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Quali sono i problemi della Juventus
05 nov 2021
Allegri non sta riuscendo a trovare soluzioni adatte alla sua squadra.
(articolo)
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Dopo la sconfitta contro il Verona, la quarta in sole undici partite di campionato, la seconda consecutiva ad appena tre giorni di distanza da quella con il Sassuolo all’Allianz Stadium, la Juventus di Massimiliano Allegri è andata in ritiro con l’intenzione di rimanerci fino alla partita contro la Fiorentina di sabato. L’ultima volta che i bianconeri erano andati in ritiro era stato nell’ottobre del 2015, dopo una sconfitta esterna a Sassuolo. In quell’occasione, alla decima giornata, la Juventus era dodicesima in classifica con 12 punti, frutto di 4 sconfitte, 3 pareggi e 3 vittorie.

Più volte in questa parte iniziale di stagione è emerso il paragone tra la stagione 2015-16 della Juventus - che dopo la partita di Sassuolo infilò una striscia di 14 vittorie di fila e vinse lo scudetto - e quella in corso. Se però inizialmente poteva sembrare un paragone su cui basare una previsione, oggi sembra piuttosto avere una funzione consolatoria per i tifosi: le due stagioni sono infatti troppo diverse – sia a livello di rosa che di società – per essere messe sullo stesso piano.

È davvero complicato mettere ordine in questa stagione dei bianconeri. Per farlo bisognerebbe partire dall’esonero di Allegri, alla fine della stagione 2018/19 dopo uno scudetto vinto e l’eliminazione ai quarti di finale della Champions League contro l’Ajax; risalire per la stagione di Sarri – inframezzata da una pandemia – passare per Andrea Pirlo e la sua prima esperienza da allenatore e poi arrivare di nuovo ad Allegri, tornato in estate sulla panchina della Juventus dopo due anni di inattività, richiamato dalla società in quella che dall’esterno è apparsa la volontà di restaurare le vecchie consuetudini tattiche e gestionali dopo due allenatori molto diversi tra loro, e ancora di più dall’attuale allenatore della Juventus.

Ai discorsi sulla gestione tecnica della Juventus sono inevitabilmente intrecciati, in maniera indissolubile, anche quelli legati allo sviluppo globale della società, che nell’estate del 2018 aveva deciso di acquistare Cristiano Ronaldo e risolto il contratto con Marotta. Poteva sembrare l’inizio di una nuova era, un’era ancora più grande e vincente, ma le difficoltà tecniche, come abbiamo visto, ed economiche, in parte figlie della pandemia, avevano arenato un po’ la spinta propulsiva del progetto juventino. A esse si era aggiunto il pasticcio della Superlega, il mancato rinnovo del contratto di Fabio Paratici e soprattutto l’improvviso addio di Cristiano Ronaldo, ormai poco sopportato nello spogliatoio e nei bilanci della società. Insomma sono davvero tanti gli aspetti da prendere in considerazione per capire come si sta sviluppando la deludente stagione bianconera.

Limitandoci però a quello che possiamo vedere bene, cioè il campo, è possibile iniziare a sottolineare alcune costanti che hanno caratterizzato il lavoro di Allegri fin qui.

Alla prima uscita ufficiale, a Udine, Allegri ha schierato la squadra con quello che, a prima vista, poteva sembrare un classico 4-4-2 con Dybala schierato in verticale all’altra punta Morata. In realtà in fase di possesso palla l’esterno sinistro Bernardeschi entrava dentro al campo lasciando l’ampiezza al terzino Alex Sandro, la mezzala destra Bentancur si alzava e veniva fuori una sorta di 3-5-1-1 che Allegri non ha quasi mai abbandonato. La partita successiva, in casa contro l’Empoli, ha optato per un 4-3-1-2 con McKennie trequartista alle spalle di Chiesa e Dybala. La pessima prestazione di squadra, in una sconfitta per 0 a 1, aveva convinto Allegri a tornare al 4-4-1-1 già nel corso del primo tempo, posizionando il texano alle spalle di Dybala, per poi inserire Morata al suo posto.

Contro il Napoli, alla terza giornata di campionato, Allegri era tornato al modulo ibrido, un 3-5-1-1 in fase di possesso che diventa 4-4-2 quando la Juventus deve difendersi. Se l’organizzazione in fase di possesso non è cambiata molto nei mesi seguenti, progressivamente anche in fase di non possesso, con il rientro di Cuadrado, impiegato sulla fascia destra davanti a Danilo, anche in fase difensiva la Juventus ha iniziato a disporsi con 5 uomini sulla linea arretrata e 3 centrocampisti, disegnando un 3-5-1-1 sempre più rigido.

Contro l’Inter anche la fase di non possesso è giocata con il 3-5-1-1.

Adottando questo modulo – alternative sono state il 4-3-3 visto contro lo Zenit all’andata e alcuni spezzoni di partita in circostanze tattiche particolari – Allegri ha dovuto fare delle scelte precise per quanto riguarda i principi di gioco. La Juventus preferisce difendere con un baricentro basso e due linee strette, privilegiando il controllo dello spazio e della profondità alle proprie spalle alla possibilità di recuperare in maniera aggressiva e in posizione più avanzata il possesso.

Le fasi di pressing offensivo sono rare e la transizione difensiva è orientata al recupero della corretta posizione. Tutti i principali indici statistici fotografano molto bene la scelta difensiva di Allegri. L’altezza media degli interventi difensivi della Juventus è posizionata a 33.1 metri (undicesima in serie A), un’altezza inferiore alla media del campionato (34 metri) ma anche a quella delle squadre di Pirlo, Sarri e addirittura dell’ultima Juventus di Allegri (34.6 metri). Anche i recuperi offensivi (13.2 per match, dodicesima in Serie A) sono inferiori alla media del campionato (13.5) e a quelli mediamente effettuati nelle precedenti tre stagioni. Infine il PPDA, l'indice che valuta la qualità del pressing, della Juventus di questa stagione è pari a quello medio del campionato (16.5, decimo in Serie A), ma circa di tre punti superiore a quello dei tre anni passati (quindi è più blando). La scelta di Allegri al momento non sembra pagare grossi dividendi: la Juventus concede agli avversari più tiri in open play (9.2 per match) e più Expected Goals (1.31 per match) delle precedenti tre versioni bianconere, lasciando agli avversari più xG sia su azione (0.89) che su calcio piazzato (0.42). Fino a questo momento la Juventus ha subito 15 gol, di cui uno su rigore, in 11 partite di campionato, un dato di certo insoddisfacente per Massimiliano Allegri.

Recuperi palla offensivi ed altezza media degli interventi difensivi nelle ultime quattro stagioni.

Con il pallone tra i piedi questa versione della Juventus di Allegri privilegia attaccare in un campo grande, sia quando riesce a farlo in transizione offensiva, cioè recuperando palla nella sua trequarti, sia in fase di possesso consolidato, dilatando le distanze tra i giocatori. Come spesso fatto dalle sue squadre, Allegri tende a svuotare il centrocampo chiedendo alle sue mezzali inserimenti profondi e poche responsabilità nel palleggio. Il gioco si sviluppa attraverso una circolazione palla piuttosto semplice tra i tre difensori e il mediano per poi cercare qualcuno sull’esterno del campo per superare i blocchi centrali avversari ed eventualmente attaccare il lato debole con lunghi cambi di gioco da un lato all’altro. Il gioco offensivo si sviluppa in maniera piuttosto diretta, cercando appena possibile la verticalizzazione verso le punte o sugli esterni, utilizzando frequentemente il piede di Bonucci. La Juventus è la seconda squadra della Serie A dopo la Fiorentina per percentuale di passaggi lunghi riusciti sui passaggi totali (17.8%) e Bonucci è il calciatore, esclusi i portieri, che effettua più lanci lunghi.

Come quelle difensive, al momento anche le scelte offensive della Juventus di Allegri non stanno pagando. La Juventus di questa stagione è ampiamente peggiore di quella delle passate tre stagioni in ogni indice statistico offensivo: produce meno xG (1.26 su azione e 0.39 da calcio piazzato a partita), tira meno in porta (10.1 su azione a partita) e in situazioni di minore qualità (0.13 xG per tiro) e ha drasticamente diminuito il numero di passaggi completati nell’ultimo terzo di campo (84.2 a partita) e, di conseguenza, ha ridotto il numero di passaggi nell’area di rigore avversaria (8.4 a partita). I soli 15 gol segnati fin qui in campionato non possono essere certo spiegati solamente con la partenza di Cristiano Ronaldo e, quindi, con una minore capacità di convertire in gol le occasioni da gol create, ma, piuttosto, con il minore volume di tiri generato. La percentuale di conversione in gol dei tiri prodotti su azione (9.9%) è infatti simile a quella della squadra allenata da Sarri (9.7%) e a quella della squadra allenata dallo stesso Allegri nel 2018/19 (10.1%), e inferiore solamente a quella della passata stagione (13%).

Il primo grafico visualizza la diminuzione dei passaggi completati nell’ultimo terzo di campo. Il secondo rappresenta gli xG a favore e contro nelle ultime quattro stagioni.

Seguendo le volontà del suo allenatore, la Juventus ha rinunciato al controllo del pallone (50.9% di possesso, decima in serie A), specie contro le squadre più forti, confidando nella bontà della sua difesa posizionale e nella capacità di creare occasioni da gol attaccando in un campo grande. Non sorprende quindi che tre delle quattro sconfitte stagionali siano arrivate contro squadre che, almeno sulla carta, sono tecnicamente inferiori. Squadre che hanno costretto i bianconeri a costruire col pallone tra i piedi rinunciando a una partita incentrata al controllo degli spazi, come invece accaduto nelle vittorie contro Roma e Chelsea.

Se la scelta di difendere con un baricentro basso è legittima, spesso la Juventus è sembrata costretta a farlo dagli eventi, non riuscendo a organizzare una gestione del pallone efficace che costringesse gli avversari nella loro trequarti. Inoltre fin qui la squadra non è sembrata essere particolarmente a suo agio nel difendere in maniera posizionale, e anche nel tanto strombazzato filotto di 1-0 la difesa si è retta su alcune grandi prestazioni individuali e un po’ di fortuna. Allo stesso modo, difendere con un baricentro così basso non ha aiutato alla squadra di creare con continuità transazioni lunghe e veloci – se si escludono le iniziative personali di Chiesa – così efficaci da giustificare una strategia difensiva così conservativa.

La Juventus si trova così ad avere un gioco che lascia volentieri il pallone all’avversario, ma senza la capacità di creare pericoli rapidamente una volta recuperato il possesso. Allegri sembra voler insistere su questo modello, cercando certo di migliorare la fluidità della squadra, senza però cambiarne i principi. Al momento però è più facile evidenziare i difetti del suo 3-5-1-1: la circolazione bassa del pallone – affidata come detto ai 3 difensori e al mediano – è spesso lenta e prevedibile, orientata per prudenza a passare dall’esterno o a vivere di iniziative estemporanee dei due difensori laterali; la distanza delle mezzali dalla zona nevralgica del possesso e la rigidità dei compiti a loro assegnati li rende corpi estranei alla manovra, riducendo le linee di passaggio e lasciando vuoti i mezzi spazi; la predilezione della ricerca del lato debole con lunghi cambi di campo o di un gioco diretto sulla punta.

Tre sviluppi della manovra prevedibili o difficili da effettuare, che creano una circolazione stagnante e perimetrale o che invece vuole raggiungere troppo presto la zona di rifinitura senza aver disordinato abbastanza la difesa avversaria. Così facendo la Juventus mette spesso il portatore di palla in condizione di dover prendere decisioni difficili, privo di comode linee di passaggio. Per questo i bianconeri hanno sofferto sia contro squadre che hanno cercato di sporcarne la costruzione bassa, sia contro squadre che invece l’aspettavano bassa.

A sorprendere in questa prima parte di stagione è stata la rigidità con cui Massimiliano Allegri ha perseguito la sua idea di fase offensiva. Quasi mai ha rinunciato al 3-5-1-1 in fase di possesso e ai principi che abbiamo descritto finora, anche a dispetto delle caratteristiche degli interpreti. Ad esempio, la prudenza chiesta ai difensori laterali nella fase offensiva ha depotenziato Danilo, privando la Juventus delle conduzioni e dei raffinati posizionamenti interni ed esterni del brasiliano tra le maglie della difesa avversaria, che erano stati fondamentali nella passata stagione nella risalita del pallone. Lo svuotamento del centrocampo e la continua ricerca dei cambi di gioco e degli inserimenti delle mezzali rendono meno a loro agio Locatelli (o Arthur) – due palleggiatori molto abili nel gioco corto – rendendo più semplice per gli avversari controllarli o schermarne le linee di passaggio, essendo di fatto il mediano l’unico centrocampista deputato alla risalita del pallone. Il numero di passaggi per 90’ di Locatelli, sceso dagli 85.7 a Sassuolo ai 49.1 in maglia bianconera, fotografa bene il diverso contesto tattico in cui il centrocampista della nazionale si trova ad operare.

Sulla fascia sinistra, in fase di possesso, l’esterno basso (spesso Alex Sandro, meno spesso De Sciglio) è chiamato ad interpretare il ruolo di “quinto” di centrocampo, garantendo l’ampiezza e la copertura dell’intera lunghezza del campo. La tendenza della Juventus ad utilizzare la fascia destra come lato forte della propria manovra offensiva costringe spesso l’esterno sinistro a ricezioni in isolamento sul lato sinistro, assegnandogli grosse responsabilità offensive individuali. Sandro riceve quindi spesso il pallone senza una soluzione di passaggio comoda davanti a sé, impossibilitato a costruire una combinazione laterale e costretto a scegliere tra una soluzione in dribbling isolata, sempre meno nelle sue corde, oppure il riciclo all’indietro del pallone.

La mezzala sinistra ha difficoltà a fornirgli una soluzione offensiva, perché deve raggiungere il brasiliano partendo da una posizione troppo centrale. Inoltre Allegri in quel ruolo vuole un giocatore che sia in grado di muoversi a fisarmonica tra una posizione interna in fase di possesso e una esterna in fase di non possesso, avendo individuato in Rabiot e Bernardeschi gli unici due in grado di farlo, due giocatori a cui però manca lo spunto per rendere pericolosa quella posizione con iniziative individuali o inserimenti lungo i corridoi centrali.

Sulla fascia destra, dopo due stagioni positive da terzino, Cuadrado è tornato a occupare una posizione ibrida, da esterno a tutto campo, un ruolo che – in quel modo – alla Juventus può coprire solo lui, almeno secondo Allegri che ha optato per schierare Chiesa lì poco e malvolentieri. Come a sinistra, anche a destra a Cuadrado vengono date eccessive responsabilità offensive. Il colombiano non ha mai brillato particolarmente quando si tratta di prendere scelte creative e anche in questa stagione ha finito spesso per rallentare l’azione, non solo per colpa sua, o nel rifugiarsi nei cross.

I compiti peculiari richiesti ai due centrocampisti esterni hanno inoltre spinto Chiesa tra le due punte, tuttavia il figlio di Enrico è, a oggi, un giocatore che esprime il meglio del suo gioco quando può ricevere guardando la porta avversaria. Schierato da prima o da seconda punta in questo schieramento, invece, troppe volte è costretto a ricevere di spalle con il marcatore attaccato, una situazione di gioco in cui non brilla.

Storicamente il calcio di Allegri si sviluppa in maniera induttiva. Applicando un approccio bottom-up – partendo cioè dal basso verso l’alto - il tecnico livornese è sempre partito dalle caratteristiche dei suoi giocatori per trovare e affinare le connessioni tecniche tra loro per poi costruire la squadra. È per questo parecchio sorprendente la rigidità che sta mostrando in questa stagione, visto che sia la disposizione in campo che lo sviluppo del gioco sembrano sacrificare le migliori qualità dei suoi giocatori. La rigidità del 3-5-1-1, la scelta di difendere bassi e attaccare in un campo grande, lo svuotamento del centrocampo, l’isolamento degli esterni, una circolazione bassa prudente e orientata ai cambi da gioco e alla ricerca delle punte, sono tutte idee di gioco che sembrano aver ridotto i calciatori della Juventus a semplici pedine che devono interpretare una parte indipendentemente dalle loro qualità.

Il calcio di Allegri assegna ai suoi uomini grandi responsabilità nell’interpretazione delle singole fasi di gioco e dei momenti della partita e proprio per questo non può prescindere dal migliore utilizzo possibile delle qualità dei propri calciatori. Per un allenatore come Allegri il dogmatismo può essere davvero un peccato mortale.

L’ampia vittoria ottenuta martedì sembra indicare la strada che deve seguire la Juventus per migliorare le sue prestazioni. Contro lo Zenit c’è stata infatti una diversa interpretazione tattica della partita, con alcuni cambiamenti strutturali. I bianconeri hanno alzato notevolmente il baricentro in fase di non possesso, applicando un pressing sistematico sulla costruzione bassa degli avversari e giocando una transizione difensiva votata al recupero alto e precoce della palla. Una strategia che ha funzionato grazie a una fase di possesso palla per una volta convincente, con i giocatori della Juventus capaci di muovere e disordinare il blocco difensivo dello Zenit e – quindi – di riaggredire immediatamente gli avversari una volta perso il pallone.

La migliorata efficienza offensiva è figlia di una circolazione palla veloce e maggiormente orientata sul corto rispetto a quella vista in genere in questa stagione. A permettere un movimento rapido e su distanze brevi della palla è stata la continua creazione di linee di passaggio alternative, figlia di una fluidità posizionale e di un dinamismo senza palla davvero insolito per la Juve di quest’anno.

Per una volta in stagione la Juve ha superiorità numerica in zona palla e il portatore di palla ha tante soluzioni di passaggio. È anche una buona maniera di preparare la transizione difensiva.

In fase di possesso la squadra ha abbandonato il rigido 3-5-1-1, schierando inizialmente una linea di 4 difensori in fase di costruzione. Più avanti i due interni, Locatelli e McKennie hanno diviso il loro compiti, con il primo impegnato nella risalita del pallone e nell’organizzazione della manovra e il secondo nell’aggressione degli spazi lasciati liberi dai movimenti dei compagni. Chiesa e Bernardeschi hanno interpretato il ruolo di esterno in maniera differente, con il secondo che più frequentemente del primo è entrato dentro al campo a supportare la manovra e a preparare la transizione difensiva. Infine Dybala si è mosso con estrema libertà sulla trequarti avversaria, fungendo da catalizzatore tecnico e tattico della squadra che si è mossa con estrema brillantezza in relazione ai movimenti dell’argentino. Nel corso della partita la squadra ha poi modificato il proprio assetto, passando a un 4-3-2-1, con Dybala e Chiesa liberi di muoversi alle spalle di Morata. Questa soluzione ha spinto Chiesa sulla fascia sinistra, dove in pochi minuti è riuscito a guadagnarsi un rigore e costruire il gol del 3 a 1.

Al di là del modulo, contro lo Zenit, la Juventus è riuscita per una volta ad attaccare rimanendo compatta, grazie alla creazione di linee di passaggio corte, dovute a una maggiore fluidità dei movimenti, e quindi abbassando di conseguenza gli avversari. Oltre al contributo di Dybala, la circolazione di palla della Juventus è stata favorita dai movimenti senza palla di McKennie, particolarmente brillante col suo dinamismo nell’occupare gli spazi lasciati liberi dai movimenti dei compagni, e dell’utilizzo offensivo di Danilo che, abbandonando l’interpretazione eccessivamente prudente del ruolo di difensore laterale della linea a tre, ha giocato da terzino puro, arricchendo la sua prestazione con sovrapposizioni interne ed esterne particolarmente puntuali che hanno scardinato il blocco difensivo avversario e supportando con la sua tecnica il fitto palleggio sulla fascia destra della Juventus.

La fluidità della Juventus e l’importanza di Danilo nella circolazione della palla, Dybala si abbassa, McKennie si alza ad impegnare la linea difensiva al posto dell’argentino. Danilo serve Dybala e individuato lo spazio libero tra le linee lasciato libero dall’inserimento dell’americano si sovrappone internamente per ricevere il pallone in zona estremamente pericolosa per lo Zenit.

La partita contro la Zenit dimostra che basta cambiare alcune delle dinamiche fin qui applicate per trovare una squadra in grado di attaccare in maniera propositiva, sfruttando le qualità della sua rosa che, pur non raggiungendo i picchi di qualche stagione fa, non possono essere ignorate. La grande prestazione di Dybala, arrivata grazie al supporto dei compagni, e la capacità di incidere di Chiesa partendo alto a sinistra devono essere un messaggio per Allegri.

Nelle prime dieci partite della stagione 2015/16, quella della grande rimonta, Allegri aveva continuamente stravolto la squadra alla ricerca dell’assetto migliore. Forse si può dire che quello che è venuto dopo è stato merito della ricerca svolta in precedenza, mentre le cose non andavano bene. Quest’anno invece Allegri sembra essersi fossilizzato su una sua idea di squadra che però non sembra funzionare. Società, giocatori e tifosi devono augurarsi che la partita con lo Zenit non sia stata una fortunata eccezione, ma l’inizio di una nuovo percorso in cui il tecnico bianconero torni a fare quello che sa fare meglio: ovvero guardare e ascoltare il campo e i suoi giocatori e partire da lì per trovare la sua squadra.

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