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La Juventus è andata a sbattere sul muro del Porto
10 mar 2021
L'assedio dei bianconeri non è bastato per passare il turno.
(articolo)
10 min
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Per il secondo anno di fila, la Juventus è uscita dalla Champions League agli ottavi di finale, questa volta contro il Porto di Sérgio Conceição. Pur con le ovvie differenze nello sviluppo del doppio confronto, questa eliminazione ha dei tratti in comune con quella subita contro il Lione lo scorso anno. Anche stavolta i bianconeri hanno affrontato una formazione prettamente difensiva che ha messo in crisi la fluidità della loro manovra, e la reazione e i correttivi non sono poi riusciti a ribaltare la situazione nella gara di ritorno.

La ricerca dell’ampiezza e il blocco difensivo del Porto

La Juventus aveva iniziato il primo tempo con delle intenzioni abbastanza nitide: ricercare la massima ampiezza velocemente, per poi adattare le scelte di rifinitura in base alla reazione della linea difensiva del Porto, andando in profondità centralmente se le maglie si fossero allargate, o crossando in caso contrario. Diversamente, in mancanza di spazi la squadra di Pirlo puntava a ricominciare il giro palla per andare sul lato opposto. Dato l’atteggiamento difensivo del Porto, i due mediani Arthur e Rabiot si muovevano a turno a supporto dei difensori centrali in impostazione, tendendo a svuotare il centro (dove c’era pochissimo spazio), per favorire la circolazione verso gli esterni. Il francese, inoltre, aveva il compito di tenersi pronto a dare supporto in ampiezza. Ramsey, nella posizione ibrida di esterno e trequartista, si abbassava al bisogno per dare un appoggio in più sul corridoio intermedio, ma con il compito principale di attaccare l’area, mentre Chiesa, oltre a dare ampiezza sulla sinistra, doveva leggere gli spazi centrali svuotati da Ronaldo.

La strategia della Juventus prevedeva una circolazione paziente da un lato all’altro, data l’assenza di spazi centrali, fino a che uno degli esterni non avesse avuto l’opportunità giusta. Qui sopra la prima enorme occasione della partita, con Cuadrado che riceve da Arthur e approfitta dello spazio a disposizione, e dello smarcamento di Morata partendo dal lato cieco di Mbemba, per mettere un bellissimo traversone.

La Juventus è così riuscita a creare diversi presupposti offensivi già nella prima parte di gara, e probabilmente con un pizzico di fortuna in più avrebbe persino potuto sbloccare il risultato. Era però già emersa qualche spia di allarme dal punto di vista difensivo: i problemi sembravano arrivare dalla gestione delle transizioni difensive e, in generale, dalla protezione dell’area su palla laterale. In particolare, il confronto tra Zaidu e Cuadrado, che ha avuto problemi fisici sin dai primi minuti, è stato inizialmente dominato dal terzino sinistro di Conceição, che ha creato diverse occasioni in autonomia.

Zaidu triangola con Otavio attaccando alle spalle Cuadrado, resiste al ritorno del colombiano, arriva sul fondo e mette un cross a rimorchio per Taremi, libero da marcature.

In questo contesto caotico, il Porto è riuscito, anche mettendo un’altissima intensità nei rapidi contrattacchi in campo lungo, a portare un po’ di nervosismo alla retroguardia bianconera, culminata nell’episodio del rigore causato da Demiral su Taremi. Dopo lo svantaggio, le cose si sono ulteriormente complicate per la Juventus. La strategia difensiva del Porto di abbassare entrambi i suoi attaccanti per dare ulteriore supporto alle catene laterali, rendendo così più difficile aprire spazi tra gli half-spaces e i corridoi esterni, si sposava bene con il risultato, e soprattutto i “Dragões” potevano concentrare le proprie energie sulla protezione dell’area.

Il compatto 6-3-1/6-4-0 del Porto, con le due punte che si portavano al fianco dei centrocampisti e l’esterno lato palla che usciva in pressione laterale, consentendo al quinto di rimanere al centro, rendeva più difficile alla Juventus la ricerca delle superiorità numeriche o degli isolamenti in fascia.

Senza una costante partecipazione dei due braccetti della difesa a tre nell’occupazione dinamica degli spazi, ed essendo una squadra non particolarmente incline a eseguire triangolazioni rapide a ridosso dell’area, alla Juventus restavano soprattutto le iniziative individuali di Cuadrado e Chiesa sugli esterni, che anche secondo il piano di Pirlo erano probabilmente i principali responsabili della rifinitura, ma che hanno dato l’impressione di essere poco aiutati dai movimenti di squadra.

Nonostante l’insistenza della Juve, la disposizione del Porto sembrava limitare agevolmente la creazione di occasioni pericolose, che si sono ben presto limitate alla ricerca del traversone dal corridoio di destra. Nel secondo tempo la fascia sinistra è stata più coinvolta, con qualche salita in più di Alex Sandro e una circolazione leggermente più rapida del pallone che ha consentito, in un paio di occasioni, di sfruttare anche dei palloni in profondità prendendo in controtempo la difesa. Ovviamente la superiorità numerica dopo l’espulsione di Taremi, unita alle minori energie psicofisiche del Porto, hanno agevolato parecchio l’assedio posizionale della Juventus, che aveva finalmente più spazio sulle sue catene laterali.

Bonucci pesca Ronaldo in profondità dopo un giro palla, il portoghese controllerà male ma Chiesa troverà il gol; Rabiot vede l’inserimento di Chiesa alle spalle di Corona.

Una strategia alternativa e il “ruolo” di Ronaldo

Al di là della battaglia di nervi durata fino al 120.esimo minuto, del fatto che il risultato è spesso deciso da episodi, e che i veri rimpianti per la Juventus sono forse da ricercare nella partita di andata, vale la pena di fare qualche riflessione sia sulla strategia generale della Juventus, sia su alcune delle dinamiche che caratterizzano la squadra di Pirlo.

Innanzitutto, le modalità scelte per attaccare il Porto – ricerca urgente dell’ampiezza, riempimento dell’area, circolazione paziente se mancano spazi - in linea teorica sono più che adatte per una squadra che utilizza due esterni alti fissatori contro una squadra parecchio compatta e numerosa sotto la linea della palla. Il problema principale, però, è stato che il Porto, abbassando la punta e l’esterno di parte per fronteggiare i quinti della Juventus, e andando così a comporre una linea di 6 uomini, ha innanzitutto limitato le occasioni in cui gli esterni di Pirlo potevano ritrovarsi in isolamento e, in secondo luogo, conquistato il dominio pressoché assoluto dei corridoi centrali, a cui la Juventus ha completamente rinunciato, preferendo riciclare il possesso per andare ad attaccare il lato debole.

Questa scelta, insieme alla ricerca più o meno immediata di Chiesa o Cuadrado da parte di Bonucci e compagni, se in alcune occasioni hanno pagato, nel complesso sono sembrate limitare le potenzialità dell’attacco posizionale juventino. Con la palla che si spostava rapidamente da un lato all’altro, l’occupazione della linea avversaria non era armoniosa, e dunque consentiva agli ospiti di avere qualche certezza in più durante l’assedio.

Nell’azione qui sopra, Cuadrado riceve trovandosi davanti Otavio. Ramsey gli va incontro, probabilmente pensando di suggerire una triangolazione, mentre Arthur rimane bloccato dandogli un possibile scarico. Sul lato opposto, vediamo Chiesa, Ronaldo e Morata osservare gli sviluppi dell’azione, forse pronti ad attaccare dal lato debole. La superiorità posizionale in zona palla del Porto è evidente.

Pochi istanti dopo, in un’altra azione, Ramsey riceve da Ronaldo che a sua volta aveva ricevuto un filtrante da Arthur. Anche in questo caso il Porto scivola agilmente in superiorità numerica verso l’esterno e Ramsey si limita a tentare un traversone poco convincente.

Insomma, essendoci di fatto un uomo in più rispetto a un “classico” 5-3-2 o 5-4-1 difensivo, la strategia di ricercare l’apertura da un lato all’altro non sembrava sortire grandi effetti sull’organizzazione avversaria. Per ricreare una superiorità numerica sulla catena laterale, e dunque porre le basi per una variazione sul tema, la Juventus avrebbe potuto scegliere di ricercare maggiormente il fraseggio interno.

In queste due situazioni, per esempio, Bonucci e Ramsey hanno ricercato immediatamente l’apertura, però a conti fatti avrebbe pagato di più la scelta di un passaggio diagonale verso sinistra, sfruttando così delle potenziali superiorità numeriche. Insomma, le intenzioni di utilizzo dell’ampiezza erano diventate abbastanza leggibili, sia per la scelta tattica in sé, sia per il modo in cui veniva eseguita, cioè senza alcun tipo di finta posturale che lasciasse intendere diversamente.

Ma c’è anche un altro tema: portando il pallone da un lato all’altro, con conseguente spostamento graduale degli uomini di attacco e quindi un’occupazione della linea non omogenea, la Juventus non aveva vita facile nella creazione di spazi, anche perché non aveva uomini pronti a fissare i difensori più interni, rendendo così più facili le coperture dei giocatori che andavano in pressione sul portatore e limitando le possibilità di isolamento degli esterni (con conseguente difficoltà di questi ultimi a cercare il dribbling).

Attaccare di posizione contro un blocco del genere è sicuramente molto complicato, ma una scelta utile (nonché ambiziosa) avrebbe potuto essere quella di portare un uomo in più sulla linea. Una disposizione, insomma, che avrebbe visto un uomo tra Corona e Manafá, uno tra Zaidu e Otavio, uno tra Mbemba e Manafá e uno tra Pepe e Zaidu, scegliendo di non attaccare, quindi, sul difensore più al centro.

La Juventus di oggi, però, non è ancora una squadra che riesce a modulare questo tipo di attacchi, e allora sarebbe stato fondamentale avere almeno un giocatore più risolutivo tra le linee, oltre ai due sugli esterni (che hanno comunque disputato un’ottima partita). Le prestazioni di Aaron Ramsey e Cristiano Ronaldo, in questo senso, sono state di scarsa qualità. Se il primo non ha mai trovato né propiziato una situazione congeniale alle sue caratteristiche, il secondo non è mai riuscito a creare pericoli quando si è defilato o è andato incontro per raccogliere la palla lontano dai difensori. Ronaldo non ha mai avuto una grande influenza sulla regia offensiva alla Juventus, e plausibilmente non era neanche una cosa da aspettarsi, visto il percorso della sua carriera, ma nonostante ciò sia Pirlo che i suoi predecessori gli hanno comprensibilmente cucito la fase offensiva addosso, accettando la sua inclinazione a voler ricercare lo spazio ottimale per la ricezione.

L’intera manovra della Juve opera in funzione dei suoi movimenti. I suoi compagni, abituati al suo elevato grado di libertà, hanno imparato ad aggiustare le loro posizioni in funzione delle sue scelte. La doppia sfida col Porto può portare qualche lecito dubbio anche su questo tema: se le qualità di Ronaldo lontano dall’area non sono così utili a creare delle dinamiche positive (anche perché la sensazione è che le difese avversarie non siano più così catalizzate tanto da raddoppiarlo e triplicarlo sistematicamente), esistono dei margini per cambiare qualcosa? Ronaldo accetterebbe di muoversi meno in funzione del pallone e più in funzione dello spazio, a questo punto della sua carriera?

Certo, fino a quando la sua capacità di incidere attraverso i gol rimane a livelli in linea con il suo curriculum, questo adattamento può essere comunque considerato funzionale, nella misura in cui dà al giocatore più importante della Juventus una dimensione di comfort in cui galleggiare. Quando però Ronaldo attraversa momenti negativi sotto porta – come appunto in questo ottavo di finale – allora tutto ciò può essere un problema.

È ovvio che la Juventus non sia uscita dalla Champions per colpa di Ronaldo e che la squadra di Pirlo abbia tanti margini di miglioramento sotto diversi aspetti, dalla capacità di gestione del pallone dei giocatori coinvolti internamente (tra i quali spiccano in maniera nitida Danilo, assente per squalifica, e Arthur), alla partecipazione complessiva a entrambe le fasi. Forse però è arrivato il momento di tenere in considerazione anche la possibilità che Ronaldo possa tradire le attese.

Il lato positivo in chiave futura per la Juventus è che la funzione di riferimento offensivo è stata ricoperta con grandissima personalità e qualità da Federico Chiesa, sempre più reattivo nello sfruttamento delle opportunità, sia con il pallone tra i piedi che negli inserimenti. L’ex Fiorentina è un generatore continuo di situazioni, e i suoi compagni sembrano cercarlo con sempre più frequenza. Nell’attesa che Kulusevski ritrovi qualche certezza e, magari, di recuperare anche Dybala, Pirlo dovrà tenersi stretto lo spirito di iniziativa del suo pupillo, mentre tenterà di dare un senso a questo finale di stagione, che si preannuncia ricco di rimpianti.

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