Con l’andata e il ritorno distanti tra loro di quasi due mesi, le semifinali di Coppa Italia sono servite in primo luogo a farci a mettere a fuoco quanto sia cambiata la nostra percezione delle squadre in gioco in tutto questo tempo. Mai come in questa stagione i nostri giudizi ci sono apparsi fragili e illusori. Il 2 marzo, quando si è giocata Fiorentina-Juventus, la squadra di Allegri veniva da una striscia di 17 risultati utili consecutivi (interrotta solo dalla sconfitta con l’Inter in Supercoppa) e sembrava poter rientrare miracolosamente nella corsa Scudetto, con il primo posto distante 7 punti, mentre quella di Italiano era stata appena battuta dal Sassuolo e sembrava aver perso la spinta della prima parte di stagione. Ieri, nonostante la distanza tra le due squadre si sia ridotta di un solo punto (era a 8 oggi a 7), i ruoli si erano però ribaltati e, con le quattro vittorie su sei partite giocate in campionato tra le due semifinali, era la Fiorentina ad assomigliare la squadra più in grado di poter fare un miracolo, in questo caso rientrare nella corsa al quarto posto, e proprio ai danni della Juventus, vista la partita in meno e lo scontro diretto previsto all’ultima giornata. La semifinale di Coppa Italia, in questo senso, somigliava a una sorta di trailer in vista del rettilineo finale in campionato.
La Juventus veniva dallo strano pareggio contro il Bologna allo Stadium, una partita in cui aveva sofferto moltissimo il pressing alto della squadra di Mihajlovic e dove aveva subito gol dopo una ricezione tra le linee letta malissimo da de Ligt, il cui movimento in avanti fuori tempo aveva liberato Arnautovic dentro l’area. Sembravano segnali preoccupanti in vista della Fiorentina, una delle squadre più aggressive in Serie A nel recupero alto e che con Arthur Cabral ha aggiunto un uomo abile tra le linee a ricevere spalle alla porta. Anche Allegri sotto il solito sorriso sornione sembrava preoccupato, riconoscendo il valore della Fiorentina, «una squadra che per 70 minuti riesce a tenere un buon ritmo». Le sue parole sono sembrate un riflesso della strategia della Juventus, che è scesa in campo alzando subito il ritmo e il pressing, forse nella speranza che la squadra di Italiano sarebbe calata nel secondo tempo.
Lo strano 4-4-2 scelto da Allegri, con Danilo tra i due mediani insieme a Zakaria (anche per via dell’assenza di Arthur che, come ha detto Allegri, «è morto»), e Rabiot e Bernardeschi a fare da “false ali”, mal si accoppiava con l’usuale 4-3-3 della Fiorentina, che come al solito portava tantissimi uomini sopra la linea della palla a cercare le ricezioni nei mezzi spazi. Con i due attaccanti, inizialmente Vlahovic e Morata, impegnati sui due centrali avversari, per esempio, chi doveva salire a prendere il vertice basso Torreira? Allo stesso modo, con le due mezzali viola altissime a minacciare lo spazio tra centrale e terzino avversario, chi doveva sganciarsi per andare a prendere Cabral, che scendeva sulla trequarti fin dentro il cerchio di centrocampo?
La struttura della Juventus costringeva i suoi giocatori a letture molto complesse senza il pallone e in controluce, visto che la Fiorentina nel primo tempo secondo i dati di StatsBomb ha prodotto appena 0.12 Expected Goals, le qualità di alcuni dei suoi giocatori. Danilo, in particolare, ha ripagato le belle parole che in quasi ogni intervista Allegri spende per lui («una sorpresa meravigliosa, un campione, un ragazzo molto intelligente, responsabile e che si mette sempre a disposizione della squadra», aveva dichiarato nella famosa intervista a GQ a fine marzo) con una prestazione magari poco appariscente ma di uno spessore tattico impressionante. Il difensore brasiliano, schierato ieri da regista nascosto, doveva alternarsi con Zakaria nell’andare a prendere alto Torreira, e poi, se la Fiorentina riusciva a superare la prima linea di pressione (cosa che faceva spesso), ripiegare in mediana per un ulteriore lavoro supplementare: assorbire i tagli delle mezzali o delle ali viola nel caso in cui riuscissero a scappare nello spazio tra centrali e terzini, agganciarsi davanti a Bonucci e de Ligt in caso di cross dagli esterni, uscire prontamente per ripulire l’eventuale palla respinta dalla difesa o per stoppare un tiro dalla distanza. Danilo ha fatto tutto questo senza la minima sbavatura mentre la pressione della Fiorentina saliva intorno a lui di minuto in minuto e, se questo non bastasse, si è dimostrato anche un maestro nei controlli orientati e nella protezione della palla con il corpo, guadagnando diversi falli preziosissimi in fase di recupero della seconda palla.
Oltre a segnare la rete finale, Danilo ieri ha vinto tutti i duelli difensivi che ha ingaggiato (due contrasti e due intercetti) e ha innescato la transizione che ha portato al primo decisivo gol di Bernardeschi con una palla recuperata su Ikoné. L’azione è un piccolo bignami dell’intera partita. Dopo una fase di attacco posizionale, la Fiorentina arriva a destra da Ikoné ai limiti dell’area di rigore portandoci dentro contemporaneamente altri cinque giocatori. Il giocatore francese potrebbe scaricare facilmente a destra per Venuti, ma si fa ingolosire dalla densità in area e prova ad aprirsi un varco rientrando sul sinistro. Rabiot lo capisce in anticipo e gli sporca il pallone con la punta, ma ancora prima si può vedere Danilo staccarsi dalla propria linea difensiva dentro l’area per partire a intercettare la sua corsa. Quella frazione di secondo d’anticipo gli permetterà di arrivare come un treno a tagliargli la strada e di verticalizzare immediatamente per Vlahovic.
Qualche parola va spesa anche per Rabiot, ieri impeccabile difensivamente soprattutto nel coprire con le sue diagonali lo spazio alle spalle del centrocampo (dietro Alex Sandro, il migliore della Juventus per numero di duelli difensivi vinti: sei). In un contesto meno strutturato il centrocampista francese sta rinascendo e oggi è più difficile discuterne il valore come veniva fatto ancora nella prima parte di stagione.
L’azione, di converso, mostra anche i limiti strutturali della Fiorentina, che nella sconfitta di ieri ha pagato innanzitutto scelte frettolose nell’ultimo quarto di campo. Oltre all’inserimento di Martinez Quarta per Milenkovic (infortunatasi all’ultimo momento), la più grande novità dell’undici titolare della Fiorentina introdotta da Italiano era proprio Ikoné nell’inusuale ruolo di mezzala destra, anche se spesso e volentieri si scambiava di posizione con Gonzalez, formalmente il “vero” esterno destro. Forse Italiano sperava di creare superiorità sulla trequarti con uno dei suoi dribbling, ma Ikoné in quella posizione in realtà è stato un’arma a doppio taglio. Sempre un po’ in imbarazzo a ricevere spalle alla porta, l’ala francese ha speso sempre troppi tocchi per controllare il pallone e non è mai riuscito a servire il compagno che si inseriva nello spazio alle sue spalle. Per giocare con profitto in quella posizione ci vuole un primo controllo al velcro e un grande tempismo nei movimenti senza palla, e Ikoné non ha dimostrato di avere nessuna delle due cose. C’è da dire che le poche volte che è riuscito a inserirsi bene alle spalle della difesa avversaria i suoi compagni a loro volta non si sono dimostrati all’altezza di ciò che richiedeva Italiano, che secondo il bordocampista di Mediaset a un certo punto si è girato verso la sua panchina e ha detto: «Perché non fanno quello che gli avevo detto?».
Nell’immagine qui sopra per esempio Ikoné si inserisce bene nello spazio creato dall’uscita un po’ azzardata di de Ligt su Gonzalez ma Torreira non ha il coraggio di servirlo e si rifugia in una facile linea di passaggio orizzontale per Biraghi. Senza la possibilità di passare per le vie centrali, la squadra di Italiano si è incaponita in una rete fittissima di cross dalla trequarti e dagli esterni. L’area, però, è il regno di de Ligt e Bonucci, e la Fiorentina lì non è mai riuscita a sfruttare la superiorità numerica cercata.
C’è da dire anche che il dominio con il pallone della Fiorentina, visto soprattutto nel secondo tempo in cui la Juventus ha volutamente abbassato il baricentro (subendo però molto di più: nel secondo tempo la squadra di Italiano ha creato 0.71 Expected Goals) sembra sempre poggiarsi su un equilibrio fragilissimo. I Viola lasciavano costantemente Igor e Martinez Quarta in due contro due con Vlahovic e Morata, e soprattutto non sono mai stati precisi nelle marcature preventive, subendo diverse transizioni molto pericolose. Soprattutto l’attaccante serbo non sembra essere nel suo momento migliore e ieri ha buttato via almeno un paio di situazioni di superiorità numerica nella metà campo avversaria con scelte imprecise e decisioni poco felici. Non è un caso se Fiorentina e Juventus in campionato sono agli antipodi soprattutto per un dato, quello degli Expected Goals per tiro concesso: la squadra di Italiano è quella che ne subisce di più, quella di Allegri invece fa peggio solo dell’Inter (dati di Alfredo Giacobbe).
Al 13', per dire, su una palla nemmeno così complessa data in verticale da Bonucci a Rabiot, la Fiorentina si è subito ritrovata in tre contro due a centrocampo, e deve ringraziare solo l’indecisione di Morata sulla trequarti se alla fine non ha subito gol.
Forse però il dettaglio più crudele di questa partita è proprio che la Juventus ha deciso di graziare la Fiorentina in ogni singola occasione, come se sapesse che si stesse per fare male da sola. Anche se il calcio cambia le nostre valutazioni e il tempo al suo interno sembra scorrere molto più velocemente, ci sono alcune cose però che sembrano immutabili, scogli fermi di fronte ai flutti delle onde. Una di queste è l’istinto suicida della Fiorentina contro la Juventus, che aveva vinto i due precedenti di questa stagione tra campionato e Coppa Italia con un autogol avversario all’ultimo minuto. In questa partita la squadra di Italiano ha fatto forse persino di peggio, spezzandosi le gambe da sola con un’uscita incomprensibile di Dragowski e un rinvio di testa ancora più assurdo di Biraghi, che anche a rivederlo mille volte sembra davvero intenzionato a servire Bernardeschi dentro l’area.
C’è una crudeltà sadica in questi momenti che risalta ancora di più di fronte al lavoro incredibile fatto quest’anno di Italiano, un allenatore metodico e ossessivo che a vederlo da fuori sembra stia sempre assistendo alle partite dentro una prigione mentre la realtà davanti ai suoi occhi va esattamente al contrario di come vorrebbe. La differenza rispetto alla storia recente della Fiorentina c’è ed è quella di avere la possibilità il 21 aprile di sperare ancora in un miracolo insensato. Italiano dovrà sperare di ritrovare lo spirito di Napoli, dove la sua squadra invece era sembrata fredda sotto porta come forse non lo è mai stata quest’anno, e sperare che il caso non gli stia tirando un brutto scherzo un’altra volta. All’ultima giornata, tra un mese esatto, c’è Fiorentina-Juventus che, chissà, magari potrebbe essere più decisiva di quanto oggi non sembri. Magari, pensando a questa possibilità, a Massimiliano Allegri scappa un sorriso.