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Dentro la Juventus Next Gen
11 apr 2025
Reportage dalla seconda squadra della Juventus.
(articolo)
22 min
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IMAGO / ABACAPRESS
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Dalla nascita della Juventus Next Gen sono passati sei anni e mezzo, buona parte dei quali vissuti dai bianconeri come prima e unica seconda squadra del calcio italiano. È già passata un'epoca, se pensiamo che allora si chiamava Under 23. La Juve fu l’unica a rispondere subito all’apertura della FIGC per la terza categoria, nell'ormai lontano 2018. Poi, anni più tardi, l'esempio è stato seguito da Atalanta Under 23 e Milan Futuro, rispettivamente nel 2023 e 2024; e a breve si aggiungerà l’Inter, di cui si attende formalmente solo la domanda di iscrizione per la stagione 2025/26. Forse non l’adesione che la federazione si augurava per il primo decennio, o quasi, di apertura alle seconde squadre. In Germania, dove le regole in tal senso sono diverse, oggi se ne contano 19 tra terza e quarta categoria. In Spagna addirittura 24.

Nella nostra Serie C, intanto, la Next Gen ha macinato chilometri e trovato una propria dimensione. Galleggiando stabilmente a metà classifica, con fisiologici alti e bassi ma piazzandosi sempre tra la settima e la tredicesima posizione nel girone, facendo qualche esperienza nei playoff e vincendo anche una Coppa Italia di categoria. Prima ancora di tutto ciò, però, la Next Gen ha regalato un numero crescente di talenti alla prima squadra e di plusvalenze al bilancio societario: i motivi numero uno e due, o viceversa, per cui la Juve ha puntato sul progetto Next Gen.

RIFERIMENTI

Le squadre “B” portano in dote un dibattito di lungo corso sulla loro utilità, e il pubblico di Serie C ne ha contestato la legittimità. Sono state introdotte soltanto dopo il collasso del 2018. Cioè quando la Nazionale mancava l’accesso ai Mondiali in Russia e portava definitivamente sul banco degli imputati l’intero sistema; il tutto dopo un decennio in cui il modello spagnolo, con un contributo non marginale delle seconde squadre, aveva reclamato attenzione.

«In Italia è sempre difficile modificare gli equilibri consolidati, basta vedere quante polemiche accompagnano le seconde squadre quando vanno in giro sui campi», mi dice Claudio Chiellini, Head of Next Gen Area della Juventus dal 2023 «Io penso però che sia soltanto un discorso di abitudine, e spero che nei prossimi anni ne nascano altre. La verità è che la Serie B ha sempre respinto questa idea, dicendo che non avrebbe comunque voluto le seconde squadre in caso di promozione. E questo pensando, erroneamente, che sia facile per una seconda squadra vincere il campionato in C, essere pronta per la B».

«Nella loro testa probabilmente c'era l'idea che la Juventus, il Milan, l'Inter e l'Atalanta avrebbero vinto senza troppe difficoltà il campionato di Serie C», prosegue Chiellini, «finendo per trovarsi con due, tre, quattro seconde squadre in B, come successo altrove. Ma la Spagna dimostra che non è quella la direzione: Real Madrid (Castilla) e Barcellona (Atlètic) con le generazioni d'oro sono riuscite ad arrivare in seconda divisione e a rimanerci qualche anno, ma poi sono retrocesse e non riescono più a salire da tempo».

In ogni caso sui media nazionali, almeno per chi non segue da vicino gli universi Juventus o Serie C, della Next Gen si sente parlare soltanto in qualche occasione. Quando, per esempio, ci sono cessioni importanti di giovani cresciuti all’interno del progetto, come visto nelle ultime sessioni di mercato; o quando uno di quei ragazzi, Kenan Yildiz, diventa il numero 10 della prima squadra; o ancora quando ci sono dei momenti di crisi, come all'inizio di questa stagione, costato la panchina a Paolo Montero.

Lontano dai riflettori c’è la quotidianità del progetto, il cui lavoro si intreccia con quello della Primavera e delle giovanili sottostanti, e anche con la prima squadra. La Next Gen d’altronde nasce proprio per questo: fare da ponte tra le categorie e garantire al club la possibilità di sviluppare il talento in casa, senza interruzioni. «Io uso sempre l’espressione Area Vinovo», dice Chiellini «perché credo che sia riduttivo parlare solo della Next Gen, o della Primavera: è un lavoro più profondo, che copre tutte le categorie e fasce d’età».

Per dire: Nicolò Savona, classe 2003 con già una trentina di maglie da titolare in prima squadra, ha messo piede a Vinovo a otto anni e se ne è allontanato solo per qualche mese, in prestito alla SPAL. Oppure Giovanni Daffara, 2004, portiere della Next Gen con una manciata di convocazioni al piano di sopra, anche lui prodotto dell’intera trafila giovanile. I loro casi sono fonte d’orgoglio e ottimismo per il club, al pari di quei giovani che hanno arricchito la società trasferendosi altrove, come Dean Huijsen e Matias Soulé.

Nelle scorse settimane ho avuto modo di scambiare qualche parola proprio con Savona e Daffara, in occasione di una visita al centro di Vinovo (Juventus Training Center), a seguito di una partita della Next Gen a Biella. «È un mondo che credo di conoscere abbastanza bene», mi dice Daffara, che ci ha passato gli ultimi 12 anni e sogna di rimanerci a lungo, seguendo l’esempio dell’amico “Savo”.

AMBIENTE

Si può dire che delle seconde squadre sappiamo ancora poco, nonostante la Next Gen sia «un’idea che esiste da tempo, da ben prima dell'estate 2018», dice Claudio Chiellini. «Noi abbiamo studiato e immaginato questo sistema già nel 2015, facendo venire a Vinovo durante l'estate tutti i calciatori che tornavano dai prestiti, di proprietà della Juventus, e facendoli allenare in attesa di novità dal mercato. Veniva dato loro un allenatore e uno staff, oltre ovviamente alle strutture e tutto il resto, e si organizzavano amichevoli. Insomma, una visione di questo tipo c’era già da tempo. Ma se fino al 2018 era solo un'idea, poi è diventata una cosa concreta».

Di acqua sotto i ponti, da allora, ne è passata. In casa Juventus ci sono stati gli anni di Cristiano Ronaldo, il tramonto dell’era Allegri e quindi l’Allegri-bis, l’addio di Marotta e i tanti cambiamenti in società, e molto altro. «In questo periodo sono stati fatti tantissimi passi avanti», dice Chiellini. «Ricordo i problemi iniziali, il primo anno con Zironelli [l'allenatore di allora, ndr], la difficoltà enorme a creare e trasmettere ai ragazzi un'identità di squadra; perché erano tutti giovani cresciuti nelle giovanili, o di rientro dai prestiti, che giocavano con la maglia della Juventus ma che, non avendo un seguito e rappresentando una completa novità nel panorama italiano, dovevano creare da zero la propria identità».

L’8 marzo sono stato allo Stadio La Marmora-Pozzo di Biella, a una settantina di chilometri da Torino, per la sfida tra Next Gen e Team Altamura. Non una partita di cartello - l’Altamura è una squadra di fascia media per classifica e affluenza - e anche per questo l’atmosfera sugli spalti era tipicamente da calcio giovanile, più che da Serie C. Un’aria ben più rilassata e fredda, per intenderci, rispetto a quella che si respira un po’ ovunque nel Girone C, che oltre ai bianconeri è composto da club di Sud Italia e Isole, con piazze come Catania, Avellino, Benevento e Foggia.

Sugli spalti dell’ex casa della Biellese (a proposito: tornerà ad esserlo con la promozione in Serie D) quel giorno non c’erano molti spettatori. Poco più di mezzo migliaio di persone, tra cui gli ospiti pugliesi e un chiassoso fan club ungherese, che nei primi minuti catturava l’attenzione dei presenti, curiosi di sapere cosa ci facessero da quelle parti, a più di mille chilometri da casa - 15 ore di pullman, mi dicono - per una partita di terza divisione.

Risposta prevedibile: un weekend in bianconero, in cui la Next Gen - beffata nel finale dall’Altamura dopo aver colpito quattro legni - era l’antipasto del big match allo Stadium del giorno dopo, contro l’Atalanta - la più rumorosa delle debacle che hanno avvicinato l’esonero di Thiago Motta.

Al di là degli ospiti d’eccezione, l’affluenza alle partite casalinghe della Next Gen - intorno ai 750 spettatori di media, su una capienza di quasi 6.000 posti - è tra le più basse del girone di Serie C. E questo per ovvie ragioni: il vasto seguito, in alcuni casi fuori scala, delle concorrenti, ma anche e soprattutto i limiti intrinseci del progetto bianconero. Che è giovane e fatto di giovani, e non ha una tradizione, né un legame col territorio, un bacino d’utenza, e neanche una vera e propria casa, giocando a Biella e non a Torino.

Insomma se da un lato essere parte della Juventus garantisce - tra le altre cose - una certa visibilità, dall’altro la stessa dimensione di succursale comporta una serie di limiti difficilmente aggirabili. A livello di seguito, non rappresentare effettivamente una territorialità, o un’identità esclusiva, è un ostacolo ingombrante; a cui concorrono anche la gestione della rosa, orientata allo sviluppo del talento, e gli obiettivi della dirigenza, tra il competitivo e il formativo. E con la sensazione (fondata) che sia tutto di passaggio, non è semplice attrarre, figurarsi fidelizzare, potenziali tifosi estranei al mondo juventino.

Tutto ciò non deve sorprendere: lo scarso seguito è un tratto comune ad ogni seconda squadra europea, o quasi, ed è normale che sia così. La Juventus però vede margini di crescita, soprattutto all'interno del proprio bacino d’utenza. «Mi dispiace molto, stiamo lavorando per migliorare la situazione da questo punto di vista», spiega Chiellini «ma ad oggi purtroppo non abbiamo un vero seguito di pubblico. Per me è un peccato che i tifosi della Juve non vengano a vedere la Next Gen. Hanno un’opportunità unica: vedere da vicino e conoscere di persona quei ragazzi che magari nel giro di qualche mese saranno in Serie A. E a quel punto, diventeranno irraggiungibili».

«Penso per esempio a Yildiz o Huijsen. A dicembre dell’anno scorso giocavano l’ultima partita contro il Pineto, davanti a 140 persone. La settimana dopo Yildiz segnava in Serie A contro il Frosinone, e da lì è entrato in dinamiche più grandi. Noi cerchiamo di trasmettere proprio questo: chi segue la Next Gen non solo sostiene i colori, ma ha il privilegio di guardare da vicino la crescita di calciatori che - lo dimostrano i fatti - dopo qualche settimana o mese potrebbero giocare in Serie A».

Per i ragazzi della Next Gen, comunque, le relative pressioni ambientali hanno dei benefici. Daffara lo definisce un «ambiente protetto», che ammortizza l’impatto - soprattutto nelle prime e ultime giornate, o nei periodi di bassa - del grande salto: il passaggio dalle giovanili al professionismo.

IL SALTO

Il passaggio in Next Gen coincide con uno snodo cruciale nella vita dell’atleta, da ogni punto di vista. Il momento in cui «inizi a vedere il mondo dei grandi», dice Savona, «e a confrontarti con giocatori di livello, che magari hanno giocato in Serie A o in Serie B. Ti abitui gradualmente a stare in campo con gente brava, forte, sgamata, furba - e per noi che siamo ancora dei ragazzini, è sicuramente importante».

C’è un tema che Savona ha citato più volte nella nostra chiacchierata: la gradualità del processo. «Per me è una questione di esperienza, prima di tutto. Noi arriviamo dal campionato Primavera, per esempio, dove giochiamo sempre contro ragazzi della nostra età, quindi contro giovani che non hanno quella furbizia, quella malizia che può avere magari uno di 25-30 anni, che è già in quel mondo da parecchio. E in più, vivi spogliatoi importanti e vai a giocare in piazze vere, imparando tantissimo. Il salto dalla Serie C alla Serie A poi non è mai facile, ci sono comunque due categorie di mezzo. Io però penso che abituandosi gradualmente a un certo tipo di allenamenti, di ritmi, di livello dei compagni, dopo un po' le cose diventano meno difficili. Proprio perché sono graduali».

Anche Daffara è sulla stessa lunghezza d’onda, estendendo il discorso all'intera struttura giovanile. «Credo che il percorso di un giovane calciatore debba essere regolare: non devi saltare tappe, perché sono tutte importanti. Per ogni età c’è la giusta categoria, e anche se in quella categoria sei un po' più pronto di altri ragazzi, secondo me è giusto non saltare tappe, ed è proprio così che lavorano qui alla Juventus».

Al momento dell'arrivo in Next Gen, il prodotto è ancora piuttosto grezzo per la categoria. «C’è una bella differenza per i ragazzi che arrivano dal settore giovanile», dice Massimo Brambilla, allenatore della squadra dal 2022 (con la parentesi Montero da luglio a novembre scorso). «E la maggior parte vengono da lì. E oltre alla categoria - la Serie C è molto più fisica e con giocatori molto più esperti - cambiano anche gli obiettivi: nel settore giovanile tutte le squadre della Juve giocano per le prime posizioni, quindi i ragazzi sono abituati a lottare per vincere; mentre in questa categoria, che è molto più dura, l’obiettivo è crescere, fare meglio possibile, e vedere dove si può arrivare, magari ai playoff. Ma l’obiettivo principale è fare un campionato tranquillo».

L’apprendimento è anche tattico. «Il modo di stare in campo e lo stile di gioco sono diversi da quello a cui erano abituati, ed è importante adattarsi a ciò che richiede la categoria. L'input è sempre quello di fare partite propositive, dove si cerca di offrire un certo tipo di calcio, ma sappiamo che ci sono squadre forti, attrezzate per salire, contro cui bisogna fare bene la fase difensiva. I ragazzi negli anni prima non sono abituati, mentre qui cominciano a curare questo aspetto; che non serve solo per i risultati, ma è utile prima di tutto per il loro futuro: se vogliono salire di livello, devono saper fare le due fasi con la stessa intensità e qualità».

Non ultimo, c’è il processo di maturazione caratteriale. «Il miglioramento oltre che tecnico e tattico, va fatto nella testa», dice Brambilla «Perché poi per arrivare e giocare nel calcio ad alto livello, la testa è fondamentale: avere personalità, reggere le pressioni, fare scelte giuste. La prima difficoltà di allenare questa squadra infatti è il momento in cui i ragazzi devono switchare da un punto di vista mentale, a inizio anno. E di solito anche per questo nei primi mesi c'è sempre qualche difficoltà in più. Una volta superata quella fase, poi, alla lunga escono le qualità tecniche».

CRESCITA

Non è solo una questione di tempo, ma anche di vissuto, come mostra la reazione della Next Gen di Brambilla (tredici risultati utili consecutivi tra novembre e febbraio) dopo l’inizio traumatico di stagione (7 punti in 15 giornate). «Siamo partiti malissimo», dice il tecnico brianzolo «E c'è stato anche un cambio di allenatore dopo pochi mesi, che è una cosa abbastanza insolita in questo progetto. Ma sono scenari che i ragazzi si troveranno ancora davanti nel loro futuro, quindi anche questo stimolo di crescita può essere prezioso».

Anche secondo Chiellini incontrare delle difficoltà a inizio anno è inevitabile, o quasi, in un contesto simile. «All'inizio è sempre complicato, perché si ricomincia con un gruppo al 60-70% nuovo, e i giocatori che vengono dalla Primavera non sono ancora pronti. E per questo è sempre difficile trovare quell'equilibrio nei primi mesi: lo confermano gli ultimi anni, che sono sempre stati in miglioramento guardando il rendimento sul campo. Ma se prendi i risultati con le squadre di vertice, nella parte finale della stagione o nei playoff, si vede tanto la mancanza di esperienza. E io credo sia normale a quell’età non essere ancora pronti per occasioni del genere».

«Noi partiamo sempre dalla crescita del ragazzo», aggiunge Brambilla «e quindi dal lavoro individuale, fisico, mentale, caratteriale, tecnico e tattico. Poi bisogna mettere insieme tutti questi aspetti individuali, creare un gruppo e far capire loro che l'importanza del risultato rispetto al settore giovanile comincia a diventare prioritaria». E proprio in virtù di questo, arrivare a giocarsi qualcosa a fine anno può essere un grosso valore aggiunto. «È importante per i ragazzi vivere partite in cui la palla scotta e i punti cominciano a pesare davvero, cosa che molti di loro non hanno mai vissuto prima».

Potrebbe essere il caso nel 2025, con una classifica raddrizzata e molto più corta di qualche mese fa, e con una manciata di partite ancora in calendario. «Abbiamo delle possibilità, perché nonostante la lunga rincorsa vedo che abbiamo ancora energie, che stiamo giocando bene. L'obiettivo è provare a entrare nei playoff - ma non tanto per vincere il campionato, quanto per allungare la nostra stagione e giocare partite di livello. Perché nei playoff c’è poco margine d’errore, ci sono le partite secche, e chiaramente è tutta esperienza. Ed è importante anche per noi, perché lì, in partite dentro-fuori, riusciamo a davvero a pesare il valore e i progressi dei ragazzi».

Giocare per degli obiettivi, insomma, è un plus importante per il processo di crescita dei giovani giocatori, ma non solo. Il progetto formativo si estende infatti anche al di fuori del rettangolo di gioco: «Le seconde squadre sono un’occasione per tutte le persone che ci lavorano», dice Chiellini «un’importante chance di lavorare e crescere all'interno di un ambiente di alto livello, che dà tanto ad allenatori, dirigenti, preparatori, medici, addetti stampa, magazzinieri e tutte le figure che ruotano attorno a una squadra. Per me se si chiedesse a qualsiasi calciatore, allenatore o dirigente che lavora in una squadra di Serie C, se avesse piacere a lavorare in una seconda squadra, la risposta sarebbe affermativa».

Il discorso ovviamente parte dalle strutture, dalle risorse e dai benefici che garantisce un club di tali dimensioni. «Restare sempre all'interno di una società come la Juventus è un grande vantaggio», conferma Savona «Perché ha tutta un’altra disponibilità rispetto ad altri club. Io per esempio dopo la Primavera sono uscito un anno, in prestito alla SPAL, e ho notato subito le differenze. E non perché sia andata male lì, anzi io mi sono trovato molto bene alla SPAL e ne ho un bellissimo ricordo, però sicuramente tutte le strutture, le persone e gli standard che ti trovi a disposizione nella Juventus, non le puoi avere da nessun'altra parte a questo livello».

«Uscire può essere un rischio, senza dubbio», aggiunge Daffara «E non dico che sia necessariamente una cosa negativa, anzi, perché ogni esperienza ti fa crescere - anche solo andare a vivere da solo in un'altra città, lontano da casa e famiglia, cambiare le abitudini di vita, insomma cose non per forza legate al calcio. Però ovviamente stando alla Juventus, tutta l’attenzione e la protezione che senti di avere da parte del club sono d’aiuto. E nella Next Gen ti crescono con una certa mentalità, quella che serve per arrivare in un club di primo livello come la Juventus. Se avrò un’occasione qui, non vedo motivo per cui dovrei andare a giocare altrove».

Ogni atleta comunque, a prescindere dal punto d’arrivo, ha un percorso diverso. Non si tratta di una linea retta uguale per tutti, con tempi e modi speculari, e non mancano le sorprese. «Ognuno vive la propria storia», dice Chiellini, citando le differenze tra i talenti passati in questi anni. «Yildiz era davvero speciale, aveva caratteristiche spiccatamente diverse dagli altri, e infatti ora è il numero 10 della Juventus. Savona, Mbangula e Rouhi invece non hanno sempre fatto i titolari in Next Gen, negli ultimi due anni. Anzi, Savona per un certo periodo aveva fatto la spola tra Primavera e Next Gen, prima di prendersi una maglia da titolare; Rouhi la scorsa stagione non è stato quasi mai impiegato, almeno fino a dicembre; e Mbangula è stato un giocatore, anche per via degli infortuni, che non ha mai avuto grande continuità».

EQUILIBRIO

Sono tante, insomma, le spinte diverse che orientano il percorso della Next Gen. I risultati in Serie C, i numeri a bilancio, lo sviluppo del talento individuale, la creazione di un’identità dentro e fuori dal campo. Un riflesso di questo si trova già guardando alcuni semplici indicatori (via Transfermarkt) relativi alla composizione della rosa; che oltre ad essere la meno anziana del Girone C, è anche la più internazionale (10 giocatori stranieri) e quella con il valore complessivo (intorno ai 14 milioni di euro) più elevato, per distacco. Questo ovviamente dipende anche da alcuni paletti da rispettare, oltre che dalle logiche interne. Le regole della federazione impongono alle seconde squadre di avere soltanto Under 23 in rosa, con quattro fuori quota; e consentono gli scambi con la prima squadra solo a determinate condizioni di convocazioni e presenze.

Dal punto di equilibrio tra tutte queste esigenze, che va trovato ogni anno da zero, emergono le tante criticità che incontra chi è alla guida di un collettivo del genere. Sia nella gestione dello spogliatoio, sia a livello manageriale.

«Trovare il giusto equilibrio tra obiettivi di crescita e classifica, e quindi trasmetterlo ai ragazzi, è la parte difficile di allenare questa squadra», dice Brambilla. «Perché i giovani devono sicuramente crescere e migliorare in tantissimi aspetti, e sappiamo che al centro del progetto Next Gen c'è lo sviluppo di questi ragazzi - ma se vuoi restare in Serie C, non puoi distrarti troppo dalla classifica. E comunque, io credo che anche iniziare a dare importanza prioritaria al risultato sia formativo: la classifica è importante in qualsiasi categoria, e queste logiche sono quelle che i giocatori si troveranno ad affrontare in futuro, ovunque vadano».

Come detto, però, per vedere quei risultati con la Next Gen serve spesso pazienza. Non solo per l’ambientamento dei giovani, ma anche per la creazione di un'identità tattica, con il sistematico turnover in rosa di ogni estate. «Il sistema di gioco dipende dai ragazzi che arrivano dalle giovanili», spiega Brambilla «Questo è il mio terzo anno, e probabilmente abbiamo usato tutti i sistemi di gioco esistenti; perché in una stagione magari hai giocatori con queste o quelle caratteristiche, e sei portato a giocare con un sistema di gioco, mentre l’anno dopo potresti avere una rosa diversa e fare altre scelte. Il mercato ci permette di potenziare la squadra con giocatori di prospettiva, ma il sistema di gioco va costruito più che altro secondo gli arrivi dalle giovanili».

«È ovvio che dipende molto dalle annate: ci sono quelle più e meno talentuose, esperte, pronte», aggiunge Chiellini «ma il progetto deve sempre andare avanti». E se in un primo momento all’interno della Juventus si pensava alla promozione, adesso si sente parlare più di «finale tranquillo di stagione».

«Nei primi anni della Next Gen, e fino al 2020, il nostro obiettivo era vincere il campionato e portare la seconda squadra in Serie B, con l'idea che avrebbe permesso di tenere tutti i migliori giocatori all'interno della Juventus. In verità ci siamo resi conto con il tempo che non è necessariamente quella la dimensione, perché i migliori giocatori - soprattutto con l'occasione di giocare con un po' di costanza in prima squadra, come stiamo vedendo - li puoi tenere e valorizzare lo stesso».

Cosa succede però se quella “tranquillità” viene meno in classifica? «Noi abbiamo passato mesi all'inizio dell'anno in cui eravamo ultimi in classifica», risponde Chiellini «sembrava ci fosse il rischio concreto di non riuscire a raddrizzare le cose, ed è stato pesante. E posso dirvi che io non ci dormivo la notte, con la paura di retrocedere. In verità però, e lo dico dopo aver sentito discorsi su situazioni analoghe di altre squadre, la retrocessione secondo me può anche far parte del percorso. All'estero, in Spagna e in Germania, è la normalità sia vincere campionati ed essere promossi, sia retrocedere. Il percorso continua, e la Serie D sarebbe comunque una categoria difficile e allenante per una seconda squadra di giovani. Oggi non è così ampia la differenza tra la Serie D, o almeno le sue prime 10 squadre, e le ultime 10 di Serie C».

Per Chiellini bisognerebbe «dare la possibilità di iscrivere le seconde squadre in Serie D, visto che ovviamente non è facile trovare spazio in Serie C. Permetterebbe a chi oggi magari ha problematiche con gli stadi e di bilancio, di partire con il progetto, capirne i pregi, i difetti, le difficoltà e poi di costruire con il tempo delle squadre con cui stabilirsi in Serie D o anche in Serie C. In tanti altri Paesi funziona così, non vedo perché in Italia no. Sarebbe un incentivo per tante squadre».

BILANCIO

Da un punto di vista progettuale, Chiellini mi dice che «i benefici che garantisce la Next Gen al club sono cambiati nel tempo, e sono da valutare nel lungo periodo». Sono cambiati anche gli obiettivi, come suggerito dal rebranding del 2022, che allude alla prossima generazione bianconera. «Ora il traguardo principale di ogni stagione è portare uno, due, tre giocatori in prima squadra. Quindi non solo far fare un primo step con la Next Gen tra i professionisti, per poi far andare i ragazzi a giocare altrove o venderli, che comunque è uno degli obiettivi».

Le sua parole ci portano di fronte alla lunga lista di lanci in prima squadra dopo un trascorso in Next Gen: si è già detto di Yildiz, Savona e Mbangula, ma ci sono anche Nicolò Fagioli, Fabio Miretti, Hans Nicolussi Caviglia, Jonas Rouhi, Joseph Nonge, Gianluca Frabotta. E ancora di più si è fatto con il mercato in uscita, scrivendo una serie di ricche plusvalenze negli ultimi bilanci, tra cui Matías Soulé (25 milioni di euro circa di plusvalenza), Dean Huijsen (16), Samuel Iling-Junior ed Enzo Barrenechea (ceduti all'Aston Villa nell’affare Douglas Luiz). E si potrebbero aggiungere Mavididi, Correia, De Winter, Dragusin, Ranocchia e tanti altri nomi, in attesa dei prossimi.

«Non ci sono soltanto quei giocatori sotto gli occhi di tutti», dice Chiellini «ce ne sono tanti altri di buon livello che stanno facendo una carriera internazionale. Capita che dei giocatori non riescano a trovare spazio in prima squadra, perché magari in quel momento nel loro ruolo sarebbero chiusi, e ovviamente diventano giocatori con cui il club è destinato a fare mercato, o con un prestito o con un trasferimento definitivo. Io penso a Franco Israel, portiere dello Sporting Lisbona, o a Lucas Rosa che ha firmato per l'Ajax, che hanno fatto un percorso in Primavera e Next Gen, ma senza arrivare in prima squadra. Eppure questo percorso li ha portati a livello internazionale».

Nel 2024 la tendenza a monetizzare questi asset ha prevalso, per le note esigenze di bilancio del club. Nella semestrale al 31 dicembre scorso le plusvalenze totali si sono aggirate intorno ai 63 milioni di euro, una cifra interamente generata da “prodotti della Next Gen” (includendo anche Moise Kean, cresciuto nelle giovanili) e messa a disposizione di Cristiano Giuntoli per rinforzare la prima squadra; e se aggreghiamo le ultime due sessioni di mercato, si scollina quota cento milioni di ricavi dalla vendita dei prospetti usciti da Vinovo.

Al di là della scelta recente di fare cassa, che si inquadra in un contesto societario più ampio, una parte di queste cessioni è imprescindibile per la sostenibilità del progetto. Ovviamente la Next Gen non è un investimento privo di costi, anzi. L’iscrizione al campionato (di poco inferiore al milione di euro all’anno, con tre seconde squadre in Serie C), il personale umano (25 giocatori, più tutto lo staff e le figure coinvolte), ma anche le strutture (proprie e di terzi), i trasporti (nel girone di Sud e Isole) e le tante altre spese di gestione che finiscono nel bilancio della Juventus. E al netto di tutto ciò, il gioco vale la candela?

Le ultime sessioni di mercato e la presenza costante di giovani giocatori in prima squadra ci dicono di sì, anche se per valutare il progetto con esaustività, come visto, è necessario molto altro. Serve flessibilità nella definizione di paradigmi (qualitativi e quantitativi) e obiettivi (di sviluppo, risultati e bilancio), serve uno sguardo sul medio-lungo periodo, e come suggerisce Chiellini, esteso all’intera Area Vinovo.

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