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Le luci e le ombre della vittoria della Juventus contro il PSV
12 feb 2025
Dopo un ottimo primo tempo, Mbangula ha risolto una partita che si era complicata all'improvviso.
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Nel calcio esiste una consolidata tradizione di detti popolari che, pur semplificando la complessità delle cose, hanno alla base sempre un fondo di verità. Uno dei più famosi dice che “vincere aiuta a vincere”. La Juventus di Thiago Motta ieri ha sconfitto il PSV nell’andata dei playoff di Champions League e, per la prima volta in stagione, è riuscita a raccogliere tre vittorie in fila. Si potrebbe pensare che i risultati abbiano aiutato la Juve a trovare delle certezze, a renderla sicura dei suoi mezzi: vincere le partite dovrebbe innescare un cambio di mentalità positivo, che si riverbera nel gioco, per l'appunto. Ma è davvero così?

La Juventus ha disputato un buon primo tempo, dove ha mostrato l’intensità necessaria per competere in Europa, che le ha permesso anche di nascondere la propria penuria offensiva. Nella ripresa, però, è bastato subire un gol in maniera sfortunata per rimanere di nuovo preda dei dubbi e mostrare gli stessi problemi di sempre, nonostante l’avversario fosse un PSV che sta vivendo il suo momento peggiore degli ultimi due anni e mezzo. Questo indica due cose: gli equivoci di natura tecnica per la Juve sono tutt’altro che risolti; e, peggio ancora, questa squadra sembra incassare male i colpi, forse il singolo aspetto più importante per affrontare una eliminatoria di Champions League, un contesto nel quale il livello dell’avversario prima o poi costringe sempre a fare i conti con un gol subito.

Eppure la partita era iniziata davvero bene per i bianconeri, scesi in campo con grande coraggio. La formazione era quella annunciata, con Weah terzino destro, Kelly terzino sinistro e Veiga al centro della difesa vicino a Gatti. In mezzo al campo Douglas Luiz ha preso il posto di Koopmeiners.

Il PSV, invece, oltre al lungodegente Tillman sulla trequarti, ha dovuto rinunciare al difensore titolare Boscagli e lo ha sostituito con Obispo. In mezzo, nel 4-2-3-1 di Bosz, la soluzione a due mediani, con Schouten e Veerman nel doble pivote. Davanti a loro, Saibari da trequartista e, sulle fasce, Lang preferito a Bakayoko, il che ha portato Perišic a partire a sinistra, a piede invertito. Davanti, ovviamente, Luuk de Jong, primo pericolo e quasi una sorta di regista offensivo con i suoi duelli aerei.

LE BUONE NOTIZIE DA PRESSING E GEGENPRESSING

Il PSV nei suoi momenti migliori è una squadra di grande intensità, soprattutto in riaggressione, ma nei primi minuti è apparso chiaro come, tra le due contendenti, fosse la Juve quella in grado di infondere il maggior furore agonistico nella partita.

Sui rinvii dal fondo la Juve pressava in parità numerica: la punta Kolo Muani e l’ala destra Nico Gonzalez stringevano sui due centrali. Sui terzini uscivano da una parte l’ala, Yildiz, dall’altra il terzino, Weah.

Particolare l’atteggiamento di McKennie: chiamato a seguire Schouten, l’americano poteva decidere di lasciarlo per salire sin sul portiere Benítez, stando sempre attento a coprire la linea di passaggio. La Juve ha alternato momenti in cui ha aspettato con la palla tra i piedi dell’estremo difensore ad altri in cui è salita fin su di lui. Su Benítez, delle volte, poteva stringere anche Kolo Mouani, con l’intento di costringerlo a giocare su Obispo: Boscagli, di solito centrale di sinistra titolare, è il difensore più importante del PSV in impostazione (prima di ieri terzo in tutta la Champions League per distanze progressive palle al piede), perciò Motta voleva approfittare della sua assenza.

Come è abitudine del PSV, gli olandesi hanno evitato una costruzione troppo elaborata e hanno iniziato a lanciare su de Jong con l’intento di sfruttare i suoi duelli per arrivare direttamente sulla trequarti. Alla fine l’olandese è stato il giocatore con più contrasti aerei vinti della partita (8, contro 3 persi), ma nessuno di questi ha permesso alla sua squadra di sviluppare in zone avanzate di campo. La Juve, nel primo tempo soprattutto, è stata bravissima a impedire che le seconde palle generate da de Jong si trasformassero in possessi del PSV. Lo ha fatto grazie a un’ottima prestazione di Gatti, anche in anticipo, e al modo in cui Veiga delle volte ha saputo sbilanciarlo per non lasciarlo staccare in maniera pulita, ma ci è riuscita soprattutto grazie all’atteggiamento collettivo, per cui intorno alla zona in cui cadeva il pallone vi erano sempre giocatori bianconeri a presidio, pronti ad accorrere con maggior intensità degli avversari per far proprio il rimbalzo.

Un atteggiamento speculare si è visto anche in gegenpressing, forse l’aspetto migliore della partita di ieri, di cui Thiago Motta può essere soddisfatto. Soprattutto quando la Juve costruiva con combinazioni sulla linea laterale, appena perso il possesso i giocatori in zona palla era pronti a stringere sugli avversari, seguiti se necessario dai difensori che accorciavano.

La Juve, con questo atteggiamento e questa puntualità nelle seconde palle e nella riaggressione, è diventata padrona del campo, senza bisogno di palleggiare troppo. Secondo FBref, in totale i bianconeri hanno conquistato 47 palloni vaganti: prima di ieri la loro media in Champions era 39,27, quasi 10 in meno.

Certo, dai recuperi non saranno nate vere palle gol (se non un cross per Mbangula sul secondo palo nella ripresa), ma presidiare l’ultimo terzo grazie all’aggressività e mettere così sotto stress una difesa come fragile come quella del PSV, prima o poi porta a trovare delle occasioni, anche in maniera sporca. È quello che è successo nell’azione del gol.

Nico Gonzalez ha provato a sfondare sulla destra, ma il PSV lo ha chiuso. Lang si è ritrovato in possesso nei pressi della bandierina e Nico ha lanciato il gegenpressing. Douglas Luiz e Weah, i compagni più vicini, lo hanno seguito. Quando Lang ha appoggiato a Veerman, il brasiliano è salito su di lui e lo ha costretto al lancio. Veerman ha cercato una palla tesa per Saibari, ma a quel punto ha fatto irruzione Gatti che lo ha anticipato di petto ed è partito in percussione. Il difensore prima è arrivato al cross, poi sulla respinta ha recuperato nuovamente il pallone di petto, appoggiandolo così a McKennie che ha segnato con un gran tiro dal limite.

Un vantaggio più che meritato, che la Juve avrebbe dovuto arrotondare nel secondo tempo per chiudere il discorso qualificazione. Come sappiamo, però, non è andata così.

I PROBLEMI DEL SECONDO TEMPO

A discolpa della Juve, il gol del PSV è arrivato in maniera davvero fortunosa, una concatenazione di eventi abbastanza casuali che ha portato Perišić al tiro: su un rinvio per de Jong, Gatti lo sovrasta per poi stringere sulla seconda palla. Il tocco è impreciso e finisce nella zona di Veerman: Gatti prova ad accorciare ulteriormente in avanti, ma Veerman lo anticipa di un soffio e serve Lang alle sue spalle.

Il controllo sospetto dell’olandese fa pensare ai giocatori della Juve che ci sia fallo di mano, e forse questo abbassa la loro concentrazione. Fatto sta che Lang avanza, rientra sul destro e dai venticinque metri lascia andare un tiro velleitario. Locatelli ci mette la testa, ma così alza un campanile che finisce tra i piedi di Perišić sul vertice dell’area. A quel punto l’episodio fatale. Kelly fa un errore banale per questi livelli: mentre la palla spiove su Perišić lui si gira di spalle e salta, convinto che voglia tirare. Forse Kelly non ha mai visto giocare Perišić, che comunque fa una grande giocata e ieri ha dimostrato per l'ennesima volta il suo peso specifico in campo. Il croato manda il diretto marcatore fuori strada con un semplice stop e si apre lo specchio per il tiro.

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A quel punto arriva una fase della partita in cui la Juve ci mette un po’ a ricomporre i pezzi. Difficile dire quanto la causa sia lo scossone emotivo del gol subito e quanto invece i limiti tecnici che ricominciano a palesarsi.

Da un punto di vista tattico, sicuramente il PSV ha trovato modo di mettere insieme qualche passaggio in più. La Juve nella ripresa ha iniziato a pressare in inferiorità numerica, mantenendo Weah basso per rimanere inizialmente in quattro dietro contro i tre attaccanti del PSV. In generale, le pochissime volte che gli olandesi sono usciti dal pressing non hanno portato a nulla. Di certo, però, la sensazione di dominio derivata dal pressing alto è diventata più tenue. A trasformare la partita in uno stallo, in cui la Juve non sembrava avere più idea di cosa fare, però, è stata la povertà di soluzioni con la palla, con un secondo tempo costellato di errori gratuiti.

Troppe volte Renato Veiga ha cercato il cambio gioco quando l’ala destra non aveva sufficienti condizioni di vantaggio per ricevere. Troppe volte si è cercata la verticalizzazione per Kolo Muani senza che vi fossero compagni intorno a supportarlo o senza che la difesa del PSV fosse stata manipolata a sufficienza: ciò, peraltro, ha esposto i limiti del francese spalle alla porta, che più che controllare e provare a resistere all’uomo dietro non riusciva a fare. Troppe volte, poi, Conceiçao e Mbangula hanno perso palla troppo facilmente, motivo per cui il giovane belga, ai microfoni, si è detto insoddisfatto della sua prova nonostante il gol decisivo.

Una serie di limiti che prima del gol la Juve aveva mascherato grazie all’atteggiamento senza palla. Mantenere la stessa intensità per tutti i 90 minuti, però, è pressoché impossibile, soprattutto in Champions. Quando, per questioni di energia, il dominio, più che dalla ferocia, avrebbe dovuto nascere dal controllo della palla, la Juve si è dimostrata insufficiente ed è tornata a palesare tutte le contraddizioni del proprio progetto tecnico: le storture di una squadra che vorrebbe dominare le partite ma non ha abbastanza sensibilità tecnica o fiducia per farlo; le rigidità di un allenatore che nell’intervallo preferisce sostituire uno dei giocatori che avrebbero potuto dare qualità agli attacchi, Yildiz, per tenere in campo Mbangula solo per la sua capacità di allargare il campo.

Per fortuna di Motta, a nascondere la polvere sotto il tappeto è arrivata una conduzione in orizzontale di Gatti all’81’ che ha ingolosito Veerman, che con l’ambizione di portargli via la palla ha sguarnito il centrocampo.

Prima che l’olandese intervenisse, però, Gatti ha scaricato sulla fascia per Mbangula, che ha effettuato la prima giocata utile della sua partita, resistendo al terzino alle sue spalle e spezzando il raddoppio verso l’interno, attraendo tutti i giocatori del PSV in zona centrale, incluso Schouten, unico centrocampista rimasto a presidio dopo la salita di Veerman, e liberando così la ricezione per Douglas Luiz. Da lì il brasiliano ha aperto per Conceiçao che è arrivato sul fondo e ha messo in mezzo. L’imprecisione di Benítez e dei suoi difensori e la fiducia di Mbangula nel riempire l’area hanno fatto il resto.

A fine partita Motta ha insistito molto sugli aspetti che dovrebbero connotare l’identità della sua Juve: «Dobbiamo mettere tanta intensità e tanto dinamismo nel nostro gioco», ha detto. È vero, l’intensità dovrebbe essere una costante, la Juve dovrebbe affrontare ogni partita come nel primo tempo per imporre il contesto. Ma se questo può bastare in campionato, in Champions il livello è così alto che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.

Per blindare la qualificazione e competere davvero in Europa, quindi, non basterà solo ripetere la prestazione del primo tempo ma bisognerà anche trovare il modo di migliorare a livello tecnico e dimostrarsi più maturi. E farlo in una stagione del genere, la prima di un progetto tecnico nuovo, non è scontato.

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