Quando ha scelto di lasciare l’Inghilterra, a diciassette anni appena compiuti, gli è stato promesso che lo avrebbero fatto migliorare e che nel giro di due anni sarebbe stato convocato in Nazionale. Lui, invece, ci ha messo quattro mesi, e non c’è molto che lo staff tecnico del Borussia Dortmund possa aver fatto per prendersene il merito. Jude Bellingham è stato il più giovane esordiente del Birmingham che lo ha formato, poco più di un mese dopo aver compiuto sedici anni, poi è stato il diciassettenne più costoso al mondo quando il Dortmund lo ha pagato 25 milioni di sterline. Poco dopo è diventato il giocatore inglese più giovane a esordire in Champions League, nella sconfitta contro la Lazio per 3-1, e prima di compiere diciotto anni il più giovane in assoluto a esordire in un Europeo, subentrando al posto di Harry Kane a dieci minuti dal termine nella prima partita del girone contro la Croazia (record durato appena sei giorni, prima che esordisse Kacper Kozłowski con la Polonia, di quattro mesi più giovane).
L’idea iniziale dello staff del Borussia Dortmund era quella di introdurlo con calma e dopo la pausa invernale, ma Lucien Favre, il tecnico che lo ha accolto in Germania, lo ha schierato nell’undici titolare fin dalla prima giornata. E Bellingham lo ha ripagato con il suo primo assist in Bundesliga, che è stato anche il primo gol della stagione passata del Borussia Dortmund (nella vittoria per 3-0 contro il Borussia Mönchengladbach) e il primo gol di Giovanni Reyna nel campionato tedesco.
Nel gol di Reyna è rintracciabile la qualità meno allenabile di tutte - anche se potenzialmente accrescibile, con l’esperienza - tra quelle in dote a Jude Bellingham: l’elasticità atletica, tecnica e cognitiva. La palla che gli arriva al limite dell’area dopo un rimpallo era una “pallaccia”, con due uomini addosso e nessun buco dove muoversi. Oltretutto, per controllarla aveva dovuto estendere la gamba sinistra e nel momento in cui recupera l’equilibrio stava già per perderla. Il talento di Bellingham, però, gli ha fatto controllare la palla ruotando verso la porta avversaria, e gli ha permesso anche di vedere il taglio di Reyna dietro il difensore e di servirlo con grande fluidità con una stoccata di destro. La finalizzazione di Reyna è eccezionale, d’accordo, ma questa piccola giocata istintiva rappresenta bene la capacità di Bellingham di trovare sempre spazi per far avanzare il pallone lungo il campo. Da una parte all’altra del campo, fino alla riga di fondo.
«Penso si veda nel modo in cui gioco che ho guardato molte partite», ha detto Bellingham al Guardian, riferendosi agli anni passati a guardare il padre (di professione poliziotto) giocare nel campionato dilettanti della sua zona, dove pare abbia segnato più di 700 gol. E forse è davvero questo tipo di esperienza assunta per osmosi, attivando tutti i propri neuroni a specchio, che gli ha permesso di arrivare così pronto all’appuntamento col calcio che conta.
A proposito di carattere.
Si potrebbe quasi dire che abbia seguito le tracce di Jadon Sancho, che come lui ha lasciato l’Inghilterra per il BVB da giovanissimo - anche se Sancho ha lasciato il City, mentre Bellingham doveva comunque muoversi verso l’alto - e alla fine lo abbia raggiunto e superato, nel senso che oggi come oggi tra i due è un calciatore più maturo lui.
Ma è ridondante parlare della maturità di Jude Bellingham. Che ha fatto sì che anche Edin Terzic, l’allenatore subentrato sulla panchina del Borussia a dicembre 2020, gli abbia fatto iniziare quasi tutte le partite più importanti della scorsa stagione (compresi ottavi e quarti di finale di Champions League); mentre in quella tuttora in corso Marco Rose gli ha fatto giocare meno minuti solo di Akanji, facendolo partire sempre titolare, senza eccezioni. Parliamo, cioè, di un ragazzo di diciotto anni con più di cento partite con la squadra di club e una medaglia d’argento vinta all’Europeo (anche se lui è tra quelli che se l’è subito tolta, dopo la finale).
«Fa un po’ spavento, a dire la verità, constatare quanto stia già facendo bene», ha detto l’ex calciatore della Nazionale ghanese, nato in Germania, Otto Addo, oggi nello staff di Marco Rose, a The Athletic. I suoi allenatori parlano di come è stato cresciuto, della sua educazione - la madre vive con lui in Germania mentre il padre è rimasto in Inghilterra con il fratello Jobe, anche lui nelle giovanili del Birmingham, già convocato in prima squadra quando aveva quindici anni (e se avesse esordito avrebbe battuto il record di precocità del fratello) - ma anche della sua sicurezza, della capacità di scrollarsi di dosso gli errori e migliorare. Lui, sempre ricordando gli anni passati a guardare il padre giocare ha detto: «Quello stile da campionato amatoriale, la durezza e la grinta necessari, si riflettono nel mio stile». Più in generale è il rilievo umano dei genitori, entrambi lavoratori e stimati nella loro comunità, ad ispirarlo: «I loro insegnamenti sono utili nella vita privata e sociale, ma anche nel calcio: non darsi mai per vinti, lavorare duramente e sgobbare per ottenere quello che desideri».
Ma quanto si può imparare semplicemente guardando? O seguendo l’esempio civico dei propri genitori? Ovviamente quella di Jude Bellingham è una mezza verità, perché c’è troppa naturalezza nel suo modo di stare in campo, ma è vero che guardando le sue partite nella singola stagione trascorsa in Championship, tra i sedici e i diciassette anni, l’impressione non è quella di un ragazzo “che gioca come un veterano”, come si dice di solito, ma proprio di un ragazzo che non è un ragazzo.
(Che poi è il complimento che ha fatto Pogba ad Aurelién Tchouaméni, un altro giovanissimo centrocampista - che comunque ha due anni e mezzo più di Bellingham, e che per certi aspetti è simile a lui anche se i loro stili di gioco sono diversi e complementari, Tchouaméni è soprattutto un fenomeno difensivo - dopo il suo esordio con la Nazionale francese: a quanto pare non c’è complimento migliore per un ragazzo, nel mondo del calcio, di dire che non è un ragazzo).
Jude Bellingham ha sempre avuto - e con sempre intendo almeno da quando ha sedici anni, da quando cioè gioca con i professionisti ed “esiste” su un piano pubblico - un’intensità atletica e una concentrazione superiore a quella di quasi ogni altro giocatore in campo. Il che lo ha aiutato ad adattarsi nel campionato tedesco. I suoi allenatori al Dortmund, anzi, hanno detto di avergli dovuto insegnare a non tentare l’entrata subito, una volta a contatto con l’uomo, a non cercare di recuperare subito palla ma, magari, aspettare il secondo tocco dell’avversario prima di affondare il tackle. Non ci sono molti calciatori di diciassette anni fisicamente pronti per il calcio tedesco, Bellingham era addirittura troppo aggressivo.
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Lo scorso 3 novembre, nella partita di ritorno con l’Ajax, poco dopo l’espulsione di Hummels, Belligham si procura il rigore del momentaneo vantaggio mettendo pressione a Lisandro Martinez, forzandolo all’errore, e poi portando palla in area di rigore dove ha subito fallo.
Jude Bellingham è un giocatore facile da apprezzare e basta vedere qualche sua partita per notare le sue qualità atletiche e mentali, che diventano anche armi tattiche in un gioco verticale come quello del Dortmund, ma i numeri aiutano a mettere in proporzione il suo talento, a misurare il volume del suo gioco. Dopo Rani Khedira (fratello minore di Sami e centrocampista dell’Union Berlin), in questo scorcio iniziale di stagione è il giocatore in Bundesliga ad aver portato più pressioni sui giocatori avversari, è quello in assoluto ad aver subito più falli - perché è molto difficile togliergli palla per come usa le leve lunghe in protezione.
E secondo i dati Statsbomb, nell’ultimo anno, solare solo il 4% di tutti i centrocampisti, di quelli che per convenzioni vengono considerati i cinque principali campionati europei, ha portato più pressioni nell’ultimo terzo campo di campo (96esimo percentile); e solo il 3% ha vinto più tackle di lui, sempre considerando il terzo offensivo del terreno da gioco (97esimo percentile). Sono numeri che diventano meno eccezionali (comunque di alto livello) se si scende nella zona mediana del campo, proprio a dimostrare che non è tanto il talento difensivo di Bellingham a fare la differenza ma il suo approccio aggressivo, il suo calcio intenso e asfissiante.
Se frasi come «siamo difensori che attaccano, attaccanti che difendono» (il motto sui muri della vecchia Masia de Can Planas) o l’idea che nel calcio contemporaneo fase offensiva e difensiva si compenitrino, possono sembrare astrattezze filosofiche, giocatori come Bellingham ne sono la rappresentazione in carne e ossa. La sua costante pressione, a tutto campo, è un piccolo tutorial di come si difende oggi nel calcio d’élite: con grandi letture tattiche, provando ad anticipare (è nell’1% dei migliori centrocampisti per intercetti, un dato che anche da solo sarebbe assurdo per un diciottenne) accorciando la distanza e restringendo la distanza dalla palla il più possibile, soprattutto in fase di difesa posizionale.
La sua intelligenza si vede proprio considerandone i difetti: non ha l’esplosività per difendere nell’uno contro in campo aperto, e quando capita va in difficoltà, ma capita di rado, e quando si arriva nei pressi della sua area di rigore si concentra per non lasciare spazio al tiro (è il quarto giocatore in Bundesliga, finora, ad aver bloccato più tiri avversari, gli altri tre sono difensori).
Alle sue qualità difensive, Jude Bellingham aggiunge un’efficacia in fase di possesso, e specialmente sulla trequarti avversaria, che ha pochi pari. Anzitutto in termini di presenza. Anche se non è un playmaker, uno di quei centrocampisti centrali o di quelle mezzali che toccano molti palloni, la sua mano è sempre tesa davanti al proprio piede destro, a indicare al compagno con la palla un possibile corridoio per recapitargliela. La sua abilità nello smarcarsi tra le linee per far progredire la manovra è tanto utile quanto la tecnica nei controlli orientati, la capacità cioè di ricevere palla con il corpo già posizionato in direzione della corsa successiva, o quanto le sue progressioni e i dribbling. In Inghilterra aveva già l’abilità di scrollarsi di dosso l’uomo che lo pressava alle spalle, con rotazioni rapide e impreviste, ma in Germania è migliorato nei posizionamenti, nel trovare lo spazio.
Non solo è, in questa stagione, il giocatore del Borussia Dortmund a ricevere più passaggi dai propri compagni, ma è nel 97esimo percentile (ovvero nel 3% migliore) di centrocampisti ad aver ricevuti passaggi che hanno fatto avanzare il pallone lungo l’asso verticale del campo negli ultimi 365 giorni. In parole più povere: con i suoi smarcamenti Bellingham offre un gancio, un appiglio alla manovra del Dortmund per risalire il campo. Poi, una volta in possesso, può ricorrere al proprio gioco di passaggi elementare, lucido, trasparente persino, fatto di pochi tocchi a breve distanza, sempre su linee diagonali (quando non sono cambi di campo da sinistra a destra sempre molto precisi), oppure a conduzioni palla al piede che, anche se non sono veloci, grazie alla sua resistenza e al controllo, sono comunque produttivi (è anche tra i migliori centrocampisti a portare palla in area di rigore - 89esimo percentile).
Possono sembrare piccole cose, Bellingham non è un «nano dal tocco di velcro», come il giornalista inglese Barney Ronay ha definito i centrocampisti spagnoli da Xavi e Iniesta in poi, è alto quasi un metro e novanta e la sua sensibilità nel toccare la palla è ottima ma comunque non da trequartista, non ha una visione geniale o un arsenale di passaggi da centrocampista onnipotente come De Bruyne, ma il campo da calcio può diventare una parete ripida e scivolosa senza giocatori come lui, che fanno da appiglio come le piccole prese necessarie anche agli scalatori migliori.
Qualche mese dopo aver compiuto diciotto anni ha fatto questa cosa, prendetela come la tesina per l’esame di maturità.
La sua presenza nella trequarti avversaria, poi, ha un peso specifico da calciatore d’élite. Vi risparmio le percentuali esatti ma è sempre oltre il 90esimo percentile dei pari ruolo per quel che riguarda gli Expected Goals creati (esclusi i rigori), gli Expected Assist, i tocchi in area di rigore avversaria e i dribbling riusciti. Anche in questo caso, volendo, possiamo parlare di qualità calcistiche che sembrano intrinsecamente legate a qualità caratteriali: quando arriva in area di rigore, Bellingham non mostra timidezza, anzi è lì che tira fuori il suo talento più puro per giocate fluide e naturali.
In assist come quello effettuato per Haaland contro l’Herta Berlino, o come nel passaggio per Sancho in area che poi fa l’assist per Haaland, in un’altra partita contro il Borussia Mönchengladbach, lo scorso gennaio, in uno dei tre gol di Haaland, si vede la sua capacità di anticipare la giocata cambiando passo, o in allungamento, con passaggi semplici ma intelligenti di esterno o di punta, che premiano la corsa del compagno e arrivano con un tempismo e una misura perfetti.
Ma anche in autonomia, senza l’appoggio dei compagni cioè, Bellingham è un giocatore creativo. I suoi cambi di passo, le sterzate in cui usa entrambi i piedi, prendono di sorpresa i difensori avversari, a volte anche con piccole magie, tunnel o dribbling tecnici che già dai tempi del Birmingham, gli permettevano di dribblare anche in fascia, dove la riga laterale diventa un difensore in più.
Lo scorso anno, il primo in Bundes, Bellingham ha realizzato 4 gol e 4 assist. Quest’anno siamo già a 3 gol e 7 assist (più il rigore procurato con l’Ajax e molte altre giocate utili anche se non decisive alla costruzione del gol). In questa stagione di Bundesliga solo Kimmich, Nkunku e Müller hanno creato più azioni che hanno portato al tiro (38); e dopo Muller, Nkunku e Wirtz è quello ad aver dribblato più giocatori avversari (non più dribbling in assoluto).
Insomma Jude Bellingham, per quanto stesse già giocando ad altissimi livelli, sta ancora crescendo. E se da una parte è normale, dall’altra, è appena in tempo per rientrare in tra in questa rubrica, in cui solitamente trattiamo di giovani promesse, per così dire, di cui ci innamoriamo pur mantenendo la consapevolezza della quantità di cose che possono andare storte nella carriera di un ragazzo.
La possibilità che qualcosa possa andare storto, anzi, è parte integrante del fascino che i giocatori giovani esercitano su di noi. Perché non esiste talento indistruttibile, ma la bellezza è sempre bellezza anche quando si intravede appena dietro un vetro appannato, o nel finestrino di un autobus che sta per lasciare la fermata. Esistono però ragazzi più duri e resistenti di altri e Jude Bellingham è tra questi. Il livello che ha ormai raggiunto, in club come in Nazionale, sembra metterlo al riparo da possibili avversità, anche se la vita sa sempre sorprenderci, in positivo come in negativo.
Come si è visto nel caso di un talento a lui coetaneo come Eduardo Camavinga, chiedergli troppo può diventare una specie di ricatto. Jude Bellingham ha le qualità per fare ancora di più nella trequarti offensiva, come testimonia il gol segnato all’Arminia il 23 ottobre passato, in cui ha saltato due difensori come birilli e poi ha scavalcato il portiere con un tocco sotto di sinistro (il suo piede debole in teoria) delicato e sensibile. Può dribblare, può calciare da fuori, può mettere cross e filtranti pericolosi, ma è soprattutto un giocatori di sistema, adatto a un certo tipo di calcio.
Bellingham avrà bisogno di un sistema come quello del Borussia, aggressivo e in continuo movimento, che per le sue qualità e il suo stile se i compagni che lo circondano non corrono, o corrono male, o non sanno dargli il pallone giusto quando è lui a muoversi nello spazio, sul breve come sul lungo, allora le sue possibilità - ma verrebbe da aggiungere: quelle di qualsiasi calciatore - si riducono.
La sola cosa che possiamo augurargli, quindi, è di continuare a giocare in squadre, e con allenatori, che immaginano un calcio aggressivo e verticale come piace a lui. Ed è il solo augurio possibile perché tutti gli altri traguardi o li ha già raggiunti o sono alla sua portata.