuale di passaggi completati nell’anno da rookie, poco sotto il 53%, salì al 59% l’anno successivo e addirittura al 69% nel 2020, il suo breakout year.

Se Palmer forniva l’esperienza del campo, Chris Hess, fondatore di Biometrik, ci metteva quella tecnologica. Come racconta Bruce Fieldman in un pezzo su The Athletic, il corpo umano può distinguere al massimo 30-40 frame al secondo: gli strumenti di motion capture ideati da Hess, ex offensive lineman, potevano arrivare fino a 240, dando la possibilità di analizzare i movimenti nei minimi dettagli. Non solo: i palloni utilizzati da Josh Allen per allenarsi erano dotati di speciali microchip che registravano la “spirale” effettuata, catalogata con un valore da 100 (spirale perfetta) a 1 (un’elica di elicottero).

Sono passati ormai anni, ma la stella dei Bills non smette di allenarsi per perfezionare la meccanica. Come raccontato dallo stesso giocatore, i minicamp volontari organizzati da Buffalo la scorsa primavera erano incentrati unicamente alla correzione dei movimenti di lancio. Nel suo caso, un problema alla spalla verificatosi la scorsa stagione lo aveva portato a modificare ulteriormente la meccanica: il risultato erano stati i 18 intercetti, peggior dato della sua carriera. L’obiettivo, quindi, era riprendere la routine e tornare alla normalità.

Non un one man show

È curioso che Josh Allen sia ora in pole position per l’MVP in una stagione in cui sembra poter giocare a marce più basse del solito e senza troppi eroismi. La partenza estiva di Stefon Diggs, andato a Houston via trade, lo aveva privato di un ricevitore che aveva fatto le fortune sue e della squadra. Nel 2023, Diggs era stato destinatario del 29.6% dei target di Allen, sesto dato più alto in NFL tra i ricevitori, ma il calo di rendimento era evidente: dopo week 6, la stella di Buffalo non ha fatto registrare neanche una partita da più di 100 yard e ha segnato solo 3 touchdown.

Le basi per questa stagione sono state messe a metà della scorsa, con l’arrivo di Joe Brady come offensive coordinator. Nonostante la giovane età (è un classe ’89), Brady ha già una notevole esperienza come assistente offensivo tra NFL e NCAA. Prima il praticantato ai Saints sotto Sean Payton, che lo ha formato come coach, poi gli anni a LSU, dove ha lavorato con Joe Burrow e tanti futuri giocatori professionisti. Il suo credo offensivo è improntato alla West Coast Offense, appresa da Sean Payton che, a sua volta, era stato discepolo di Bill Walsh: passaggi veloci, corti e poco tempo per lanciare, oltre a un ampio uso delle corse. Dopo la parentesi al college, con tanto di titolo nazionale, l’approdo in NFL da offensive coordinator dei Panthers. La pessima situazione della squadra, tra un talento medio scarsissimo, un coaching di livello simile e le porte girevoli nel ruolo di quarterback non lo hanno aiutato: Brady fu silurato nel corso della sua seconda stagione. A Buffalo, invece, è stato lui a subentrare, prendendo il posto di Ken Dorsey nel corso della scorsa annata dopo avere iniziato come QB coach. Le cifre di squadra, eccellenti fino a week 3, risentono delle due sconfitte di fila subite contro Ravens e Texans: nonostante tutto, Allen rimane secondo in EPA per dropback (0.38), una statistica avanzata che misura l’efficienza di un quarterback ogni volta che è impegnato in un’azione su passaggio.

Le ultime due partite hanno fatto scendere un po’ di nebbia su Buffalo, sia perché le sconfitte sono arrivate contro due dirette concorrenti in AFC, sia per il gameplan offensivo messo in atto nei minuti finali della sfida contro Houston. Nessuna delle due sembrava davvero voler vincere, ma quando Buffalo ha ripreso il pallone con poco più di un minuto da giocare e l’inerzia dalla propria, la rimonta sembrava potesse concretizzarsi. La scelta di affidarsi in toto ad Allen, reduce da una commozione cerebrale gestita in maniera quantomai discutibile dallo staff e in difficoltà per quasi tutta la partita, si è rivelata fatale. Con il cronometro fermato dai passaggi forzati e sbagliati da Allen, Houston ha ricevuto di nuovo il pallone con circa un minuto sul cronometro trovando il field goal della vittoria. A prescindere dal risultato, la gestione del cronometro e degli schemi con la partita in bilico è qualcosa su cui Brady e lo staff dovranno riflettere.

Tornando un attimo ai lati positivi su cui Buffalo può costruire le proprie fortune in questa stagione, tre sono gli aspetti più evidenti guardando l’attacco dei Bills. Il primo la grande frequenza di movimenti pre snap, necessari per mostrare le intenzioni della difesa e capire se sta giocando a uomo o a zona. I Jacksonville Jaguars hanno provato sulla propria pelle cosa significhi difendere contro un attacco che sa esporre le tue debolezze.

Questa è una situazione di 4th & short gestita magistralmente. Shakir viene messo in motion e un difensore si muove di conseguenza: i Jags sono dunque a uomo. Il ricevitore di Buffalo finge di realizzare una orbit motion passando dietro al running back salvo poi sprintare sul lato opposto. Il marcatore rimane bloccato nel traffico, ma è anche vero che sul lato dell’azione non c’è nessun difensore che possa sostituirlo al volo. Il risultato sono 12 yard e down chiuso.

Anche qui il protagonista è Shakir. Coleman viene messo in motion, ma la sua double move non inganna il cornerback, che rimane con lui. La prima scelta nella progressione non è dunque disponibile – si vede come Allen si volti subito verso di lui una volta ricevuto lo snap – ma non è un problema: il numero 10 corre una shallow cross con cui prende subito vantaggio sul marcatore e finisce in endzone per 6 punti.

Il giocatore scelto da Boise State nel 2021 è diventato il miglior amico di Allen, sostituendo Stefon Diggs, rispetto a cui ha uno skillset decisamente diverso. Shakir incarna alla perfezione il gioco orizzontale di Brady, grazie alla sua capacità di correre le tracce e guadagnare yard extra. Nelle prime tre gare, il ricevitore, che gioca quasi esclusivamente nella slot, è leader di squadra in target, ricezioni, yard su ricezione e TD. Il loro rapporto si è consolidato nella seconda parte della stagione 2023, in cui il duo ha dimostrato di avere una connessione senza pari in NFL. Nella stagione passata, infatti, Shakir ha ricevuto solo 56 palloni ‘ricevibili’ secondo Pro Football Focus, ma ben 51 di questi si sono tramutati in ricezione (91%). E comunque questa estate, al podcast dell’ex giocatore Chris Long, Josh Allen lo aveva detto: «Sono carichissimo, nella prossima stagione Shakir avrà un ruolo ancora più importante».

I movimenti pre snap sono utili anche per capire quali accoppiamenti attaccare, come in questo esempio. Sempre contro i Jaguars, Kincaid viene spostato all’interno, evidenziando il matchup con la safety, che non ha il fisico per contenerlo: il passaggio è preciso e il tight end fa il resto. Contro Miami, viene prima messo in motion Shakir, che viene seguito da un difensore, e poi Coleman (n.13). In realtà, la difesa è in Tampa 2, e Kincaid è tra due fuochi, il cornerback che rimane basso e la safety che lo aiuta a fondocampo. A questo punto, Allen preferisce quindi aspettare e servire Shakir che “si siede” nella zona, dove il linebacker (n.11) scalato in coverage in quella parte di campo, tipico di questo schema difensivo, non riesce a intervenire.

Il secondo aspetto riguarda la scelta dei personali con cui l’attacco si schiera. Buffalo finora ha usato il 12 personnel – formazione con un running back e due tight end – nel 20.6% dei propri snap offensivi, esattamente nella media NFL. Quello che ne hanno prodotto, però, è buono per il terzo posto nella classifica relativa all’EPA per play con questo schieramento. Mettendo in campo una formazione da corsa, con più tight end, o addirittura un o-linemen extra, l’attacco costringe la difesa ad adeguarsi di conseguenza, preparandosi per una corsa che però non avverrà.

Nel primo esempio, Buffalo si presenta con una formazione pesantissima, con due tight end e anche un offensive lineman extra. Dopo la play action, i linebacker ritrovano la posizione in tempo, ma nessuno può nulla su Valdez-Scantling lungo la linea di fondo: il cornerback era in posizione per difendere quel quarto di campo, ma l’ex Packers si è sistemato nella zona lasciata libera sui numeri. Nella seconda clip – la partita contro Jacksonville è stata un clinic offensivo – c’è solo un tight end ma anche un uomo di linea in più, e i Jags continuano a difendere a uomo come fatto per gran parte della gara. L’intersezione delle due tracce non porta i difensori a ostacolarsi, ma Coleman ha già preso un vantaggio allo snap per il solo fatto di essere allineato verso il centro del campo, cioè dove andrà a ricevere il pallone. Va da sé che la safety unica a fondocampo non riesce ad arrivare in tempo sulla traccia del rookie, che segna un comodo touchdown.

Un altro aspetto cardine dello stile offensivo di Joe Brady è l’apporto del running game all’attacco. I Bills finora hanno corso nel 43% dei propri snap offensivi, cifra scesa dopo le ultime due giornate ma che aveva raggiunto il 46% dopo le prime 3. Ovviamente, il fatto di aver passato gran parte delle ultime due partite in svantaggio ha influenzato il game plan di Buffalo. Nella partita contro Houston, però, Joe Brady ha continuato a insistere sulle corse anche in doppia cifra di svantaggio, anziché lasciare il palcoscenico a Josh Allen.

La linea offensiva ha iniziato in maniera molto positiva, e con essa James Cook, ma quello che a noi interessa in questo momento è come i running back vengono utilizzati nel passing game. Brady ha lavorato con Alvin Kamara a New Orleans e Christian McCaffrey, seppur tra un infortunio e l’altro, a Carolina. A Buffalo ha già un buonissimo ricevitore fuori dal backfield in Cook, ma il segreto sta nel mettere il running back nella posizione giusta per far male alle difese avversarie, un concetto che abbiamo già visto negli esempi precedenti.

Prima azione della partita contro Jacksonville. Cook viene spostato sull’altro lato rispetto ad Allen, portando con sé un difensore. Dopo lo snap, il running back corre una wheel lungo la linea di fondo, con Mack Hollins, il ricevitore sullo stesso lato, che corre una hitch ostruendo il passaggio a Oluokun, marcatore di Cook, che ha così la strada libera per ricevere e guadagnare 17 yard.

Questa volta il protagonista è Ty Johnson. Pre snap si muove il tight end, e con lui una safety. A questo punto, Allen sa che il difensore deputato a marcare il running back sarà il più interno tra quelli su quel lato di campo, ovvero il linebacker Chad Muma: Johnson è troppo veloce per il difensore e segna facilmente.

Un’azione simile alla precedente si è vista qualche giorno prima durante la partita contro Miami. Si tratta di una variazione di uno schema che non manca mai nel playbook di Joe Brady, e cioè il mesh concept. In questa azione, particolarmente efficace quando la difesa è a uomo, vediamo l’intersecarsi di due tracce shallow cross di fronte alla linea di scrimmage con l’obiettivo di intralciare i rispettivi difensori. Nel RB mesh traffic si aggiunge la cross release del running back, per l’appunto, che sbuca fuori dal lato opposto della linea di scrimmage mentre viene eseguito mesh al centro del campo. Capirete bene che, con tutto questo caos, qualche difensore rimarrà incastrato da qualche parte, ed è molto probabile che sia il marcatore del running back, esattamente come succede in questo caso.

In occasione dei minicamp primaverili, Joe Brady aveva confermato che questa era «la squadra di Josh Allen». Questa prima, nuova versione, però, è diversa da quelle a cui eravamo abituati. Certo, rimane uno dei migliori passatori a “far succedere cose” quando lo schema si rompe, ma quest’anno ha iniziato in maniera molto più disciplinata e controllata. In un campione di partite così ridotto, la sconfitta contro Houston potrebbe aver rappresentato finora un unicum: Allen si è dovuto sobbarcare il peso dell’attacco per sopperire all’assenza del running game, anestetizzato dalla difesa. Il QB dei Bills ha finito la partita con il 30% di passaggi completati, il dato più basso negli ultimi 30 anni per un QB con almeno 30 passaggi tentati in singola partita.

Alla luce degli ultimi risultati, si conferma quello che si pensava in estate: è molto difficile che questa versione rimaneggiata e “in transizione” dei Bills possa arrivare in fondo, anche perché prima o poi ci sarebbe da fare i conti con Patrick Mahomes, il boss finale. Vincere il premio di MVP della stagione regolare, però, potrebbe servire almeno a ricordarci quanto Josh Allen sia forte.

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Michele Serra nasce nel 1993 a Bologna dove studia Lingue e Letterature Straniere. Ama seguire gli sport americani, ascoltare musica e giocare a basket. Scrive anche per Football Nation e Fuori Dagli Schemi.

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