Juventus-Milan in questa stagione non è stata mai una partita spettacolare, anche se sul piano narrativo i precedenti avevano avuto risvolti considerevoli. La gara d’andata di campionato è stata una delle partite più brutte della storia recente della Serie A, qualcosa di memorabile a suo modo, che aveva certificato la fase di stagnazione di entrambe le squadre. La semifinale di Supercoppa, invece, aveva espresso tutte le fragilità dei bianconeri, mentre il Milan, nonostante la poca brillantezza, aveva dimostrato quella capacità di rimanere in partita che caratterizza le squadre di Conceiçao. Insomma, gli ultimi due precedenti erano stati un buon termometro per valutare le difficoltà di entrambe le squadre e la loro emotività.
Due progetti fermi all’apparenza in un punto simile, come dimostrava la classifica, con entrambe le squadre fuori dalla zona Champions, a tre lunghezze di distanza in favore della Juve. Uno scontro diretto in questo tornante del campionato, insomma, poteva avere un forte peso nella corsa ai primi quattro posti.
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Forse per questo Thiago Motta, forte del fattore campo e delle sensazioni positive della partita contro l’Atalanta, ha optato per una formazione più audace del solito. Se, rispetto alla gara del Gewiss Stadium, la difesa è rimasta per tre quarti la stessa, con Kalulu e Gatti davanti a Di Gregorio, e Cambiaso terzino sinistro, dall’altro lato, però, non c’era Savona ma McKennie, un cambio che ha dato una dimensione più offensiva alla catena di destra. L’arretramento del texano ha fatto sì che davanti a lui, in attacco, si sistemasse Yildiz, con l’ingresso di Mbangula a sinistra e Nico González punta.
Conceiçao ha risposto con una formazione più accorta, ripescando Bennacer come interno destro insieme a Fofana e Reijnders. Il fatto di aver inserito l’algerino ha permesso di dirottare un centrocampista come Musah da ala destra, in un attacco completato da Leão sulla sinistra e da Abraham centravanti.
Nel marzo del 2021, sulla panchina del Porto, in Champions League, Conceiçao allo Stadium aveva offerto una delle dimostrazioni più tangibili delle sue qualità da allenatore con una prova di resistenza e di attitudine difensiva estreme. E forse ricordando quella partita, anche sabato, in un momento complicato anche per via di infortuni e squalifiche (fuori tre titolari come Morata, Pulisic e Thiaw, oltre a Chukwueze), il tecnico portoghese avrebbe voluto puntare sulla solidità difensiva per colmare il gap - soprattutto di conoscenza reciproca tra giocatori e allenatore - con la Juventus. Alla fine, però, la partita ci ha detto che le due squadre al momento non sono sullo stesso livello. La Juventus è stata migliore sotto tutti i punti di vista e il Milan non ha risposto nemmeno con lo spirito che gli aveva permesso di rimanere a galla in Arabia Saudita, sfaldandosi completamente alle prime difficoltà.
Dopo una prima parte di gara tutto sommato equilibrata, in cui il Milan aveva delle idee su come muovere la palla e ha anche avuto le occasioni più importanti, la Juventus ha preso stabilmente in mano l’incontro e nel secondo tempo ha capitalizzato il suo dominio.
Che la Juventus avesse studiato soluzioni specifiche per affrontare i rossoneri è parso abbastanza chiaro. Lo ha dimostrato, ed esempio, la scelta di schierare McKennie sulla destra.
Con il Milan che si sistemava in un blocco medio e scivolava verso il lato della palla, la Juve iniziava a muovere il possesso sulla sinistra per poi tornare al centro, da Locatelli, che improvvisamente cambiava gioco verso il lato debole. Sulla destra Yildiz stringeva nel corridoio intermedio e lasciava spazio alla salita di McKennie, che in questo modo poteva ricevere il lancio in corsa o comunque con abbastanza campo per stoppare ed eseguire la giocata successiva. Nel ricevere le aperture di Locatelli l’americano è stato particolarmente preciso nel mettere a terra la palla, anche con controlli orientati quando ce n’è stato bisogno. Su quel lato, peraltro, il giocatore del Milan che avrebbe dovuto seguirlo era Leão, che per quanto si sia impegnato anche in fase difensiva non è portato ad assorbire le avanzate avversarie.
Non è stato solo McKennie, però. Anche la continuità con cui la Juve ha saputo allungare il Milan per poi imbucare alle spalle del centrocampo rivela come i bianconeri sapessero come muovere la palla. Non che fosse impresa ardua contro questo Milan. Le rare volte in cui i rossoneri hanno provato a pressare alto sono state disastrose, con poca coordinazione tra chi usciva e chi doveva fornire copertura, oppure con la difesa che non accompagnava le prime linee di pressione.
Forse anche perché consapevole di questa debolezza Conceiçao ha preferito sistemare i suoi in un blocco medio. Quello del Milan era un 4-1-4-1 o 4-5-1 in cui Fofana guardava le spalle delle mezzali Reijnders e Bennacer. Quando la Juve girava palla con i giocatori più arretrati – Locatelli di solito aiutava i centrali, anche abbassandosi in salida lavolpiana oppura alla Kroos sul centro sinistra – le mezzali a turno, a seconda del lato palla, oppure Musah se si ritrovava più vicino alla zona del possesso, dovevano alzarsi e supportare Abraham nell’infastidire la circolazione bianconera.
Anche contro il blocco medio, però, la Juve non ha avuto troppe difficoltà a trovare gli uomini tra le linee. Il Milan delle volte era passivo - altre volte, quando i giocatori si alzavano per aggredire gli avversari, si creavano delle voragini, perché la difesa rimaneva distante, e così era facile ricevere sui fianchi del povero Fofana.
Anche il Porto di Conceiçao preferiva partire con un blocco medio ma, sia che rimanesse in posizione sia che si alzasse, la squadra rimaneva corta e se subiva un’imbucata rientrava prontamente sotto la linea della palla. Nel Milan non c’è stato nulla di tutto ciò – e in generale, se nel calcio italiano si cerca l’uomo contro uomo è anche perché non c’è l’intensità per rientrare e mantenere le linee compatte quando si subiscono le imbucate.
La struttura difensiva del Milan si è rivelata debole. Evidentemente principi difensivi come quelli di Conceiçao richiedono un’applicazione che al momento non appartiene ai giocatori in rosa, forse per limiti atletici o addirittura di attitudine. Non è un caso che Conceiçao si sia preso le responsabilità per lo spirito con cui i suoi hanno affrontato la partita: «Ho avuto piccole squadre quando ho iniziato ad allenare 13 anni fa, squadre che a livello tecnico non erano granché ma che avevano una fame e una voglia incredibile. Sono io che devo cambiare atteggiamento e mentalità dei giocatori».
Il primo gol è emblematico di quanto la rosa del Milan sia distante dagli standard pretesi dal suo nuovo allenatore. C’è, ad esempio, la scarsa abitudine di Leão a partecipare alla fase difensiva che in questo caso si rivela in una cattiva lettura e in un cattivo posizionamento. Con la Juve che costruisce a destra e McKennie che si alza, il portoghese si schiaccia sulla linea difensiva come se fosse un terzino, invece di tenere la linea di centrocampo che vorrebbe Conceiçao. Quando Koopmeiners riceve da Gatti, allora, ha più spazio per controllare verso la fascia e, nonostante il rientro di Reijnders, visto che Leão è basso, la palla finisce tra i piedi di McKennie.
Leão a quel punto sale sul texano, permettendo a Koopmeiners di sovrapporsi alle sue spalle. McKennie, in questo modo, può servirlo sulla corsa.
Nel frattempo Koopmeiners rientra sul sinistro e sul lato opposto Bennacer non è ancora rientrato sotto la linea della palla, nonostante avesse avuto tutto il tempo per farlo. Il centrocampista allora imbuca per Thuram alle spalle dell’algerino, libero di appoggiare di prima all’altro giocatore tra le linee, Nico González.
Per tutta la partita l’argentino è stato una presenza costante alle spalle del centrocampo rossonero, abile a sfilarsi e a dare continuità al gioco con gli scarichi. Un check point necessario per trovare sbocchi e coordinare gli attacchi, che Vlahović (tenuto in panchina per quasi tutta la partita di Thiago Motta) per caratteristiche non riesce a garantire.
Nico ha controllato e ha aperto per Mbangula, anche lui presenza costante, sempre pronto a dare una linea di passaggio in verticale sul fianco di Emerson. Il belga è stato audace nel tentare la conclusione di prima e fortunato nel trovare la deviazione che ha ingannato Maignan.
Il gol è arrivato a coronamento del periodo di maggior dominio della Juve, che nel secondo tempo ha anche soppresso ogni velleità offensiva del Milan. Se a inizio gara i rossoneri avevano trovato qualche soluzione interessante, cercando di portare fuori posizione i difensori che seguivano i riferimenti a uomo e di imbucare per le mezzali che si muovevano alle spalle dei proprio marcatori (Koopmeiners e Thuram), nella ripresa la retroguardia di Motta non ha corso nessun pericolo. Certo, il Milan ci ha messo del suo, commettendo sbavature tecniche in momenti decisive, quando c’era la possibilità di ripartire. La Juve, però, ha anche alzato il livello dell’agonismo, in una partita in generale dominata dal punto di vista atletico, come ha sottolineato Kalulu in conferenza stampa: «Vinciamo tanti contrasti, seconde palle e alla fine nel calcio si può parlare di tante cose ma i duelli sono la cosa più importante e da questo punto di vista abbiamo fatto un salto».
Il fatto di avere più uomini a disposizione e la fiducia conquistata grazie alla partita con l’Atalanta deve aver aiutato la Juve. I bianconeri sono stati inappuntabili per disponibilità al sacrificio. In un sistema fortemente orientato sull'uomo hanno avuto l'intelligenza di capire quando lasciare il riferimento per dare una mano in raddoppio o con una corsa all’indietro. Il secondo gol è nato anche da questo atteggiamento.
Su una pressione alta del Milan, Kalulu ha provato a verticalizzare ma Fofana ha intercettato. Nico Gonzalez è immediatamente rientrato è rientrato su di lui, aggiungendosi a Mbangula che era venuto incontro fiutando la possibilità di recuperare palla in maniera pericolosa. Il belga ha rubato il possesso e ha coperto la palla, permettendo a Thuram di impossessarsene e partire in conduzione.
La difesa del Milan, come al solito, non aveva accompagnato. L’ultima linea rossonera avrebbe potuto provare a mettere Weah in fuorigioco e invece Tomori ha deciso di assorbirne il taglio in profondità, difendendolo in area. Il difensore inglese, però, si è tenuto troppo a distanza e Weah lo ha ingannato con una finta segnando con relativa facilità.
La sconfitta per 2-0 ridimensiona le ambizioni del Milan, i cui problemi sembrano prescindere dal nome dell’allenatore. La rosa ha limiti che si ripresentano ciclicamente ormai da tre stagioni e sistemare tutto ciò a campionato in corso è un’impresa ardua, anche per un allenatore esperto come Conceiçao.
La Juve, invece, potrebbe aver scollinato il periodo più difficile, e le sue nuove certezze adesso verranno subito testate in Champions League e soprattutto nella prossima sfida di campionato contro il Napoli. In una situazione di classifica che vede i bianconeri lontani tredici punti dalla vetta, sgambettare una rivale storica e un fantasma del passato come Antonio Conte potrebbe essere una soddisfazione a parte. Uccidere simbolicamente il padre della vecchia Juventus potrebbe significare farne nascere una nuova.