Nel momento più buio di una stagione nera, dopo aver subito due gol in casa da un Newcastle che a Old Trafford sembrava il Brasile del 1970, l’allenatore del Manchester United, Ruben Amorim, prima ancora che finisse il primo tempo, ha provato a invertire la rotta togliendo qualcuno dal campo, e quel qualcuno è stato Joshua Zirkzee. Per quanto possa sembrare superficiale e sbrigativa messa in questo modo, e ci si possa interrogare sulle ragioni di quella scelta, è sostanzialmente questo il motivo per cui nei giorni successivi si è iniziato a parlare di una cessione dell’attaccante olandese - la ragione per cui anche io sto scrivendo questo pezzo. Una notizia riportata anche da fonti affidabili come Gianluca Di Marzio, a riprova che qualcuno dentro la dirigenza della Juventus e forse anche di altre squadre italiane deve aver avvertito che quel cambio avesse davvero aperto una possibilità.
D’altra parte, per quanto probabilmente non fosse quello che di solito viene definito un cambio punitivo, è stato uno di quei momenti che possono uccidere la carriera di un calciatore ad alti livelli, convincerlo che con quel posto o quel livello non abbia nulla a che fare. Quando cerchiamo un punto in cui per un calciatore le cose sono iniziate ad andare a rotoli, ecco, questo potrebbe essere uno di quelli.
Il Newcastle era passato sullo 0-2 nell’arco di 19 minuti. Due gol arrivati nel modo più semplice e umiliante possibile: cross in area, colpo di testa. Prima Isak schiacciando addirittura da dentro l’area piccola; poi Joelington saltando in testa a Lisandro Martinez. Al 31', poco dopo che gli era stato annullato un terzo gol per fuorigioco, il Newcastle aveva quasi segnato entrando in porta con la palla. Tonali aveva raccolto uno stop di esterno in area di Gordon rimasto troppo corto e d’esterno aveva colpito il palo esterno a tre, quattro metri dalla linea di porta. E quando i tifosi dello United si sono accorti che era una di quelle partite che aspetti solo che finiscano, hanno visto Zirkzee richiamato in panchina al posto di Kobbie Mainoo. In che modo questa storia sarebbe potuta finire bene? Da Old Trafford prima sono arrivati i fischi, poi un boato di gioia all’ingresso di Mainoo, come un sospiro di sollievo. Kobbie Mainoo - uno dei pochi a salvarsi in questa terribile stagione, il prodotto delle idealizzate giovanili dello United, fucina della leggendaria classe del ’92 - è entrato in campo al posto dell’ennesimo talento arrivato dal continente europeo a Old Trafford per decine milioni di euro senza aver dimostrato di valerne mezzo.
Zirkzee è andato in panchina solo per prendere il piumino, provando a mantenere la faccia intatta da qualunque espressione, e poi si è avviato verso gli spogliatoi. Se non fosse più tornato fuori forse oggi le trattative con la Juventus sarebbero molto più concrete. E invece Zirkzee, dimostrando professionalità, è tornato per sedersi in panchina e assistere al resto della partita. «È stato un momento molto difficile», ha dichiarato riconoscente Amorim dopo la fine della partita «È un essere umano, ma alla fine ha sentito il supporto dei tifosi. Adesso è tutto ok». Una settimana dopo, entrato ad Anfield a quattro minuti dalla fine, ha avuto sul piede la palla che avrebbe fatto vincere lo United a casa del Liverpool per la prima volta dopo nove anni. Sarebbe stato uno dei redemption arc più veloci della storia, e invece è stato solo l’ennesimo promemoria che le cose non sono mai semplici.
Al 97', sul 2-2, Zirkzee è scappato alle spalle della difesa di Slot e si è ritrovato inaspettatamente a pochi metri da Alisson, defilato sulla destra. L’attaccante olandese ha lasciato sfilare la palla, ha alzato la testa e ha visto Maguire da solo al centro dell’area, sul dischetto del rigore. Zirkzee ha provato a servirlo colpendo di collo e spostando il peso sul ginocchio sinistro, come un motociclista che si piega in curva, ma la palla è uscita un po’ bizzosa e Maguire l’ha sparata sopra la traversa con la porta vuota. Certo, se ci fosse stato un giocatore anche leggermente più tecnico di Maguire, anche Garnacho che gli era alle spalle, probabilmente adesso staremmo parlando di una partita diversa, ma Zirkzee non ha fatto davvero nulla per aiutarlo, facendo rimbalzare il pallone a terra senza che ci fosse davvero bisogno.
Come ha notato Daniele Manusia, è stata una situazione per certi versi speculare all’Ozil bounce che poche ore dopo Leao ha utilizzato (forse intenzionalmente) per superare la scivolata di Bisseck e servire Abraham da solo davanti la porta vuota, alla fine della finale della Supercoppa italiana contro l’Inter. Quando parliamo dell’importanza del contesto all’interno del quale si muovono dei calciatori, al modo in cui influenza la riuscita dei loro colpi, ci riferiamo proprio a questo. Leao è entrato in una squadra in cui gioca da anni e con cui ha già vinto uno scudetto, con la tranquillità di essere in ogni caso la stella intorno a cui quella squadra avrebbe continuato a girare. Zirkzee, invece, ha tutto da dimostrare in una squadra che già si sta chiedendo se non abbia buttato i suoi soldi ed è sembrato come andare di fretta di fronte a quell’opportunità di redenzione. È una questione che va oltre i cosiddetti bivi e sulla loro presunta importanza nell’indirizzare il successo di un calciatore o addirittura la sua intera carriera. Anche perché l’unico bivio significativo, quello del gol all’esordio che per alcuni dovrebbe benedire la buona riuscita di un’operazione di mercato, Zirkzee l’ha imboccato dalla parte giusta (gol vittoria nell’1-0 contro il Fulham alla prima di campionato).
Quello è stato il momento delle grandi illusioni, in cui i tifosi dello United devono aver pensato che con gli acquisti della nuova gestione INEOS le cose stavano per davvero iniziando a muoversi. Zirkzee non è stato un attaccante prolifico in Serie A ma, anche prima del suo bel gol, la sua fisicità, la sua volontà di cercare la palla e la sua capacità di connettere il gioco avevano reso lo United più pericoloso», aveva scritto speranzoso il giornalista inglese Jonathan Wilson sul Guardian dopo quel gol. Un gol bello, per di più, quasi zlatanesco: un tocco di suola su un cross a mezza altezza a deviare il pallone verso il palo più lontano.
Le cose, come sappiamo, sono andate in modo molto diverso. Zirkzee è uscito rapidamente dall’undici titolare e lo United è rimasto attorcigliato intorno alla spossante fine dell’era ten Hag. L’allenatore olandese non è mai riuscito ad esportare l’identità che aveva impresso sull’Ajax, ma nelle ultime partite della sua reggenza i “Red Devils” semplicemente non sembravano più avere una direzione. Con l’arrivo di Amorim, poi, le cose sono migliorate solo per un attimo prima di andare a farsi benedire una volta per tutte. Come sempre ci si aspettava un cambiamento immediato senza considerare le difficoltà insite in un cambio di allenatore in corso d’opera, soprattutto se a quell’allenatore è richiesto di gettare nuove basi. Un'illusione rafforzata dalla vittoria in rimonta nel derby di Manchester.
All’inizio di gennaio Maguire, che per miracolo è riuscito a convincere anche Amorim della sua utilità alla causa, in un’intervista a Sky Sport aveva avvertito che «il periodo di transizione sarebbe stato duro» perché «Amorim e ten Hag sono completamente all’opposto». E lo stesso allenatore portoghese, nella conferenza prima della sfida di Anfield, aveva ammesso di essere stato costretto a ripartire dalle basi: «Dobbiamo migliorare nelle cose semplici». In questo contesto, difficile per chiunque, Zirkzee è sembrato un costoso optional per una macchina a cui mancava il volante.
Come sempre è anche una questione di aspettative riposte nel posto sbagliato. Il Manchester United veniva da una stagione conclusa all’ottavo posto in cui le statistiche più immediate non sembravano dire tutta la verità. La squadra di ten Hag aveva chiuso con uno score difensivo tutto sommato positivo ma bugiardo (sesta difesa della Premier League avendo il quinto dato peggiore per quanto riguarda gli xG subiti), e uno offensivo apparentemente deludente: 57 gol segnati, quanto il Crystal Palace decimo, ma da appena 48 xG. L’attacco dello United, insomma, per una squadra non così generosa con le occasioni da gol, era andato di molto al di sopra le aspettative, e parte del merito era anche del vituperato Rasmus Hojlund, autore di 10 gol senza rigori (capocannoniere della squadra insieme a Bruno Fernandes) da 7.83 xG.
Ovviamente questo non significa che Hojlund abbia avuto una stagione del tutto positiva - d’altra parte chi tra i giocatori dello United può dire di aver avuto una stagione positiva? - ma l’idea che la squadra di ten Hag avesse un disperato bisogno di colmare un vuoto davanti non era del tutto fondata. Il problema è che lo United sembra non aver fatto nemmeno questo tipo di ragionamenti e si sia mosso (come spesso gli accade) seguendo coordinate più legate alla sua stessa mistica. In questo senso, sembra che abbia comprato Zirkzee più per l’idea che si era fatto di lui - un attaccante raffinato dai colpi estemporanei che riempisse il vuoto immaginifico che hanno lasciato i grandi attaccanti del suo passato - che per reali esigenze di campo. Dove tra l'altro, con due attaccanti opposti per caratteristiche a contendersi la stessa maglia, si è creato un rompicapo tattico che ancora oggi non è stato risolto.
Ora, non dico che questa idea fosse del tutto sbagliata, ma di sicuro Zirkzee non è sovrapponibile a figure come Cantona o Andy Cole. In Serie A quasi tutti i suoi gol sono arrivati da dentro l'area di rigore, a finalizzare azioni corali, in una squadra che tra l'altro non produceva così tante occasioni da gol (ha chiuso la stagione solo al settimo posto per xG creati in Serie A). È un fraintendimento che riguarda tutto il Bologna della scorsa stagione e che ha già sottolineato Emanuele Atturo in questo pezzo. Una squadra rimasta nella memoria collettiva per la spettacolarità del suo gioco, ma che in realtà era basata soprattutto sul controllo difensivo, sul contenimento dei rischi. E se è vero che Zirkzee, la sua punta di diamante, era la variabile senza la quale questo sistema diventava troppo rigido e prevedibile, è anche vero che il suo repertorio di appoggi, sponde e veli si giocava molto lontano dalla porta ed era funzionale a questo gioco estremamente codificato. Per esempio legando il gioco a sinistra per isolare Ndoye a destra. Oppure venendo incontro, e giocando a uno, massimo due tocchi per inclinare il campo per gli inserimenti in profondità di Ferguson. Ovviamente non è un caso che Thiago Motta abbia provato, e a quanto pare stia continuando a provare, a portarlo alla Juventus, dove con un attaccante come Vlahovic non sta riuscendo a costruire un sistema altrettanto efficace.
In una squadra che settimana dopo settimana ha perso ogni coordinata tattica, quindi, Zirkzee ha dimostrato di essere tutto fuorché un attaccante autosufficiente. La fase di possesso dello United, spesso impaurita e ansiosa come ammesso dallo stesso Amorim, non gli ha permesso di connettersi con i suoi compagni. E contro le squadre che costringevano lo United a lanciare lungo con il pressing alto si è dimostrato troppo leggero nel difendere la palla spalle alla porta e troppo debole nei duelli aerei, per provare almeno a risalire il campo con qualche spizzata (con solo il 36% di duelli aerei vinti è il nono peggiore attaccante della Premier League con almeno 600 minuti di gioco; Hojlund è addirittura il terzo peggiore: 22%).
Costretto a risalire il campo quasi da solo, Zirkzee ha dimostrato il lato peggiore del suo gioco: evanescente nei dribbling (gliene riescono appena il 36%, uno dei peggiori dello United) e confuso in rifinitura, è attualmente quello con l’on ball value (la statistica di StatsBomb che calcola il “valore aggiunto” di ogni singolo calciatore) più basso sui passaggi, che se ci pensate è paradossale se pensiamo a che giocatore sia in teoria. Soprattutto, Zirkzee è sembrato scollegato dal resto dei compagni, qualcosa per cui ha una colpa molto relativa in una stagione come questa, ma che per il suo gioco si è rivelato mortale. Proprio nella partita da cui sono partito in questo pezzo, contro il Newcastle, Amorim ha provato a risolvere il problema di avere due attaccanti praticamente opposti per caratteristiche mettendoli uno dietro l’altro, in un 3-4-2-1 in cui Zirkzee agiva di fatto da trequartista. E il risultato è stato disastroso, con una serie di incomprensioni che ci hanno ricordato una verità banale ma che parlando di calcio tendiamo a dimenticarci in fretta, e cioè che ci vuole tempo per essere davvero in sintonia.
Il problema è che lo United sembra incarnare tutte le derive peggiori del calcio contemporaneo, che a parole chiede tempo per tutti ma che nei fatti non ha tempo per nessuno. Amorim per adesso sembra deciso a tenere Zirkzee a Manchester, e sarà interessante vedere come procederà la sua crescita accanto all'evoluzione della squadra con il tecnico portoghese, ma in questo tipo di faccende gli allenatori sembrano ormai avere un peso relativo. Se tra qualche mese si presenterà l'occasione di prendere un nuovo attaccante in rampa di lancio per un'altra manciata di milioni di euro, chi avrà voglia di aspettare Joshua Zirkzee?