La prima volta che ho scritto di Juan Martín del Potro risale al 2015, un profilo pubblicato qui dove raccontavo i tanti infortuni che hanno condizionato la sua carriera. C'era un'illustrazione di Mariachiara Di Giorgio che raffigura del Potro come un gigante che affiora dall'oceano, sul volto un sorriso dolce, gli occhi chiusi. Nel disegno nuvole nere riempiono il cielo, alcune passano davanti al suo viso, le palme sulla vicina terraferma scosse dal vento e una tromba d'aria che avanzava minacciosa dall'orizzonte lontano. Una barca piena di tifosi naviga a fatica verso la sua figura enorme, in lontananza due tennisti camminano sulle acque, indifferenti. Davanti a lui due palline e una racchetta galleggiano, come alla deriva.
Sette anni dopo, e a qualche giorno dal suo addio al tennis dopo l'ennesimo rientro fallito, la carriera di del Potro potrebbe ancora essere riassunta in quell'illustrazione: grande cuore (il suo), grande amore (per lui), ostacoli insormontabili e un circo tennistico che, crudele, prosegue lasciandolo indietro. E anche il mio articolo di allora, in fondo, già lo commemorava come qualcuno che ormai aveva dato, che sì provava a continuare ma che era destinato ad arrendersi. Segnato dalla sua fulminante vittoria nell'US Open del 2009 a soli vent'anni, lo abbiamo sempre riportato a quello che non è potuto essere dopo, come un artista la cui opera prima fa impallidire quello che è seguito. Povero Delpo, dicevamo, quante cose avrebbe potuto fare.
Foto di Clive Brunskill/Getty Images.
Eppure, dal 2015 di cose ne ha fatte: non proprio quell'anno, in cui ha giocato solo quattro partite, bloccato dal polso sinistro. Ma dal 2016 al 2018 ha potuto giocare con una certa continuità: in quei tre anni ha vinto una Coppa Davis, quattro dei suoi 22 titoli complessivi e ha giocato altre sei finali, tra cui quella del torneo olimpico a Rio de Janeiro del 2016 in cui ha perso contro Andy Murray (dopo aver battuto sia Djokovic che Nadal), portando a casa la medaglia d'argento dopo il bronzo di Londra 2012. Nel 2017 arriva in semifinale agli US Open (dopo aver battuto Roger Federer nei quarti), nel 2018 vince Indian Wells (in finale con Federer), arriva in semifinale al Roland Garros e perde ai quarti a Wimbledon contro Nadal dopo una partita spaventosa finita al quinto set. A settembre torna in finale all'US Open e lì perde contro Djokovic, come tutti del resto. Quell'anno raggiunge anche il suo miglior ranking con la terza posizione mondiale, risultato incredibile considerando la tela di Penelope che è stata la sua classifica da un anno all'altro. Rivediamola insieme: quinto alla fine del 2009, 258 nel 2010, 11, 7 e 5 tra il 2011 e il 2013, poi 137 nel 2014, 590 nel 2015, 38 nel 2016, 11 nel 2017, 5 a fine 2018. Poi, ancora una volta, va tutto in malora.
Ottobre 2018, del Potro sta giocando negli ottavi di finale di Shanghai contro Borna Coric: sul 5-4 del primo set risponde a un servizio e torna velocemente verso il centro del fondocampo, Coric legge il suo movimento e gli fa una palla corta, prendendolo in contropiede. Del Potro prova a cambiare direzione per recuperare la smorzata e scivola a terra sul posto. Perde il set 7-5 col ginocchio destro fasciato e poi si ritira: frattura della rotula. Non si opera, comincia l'ennesima riabilitazione: dopo che finalmente i polsi avevano smesso di torturarlo, ecco il dramma del ginocchio.
Ritorna a giocare a febbraio 2019 a Delray Beach, piccolo torneo in Florida su cemento dove riprendere senza trovarsi subito davanti i fortissimi. Poi si ferma fino a maggio, dove perde al primo match sulla terra di Madrid. Continua poco dopo a Roma, perde ai quarti di finale contro Djokovic in una partita epica finita all'una di notte in cui del Potro ha avuto due match point. Va anche al Roland Garros, dove arriva onorevolmente agli ottavi di finale. Sembra tenersi sulle sue gambe, Delpo. Pochi giorni dopo cambia ancora superficie di gioco e va a prepararsi per Wimbledon sull'erba del Queen's Club, dove al primo turno incontra Denis Shapovalov. Vince il primo set 7-5, nel secondo serve in vantaggio 4-3 e 40-15, Shapovalov risponde e poi scende a rete, del Potro prova a passarlo con un rovescio lungolinea ma Shapovalov aggancia con una volée di rovescio bassa che diventa una palla corta, che magari è uscita fuori così per caso, buttando la punta della racchetta sulla palla. Del Potro corre verso la rete a recuperare, il campo è aperto, deve solo spingere la pallina dall'altra parte per andare 5-3 nel secondo set. Scivola sull'erba e cade con tutto il peso sul ginocchio destro, piegato sotto il suo metro e 98 di altezza. Vincerà quella partita pochi minuti dopo, ma non giocherà il turno successivo. Non giocherà più per 965 giorni, fino a quando la settimana scorsa è andato al torneo di Buenos Aires per salutare il pubblico e confessare che non ce la fa, il ginocchio fa ancora troppo male.
Di quella partita, persa tristemente contro Federico Delbonis 6-1 6-3, se n'è parlato e visto molto: lo stadio pieno, Gabriela Sabatini in tribuna, Delbonis che, argentino pure lui, rifila a del Potro diverse palle corte (due nell'ultimo game), con il Nostro che fatica a muoversi; poi le ovazioni per i dritti fulminanti che ancora riesce a tirare, lasciando l'avversario immobile come ai bei tempi. Infine le lacrime, prima durante e dopo la partita: prima in conferenza stampa arrivato a Buenos Aires, dove sorprende tutti dicendo che quello non era un ritorno, ma probabilmente un addio; durante la partita, sopraffatto dal calore del pubblico durante gli ultimi punti dell'incontro; poi al microfono dopo la sconfitta, in cui con la sua adorabile vocina da gigante buono dice, molto semplicemente, che il suo desiderio ormai non è giocare ma dormire senza sentire dolore. Infine il colpo di teatro che solo del Potro poteva regalarci, lui che della tenerezza ha fatto un'arte: va verso la rete in mezzo al campo e ci poggia sopra la fascia che ha indossato durante la partita, la lascia lì dopo essersi chinato a baciarla. Proprio come anni fa durante un incontro di Coppa Davis si era chinato su una farfalla che si era posata sulla sua racchetta mentre stava per servire: aveva abbassato la testa e soffiato dolcemente per farla volare via.
Foto di Juan Mabromata / AFP / Getty Images.
Sul suo profilo Twitter, pochi giorni prima delle lacrime aveva postato delle fotografie del suo primo allenamento sul campo centrale di Buenos Aires, scriveva che era contento, come se non avesse ancora deciso di lasciare. Si era anche iscritto al torneo di Rio de Janeiro, che mentre scrivo è appena cominciato e da cui del Potro si è cancellato dopo la partita contro Delbonis. Quando ha capito che non poteva più andare avanti? Lo sapeva da prima, o si illudeva di poter continuare? È stato consigliato male sul da farsi, è stato curato male? Non lo sapremo mai. Da quella scivolata nell'estate del 2019 si è operato quattro volte al ginocchio destro, l'ultima a marzo 2021. Sempre su Twitter all'epoca aveva postato l'ennesima foto di lui in un letto d'ospedale, la faccia intontita, la mano col pollice alzato e la gamba imbracata.
Le fotografie di del Potro operato, accompagnate da suoi messaggi di speranza (qui aveva scritto "La definitiva", riferendosi all'operazione), ci hanno fatto compagnia negli anni, come quelle col suo terranova gigante - tenero come lui - oppure quelle in cui ritornava sul campo dopo la riabilitazione, mimando timidamente i primi colpi, la palla che partiva come un proiettile anche se la toccava appena. Ci sembrava che del Potro sarebbe sempre tornato, per completare la storia che a pezzi sparsi stava disegnando negli anni. Tutto ricucito e rattoppato, ma sempre in grado di riprendere il suo posto poco sotto - praticamente accanto - ai più forti.