Quando al 78esimo entra Di Maria la partita dovrebbe entrare nella fase in cui la Juventus diventa la squadra che conosciamo. La difesa dentro l’area, le dita rivolte alle tempie, le esultanze smodate dopo banali scivolate finite in fallo laterale. Juventus-Lazio, però, non è questa partita, nonostante ci sia solo un gol a dividere le due squadre, nonostante alla fine dell’incontro non manchi nemmeno un quarto d’ora.
Pochi minuti dopo il suo ingresso in campo il “Fideo”, mandato in area da un grande lancio di Danilo, tenta un improbabile tiro d’esterno. Una manciata di secondi dopo Locatelli, gestendo il pallone davanti alla difesa, ci pensa troppo e viene tamponato da dietro da Felipe Anderson. Il centrocampista della Juventus cade a terra mentre viene accerchiato da maglie avversarie, minacciose come una rissa notturna vicino a una stazione, ma non perde la calma. Quasi in ginocchio trova un’idea geniale: uno scavino con la punta che passa sopra al naso di Milinkovic-Savic (192 centimetri d’altezza) e arriva dolce come un cioccolatino sul sinistro di Di Maria. L’attaccante argentino punta Lazzari e gli fa un tunnel. Passa un’altra manciata di secondi di totale rilassatezza. Perin lancia verso Kean solo contro l’intera difesa biancoceleste. Casale respinge di testa verso il centrocampo ma è una palla troppo alta e lenta da controllare facilmente, e come un rapace Locatelli ne approfitta. La arpiona con la punta facendo un altro sombrero a Milinkovic-Savic, se l’allunga verso la propria porta, vede Pedro venirgli incontro e allora decide di sorpassarlo con un secondo sombrero, addirittura toccando il pallone col tacco. Alle sue spalle c’è Alex Sandro che prova a dargli una mano e di prima la rimette alta e lenta verso il centro del campo. Davvero ci si sta giocando una semifinale di Coppa Italia? La palla arriva ancora a Di Maria che, circondato da Pedro e Basic, decide di eluderli alzandosi leggermente la palla con l’esterno. Lo stadio esulta come in un’altra occasione avrebbe fatto per una palla lanciata in tribuna da Chiellini.
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Di Maria è abituato a contaminare le partite con il suo gioco (vi ricordate quelle in Champions con Neymar?), ma ieri se ci è riuscito è anche perché fin dal primo minuto la Juventus sembrava in vena di giocare. Non la squadra per cui vincere è l’unica cosa che conta, per cui ogni trofeo è questione di vita o di morte, ma quella che semplicemente voleva giocarsi questa partita, al di là di come sarebbe andata a finire. Ha contato lo Stadium per metà vuoto e per metà stranamente euforico, ha contato più in generale tutto ciò che c’è fuori dal campo in questo momento: l’attesa delle nubi minacciose che sembrano attendere la Juventus dai vari fronti giudiziari forse l’ha liberata dal costante stato d’assedio che sembra vivere dentro le partite, dalla necessità anche di Allegri di dover dimostrare qualcosa al mondo. Per una volta la banalità che ripetono fino allo sfinimento i calciatori, quella di pensare partita dopo partita, è sembrata avere un fondo di verità. Quanto vale la qualificazione a una semifinale di Coppa Italia nella situazione in cui si trova la Juventus, in un giovedì sera di inizio febbraio?
Sulle ali di questa nuova leggerezza, la Juventus è sembrata una squadra più libera e quindi più ricca di soluzioni. L’ultima volta che le due squadre si erano incontrate, nell’ultima partita di campionato prima della pausa per i Mondiali, la squadra di Allegri aveva vinto nettamente sfruttando soprattutto l’arma dei cambi di gioco già dal centrocampo. Un’arma utile contro una squadra che si difende sfruttando la compattezza e gli scivolamenti orizzontali ma che rende anche la manovra molto più diretta e quindi più difficile da sostenere difensivamente. In quella occasione Marco D'Ottavi aveva scritto che la Juventus aveva "vinto con le sue armi storiche: la solidità, il cinismo, la capacità di alternare fasi di aggressività ad altre più sornione, in cui ha irretito la Lazio pur lasciandogli il pallone". Per paradosso anche allora la squadra di Allegri aveva aperto le marcature sfruttando un'uscita avventata del portiere avversario (che però era Provedel e non Maximiano).
Ieri, però, la Juventus sembrava avere voglia di maneggiare il pallone sin dalla prima costruzione, passare con calma tra le maglie avversarie, arrivare di squadra fino ai limiti dell’area avversaria. In questo ha aiutato anche l’incertezza della Lazio, che è sembrata in difficoltà atletica e concettuale nel leggere la prima costruzione avversaria. Immobile ha iniziato la partita provando a schermare il passaggio centrale verso Locatelli, con le due mezzali che si sganciavano in avanti verso Alex Sandro e Danilo, ma dopo pochi minuti è sembrato non farcela più, non si capisce se con il fisico o con la concentrazione. A quel punto l’attaccante campano ha provato ad agganciarsi a uomo a Bremer, che però ha avuto l’intelligenza e il coraggio di sganciarsi dalla linea difensiva e di salire a volte all’altezza di Locatelli a volte addirittura più in alto.
In questo modo, la Juventus riusciva a bucare la prima linea di pressione avversaria con una facilità impressionante, e se in difesa è stata decisiva la tranquillità tecnica di Danilo e Alex Sandro, a centrocampo le prestazioni più importanti sono state quelle di Fagioli e Chiesa, insieme a Locatelli i migliori in campo. Il primo si sta rivelando un giocatore diverso da quello che ci aspettavamo: essenziale nelle giocate, fa intravedere il suo talento nell’intensità e nella precisione dei movimenti senza palla. Ieri, ad esempio, è stato fondamentale per portare la Juventus dalla propria area a quella avversaria. Prima ricevendo alle spalle di Luis Alberto, un altro piuttosto svagato nella schermatura delle linee di passaggio; poi, durante le fasi di attacco posizionale, inserendosi nello spazio tra Romagnoli e Marusic. Un tipo di movimento che è quasi indifendibile per una difesa a quattro ma che in Italia è ancora poco sfruttato a vantaggio di cross da situazioni statiche che hanno poche possibilità di riuscita (la Lazio ad esempio ieri ne ha tentati addirittura 18 senza mandarne a segno nemmeno uno).
La partita di Fagioli, in un momento apocalittico come questo, per i tifosi della Juventus assomiglia a un orizzonte soleggiato durante una giornata di pioggia, e lo stesso si può dire di quella di Federico Chiesa, che in più sta gradualmente tornando dal suo brutto infortunio. Ieri abbiamo rivisto la sua elettricità, la sua intensità mentale da invasato, che è un segno confortante, ma anche sfumature del suo gioco inedite, che fanno sperare in un’evoluzione ulteriore in futuro. In fase di costruzione Chiesa faceva da contraltare di Fagioli dall’altro lato del campo, scendendo sino in mediana per dare una linea di passaggio a fianco di Cataldi, alle spalle di Rabiot, che invece andava più piatto a ricevere di fronte alla difesa. Liberato in questo modo a centrocampo, Chiesa poteva accendere il NOS e mettere in mostra le sue transizioni veloci fino all’area avversaria, anche se non è riuscito ad associarsi benissimo con Vlahovic, ieri tornato titolare con la Juventus per la prima volta dal 25 ottobre e incappato in una serata nera.
Una volta ricevuto alle spalle del pressing avversario, Chiesa ha provato un paio di volte a lanciare Vlahovic alle spalle della linea difensiva della Lazio, sempre molto alta, ma una volta il suo tentativo è stato ribattuto da Patric, uscito in maniera un po’ disperata, un’altra invece l’attaccante serbo aveva capito l’intuizione del compagno con un attimo di ritardo. Kean, entrato al suo posto al 63esimo, è sembrato molto più affilato sia atleticamente che tecnicamente, e pochi minuti dopo il suo ingresso ha avuto l’occasione per chiudere la partita scappando alle spalle proprio di Patric su un bellissimo lancio di prima di Locatelli.
La Juventus è sembrata una squadra con un’identità come poche altre volte in questa stagione anche in fase di pressing, con un approccio uomo su uomo non certo originale ma sicuramente efficace. La Lazio, soprattutto durante il primo tempo, è sembrata semplicemente non avere armi per controbattere e ha perso diversi palloni in fase di costruzione bassa, senza nemmeno avere la figura di Milinkovic-Savic a centrocampo su cui lanciare, che anche con Sarri è una scialuppa di salvataggio. La serie di calci d'angolo che porterà al calcio d'angolo di Bremer nascerà da una palla recuperata coraggiosamente sulla trequarti alla fine del primo tempo, un atteggiamento che la Juventus al massimo tiene nei primi minuti delle partite.
L’unica occasione di rilievo per la Lazio è arrivata al 14esimo e per di più su uno dei pochissimi passaggi sbagliati della partita di Fagioli, che provando a servire Locatelli ha inavvertitamente innescato la transizione avversaria che ha portato a un tiro a giro di Zaccagni dal limite dell’area. Per il resto la squadra di Sarri è sembrata farsi contaminare dalla leggerezza che aleggiava nell’aria dello Stadium, lasciando scivolare via una partita che sembrava non considerare così importante. Anche il ritorno al centro dell’attacco di Felipe Anderson, che sembra aver dato ormai una forma alla fase offensiva biancoceleste a cui Immobile dovrà abituarsi, e l’ingresso probabilmente tardivo di Milinkovic-Savic sono serviti a poco.
Contro la squadra che lo ha istituzionalizzato a suo motto, nello stadio che lo ha innalzato a suo inno, vincere non è sembrato così importante, anzi, proprio l’ultima cosa che contava. E una volta tanto, almeno, per la Juventus è sembrata una liberazione.