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Perché la Juventus ha scelto Morata
22 set 2020
Con una mossa a sorpresa, i bianconeri hanno fatto tornare a Torino l'attaccante spagnolo.
(articolo)
8 min
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Arrivato nella notte all’aeroporto di Torino, Álvaro Morata ha gli occhi lucidi e arrossati. Con addosso già la mascherina della Juventus, ritorna nella squadra in cui ha giocato per due anni, indimenticabili per lui e per i tifosi, forse anche per come si sono interrotti. L’attaccante, infatti, non avrebbe voluto lasciare la Juventus quando il Real Madrid lo ripescò facendo valere la clausola sull’accordo dopo il prestito biennale, mentre ai tifosi Morata ricorda il percorso verso la finale di Champions League del 2015.

Per la Juve è stata un’operazione di mercato sorprendente, visto che sembrava dovesse scegliere il suo attaccante tra Edin Dzeko e Luís Suárez. Le difficoltà delle due trattative hanno invece portato i bianconeri a trovare un’altra soluzione. Così, nell’arco di un giorno è stato il tentativo dell’Atlético Madrid di accontentare Simeone prendendo Suárez a cambiare le carte in tavola, perché per farlo l’Atleti doveva lasciar andare in fretta una delle sue punte. Morata, a quanto pare, non era contentissimo della sua situazione a Madrid e, a sua volta, la Juventus non ha più voluto aspettare l’evolversi delle cose tra Roma e Napoli per Milik. Alla fine il tentativo dell’Atlético per Suárez si è arenato sulla risposta negativa del Barcellona a lasciarlo andare gratis a una rivale diretta, ma intanto Morata era già a Torino.

Considerando i 10 milioni per il prestito che pagherà la Juventus all’Atlético Madrid, Álvaro Morata in carriera ha mosso con i suoi trasferimenti 205 milioni, un record per un giocatore spagnolo. Tantissimi soldi soprattutto se visti con la lente del numero di gol a stagione, solo due volte in carriera più di 15 stagionali. In tal senso Morata non ha rispettato le aspettative che si erano create per il suo evidente talento, quello che lo aveva portato a essere considerato la migliore punta uscita dalle giovanili di una squadra di Madrid dai tempi di Fernando Torres. Da quando ha lasciato per la prima volta il Real Madrid, Morata non è mai stato più di due stagioni nella stessa squadra, il che ci dice innanzitutto della sua incapacità di assestarsi come stella di un progetto di una grande squadra. I tanti trasferimenti però testimoniano anche la fiducia che viene ancora riposta nel suo talento, nell’immagine idealizzata di Morata, nella speranza che per una volta quell’immagine finisca per combaciare con la realtà.

In carriera Morata ha dato il suo meglio nel biennio tra l’ultima stagione Torino e quella del ritorno a Madrid. Per gli allenatori era quello che in Spagna chiamano “revulsivo”, cioè un giocatore da far entrare a partita in corsa per riaccenderla sfruttando le sue caratteristiche e la stanchezza degli avversari. Quando si è dovuto assumere il peso di un attacco come prima punta titolare non ha mai convinto gli allenatori che lo avevano a disposizione.

Lo scorso anno Morata doveva prendersi il posto di prima punta in un ambizioso Atlético Madrid ma ha finito per perdere il ballottaggio con Diego Costa nel post-quarantena. Adesso parliamo di un giocatore che a 27 anni sta entrando nel teorico picco della carriera per una punta e lo fa avendo pregi e difetti chiari, senza dare l’impressione di avere più margini di miglioramento. Innanzitutto è un giocatore che ama giocare in spazi grandi perché preferisce un calcio verticale, che cerca di dare profondità alla manovra, che sia ricevendo sulla corsa o partendo in conduzione. Ha un buon primo controllo, e il pallone tra i piedi non gli scotta se si muove in conduzione, ma nel gioco spalle alla porta praticamente fa solo sponde di prima e triangolazioni se non può stoppare e girarsi per la conduzione. La sua azione tipo è la sponda per poi scattare e ricevere in area il filtrante dietro la linea difensiva. In sostanza l’azione del gol più importante segnato con la maglia dell’Atlético, quello al ritorno degli ottavi di Champions League con cui ha contribuito a eliminare il Liverpool.

Il fatto che il suo gol più iconico con la maglia dell’Atlético sia arrivato in Champions League è quasi normale, visto che a questo ci ha abituato, ma che sia arrivato da una situazione di uno contro uno è particolare, perché questo è anche l’aspetto più delicato nel suo rapporto con il gol. Oltre ai numeri comunque buoni rispetto ai minuti giocati, è evidente come Morata sia un finalizzatore ondivago, nel senso che tecnicamente avrebbe tutto (praticamente ambidestro, calcia sia per piazzarla che di potenza, reattivo negli spazi stretti etc.) ma ha il grande difetto delle scelte col pallone. Un aspetto che lo rende poco affidabile come finalizzatore delle azioni in situazioni di uno contro uno, che per il suo stile di gioco aggressivo tendono a essere le più presenti.

Morata sbaglia spesso il tipo di conclusione negli uno contro uno in modo a volte quasi ridicolo, almeno per le qualità tecniche che possiede. Le sue prestazioni sembrano rispondere a logiche invisibili, certe volte sembra quasi toccato dal destino, e forse per questo finisce per risultare sia in grado di segnare gol memorabili in contesti complicatissimi sia di passare totalmente inosservato in contesti minori. Morata sembra fatto per le partite in notturna, una tradizione storica per cui sono ricordati altri grandi giocatori difficile anche da razionalizzare.

Lo stesso gioco dell’Atlético ha aiutato Morata nel lasciargli tanto campo davanti come gli piace, ma gli ha anche creato dei problemi, dandogli poche possibilità di arrivare alle conclusioni pulite, facendogli toccare pochi palloni in area. I 5,43 tocchi in area per 90 minuti della scorsa stagione non sono un numero che aiuta un giocatore umorale come lui, che rischia sempre di risentire di un’occasione sbagliata per tutto il resto della partita dal punto di vista mentale. Proprio questo aspetto del gioco di Morata è fondamentale per spiegare il suo rapporto particolare con la finalizzazione.

Lo spagnolo è un ottimo colpitore di testa, per tecnica e tempismo nel salto bisogna considerarlo tra i migliori in Europa nel fondamentale. Naturalmente anche fuori dall’area è molto efficace, vince il 50,5% dei sui duelli aerei, che per una punta è una percentuale da specialista. La sua azione preferita è proprio lo staccare al limite dell’area piccola su di un cross dal fondo dopo essere scattato da fuori area, possibilmente con un cross teso con parabola a uscire per poterla colpire verso il secondo palo. Se ha spazio in area da attaccare mentre vede il compagno pronto al cross gli è indifferente se viene da destra o sinistra, farà lo scatto e comunque arriverà a contendere il pallone, e se non viene marcato lo impatta lui e poi sta al portiere salvarla. Tre dei suoi dodici gol nella Liga sono arrivati di testa su di un cross dal fondo. Questa doveva in teoria essere la chiave di volta del suo successo nell’Atlético in questa stagione, in cui poteva contare su Trippier come terzino destro e Lodi come terzino sinistro, due specialisti nei cross a rientrare in area.

Le cose non sono però andate come dovevano andare per diversi motivi, prima di tutto la fatica dell’Atlético di assestarsi nella metà campo rivale e quindi di riuscire a portare i terzini al cross per Morata. E poi la perdita di fiducia di Simeone nelle capacità di far salire la squadra di Morata a vantaggio di quelle di Diego Costa. La vera particolarità del suo ritorno alla Juve è che i tipi di movimenti in area per arrivare alla conclusione (che lui cerca nei pressi dell’area piccola) sono simili a quelli preferiti di Cristiano Ronaldo, e non è un caso se la sua tecnica nel colpo di testa è tanto efficace come quella del portoghese, visto che è cresciuto ed è stato suo compagno di squadra.

Morata ritrova Cristiano Ronaldo, con cui ha condiviso le stagioni al Real Madrid. Rimane sempre il dubbio dell’incompatibilità del suo stile di gioco con il suo sacrificio per far brillare il portoghese. Non essendo Benzema, non gli viene naturale tutta quella serie di movimenti in zona di rifinitura per liberare l’area al compagno. Morata si muove molto ma in verticale, per creare spazio per sé e allungare la difesa avversaria, in modo e con letture molto meno sofisticate e altruiste rispetto a Benzema.

Lo ritrova in una Juventus molto diversa da quella che ha lasciato, non soltanto perché Pirlo da suo compagno di squadra è ora l’allenatore, ma perché in questi anni la squadra ha cambiato più volte guida e stile di gioco fino a risultare molto diversa dalla prima versione di Allegri. Morata è comunque un giocatore molto diverso da Dzeko, a suggerire ancora una volta come le strategia di mercato della Juventus sembrano più legate alle occasioni che alla programmazione. Provando a trasportare l’ultimo Morata visto in quello che abbiamo visto nei pochi minuti di Juventus e nelle poche parole di Pirlo, sembra un giocatore che per caratteristiche tecniche può dare profondità alla manovra alternandosi nella fascia centrale con Cristiano, e che dovrà riuscire a essere meno impreciso e verticale nelle letture per non rischiare di perdere troppi palloni associandosi col portoghese. I suoi controlli e le sue sponde poi sono dettate dalla voglia continua di arrivare in area al tocco successivo, cosa che combacia con la visione di Cristiano Ronaldo, ma che poco si sposa invece con l’idea attuale di calcio della Juventus, che vuole ordinarsi in fase di attacco posizionale invece che schiacciare l’acceleratore una volta recuperata palla nella propria metà campo.

Il rischio che Morata vada a toccare le zone di competenza di Cristiano più che assisterlo c’è. Anche perché la sua continua ricerca della profondità con e senza palla non prevede la sua presenza in area, ma il suo arrivo. Non è un attaccante che ama creare spazi con i suoi movimenti come Luís Suárez, preferisce invece arrivarci lui in corsa. Ma non è detto neanche che alla Juventus serva un giocatore totalmente coinvolto nel rendere la vita migliore a Cristiano. Può anche essere utile affrancarsi un minimo dal numero 7, soprattutto in campionato. Forse nei piani della Juve, Morata può sia essere l’attaccante che con le sue doti nei pressi dell’area piccola sblocca le partite contro le squadre che si chiudono, sia un “revulsivo” nelle partite di Champions League, sperando che la sua particolare mistica funzioni per sbloccare situazioni intricate. In questo sembra ormai specializzato e questo è forse l’aspetto che di lui ricordano con più piacere i tifosi bianconeri.

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