Ricordo una partita di una noia mortale. Ricordo i tempi morti, i ritmi bassi, il tempo che non passava mai, i colpi di sonno. Ricordo una partita tra due squadre paranoiche e mosse solo dalla paura di perdere. Ricordo una delle partite più brutte viste allo stadio in vita mia. Era Bologna-Empoli ed era la prima partita di Thiago Motta sulla panchina rossoblù dopo l’esonero di Sinisa Mihajilovic. La squadra prese due traverse, Orsolini giocò in maniera frustrante e Bandinelli in contropiede regalò la vittoria all’Empoli.
Uscendo dallo stadio non sapevamo cosa pensare. Si era capito: il Bologna voleva costruire qualcosa ma non era molto chiaro cosa. Si era schierata a 4 in difesa e aveva provato ad alzare il baricentro e a stare in campo in maniera meno disperata. I giocatori si passavano la palla con l’attenzione di chi non è abituato a farlo: come se si stessero effettivamente passando quella palla per la prima volta nella loro vita, decifrando una coreografia sconosciuta.
Ripenso a quella partita perché è difficile sovrapporre l’immagine di quel Bologna a quello che diventerà poi. Associare quella squadra rigida, sterile e noiosa a quella libera e leggera che incanterà il campionato più o meno un anno dopo: la fluidità, gli scambi di posizione, i gol segnati dopo azioni da 35 passaggi. Usciti quel giorno dallo stadio le persone si domandavano per quale motivo seguissero il calcio, mentre quello gli stava per regalare una delle più grandi gioie della loro vita da tifosi. Dovevano aspettare solo un anno e mezzo.
Mi torna in mente quella partita adesso che la Juventus sembra giocare ingabbiata dentro una camicia di forza, e guardare le sue partite rappresenta un esercizio contemplativo. Una squadra che è diventata una sfarzosa macchina da zero a zero.
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Undici esseri umani allenati alla perfezione per imporre una supremazia militare che non può, in nessun modo, portare al gol. La Juventus non segna in campionato da tre partite consecutive: contro Roma, Empoli e Napoli. Non solo non ha segnato, ma ha dato l’impressione di non poter segnare mai, mai più. Ha suggerito che il gol, in effetti, potrebbe estinguersi dal calcio, e lasciarci ad arrovellarci su una soluzione alternativa per segnare il punteggio - 0,25 gol a ogni linea avversaria bucata? Contiamo direttamente gli xG per stabilire un vincitore?
Durante la partita contro la Roma la telecamera ha sorpreso Thiago Motta invitare i suoi giocatori alla calma, con una gestualità famigliare. Un tepore si è sciolto nel nostro cuore. Dove avevamo già visto quell’enfasi per richiedere calma?
Ne Gli Anelli del Potere Sauron è un entità che va oltre la fisica e la materia. Un’entità malefica che abita i corpi sotto le più varie forme; un virus. È cominciato quindi a sorgere un sospetto: che Massimiliano Allegri ancora abiti la Juventus, che sia ormai nei muri della Continassa, nei piedi di Vlahovic, nelle menti dei calciatori, che si ritrovano imprigionati in questo paradosso glaciale: non poter segnare gol, non poter subire gol. Il calcio come un incessante esercizio di mantenimento dell’ordine delle cose.
In questi giorni, tra il sorpreso e l’ironico, si producono meme sulla somiglianza tra questa Juventus e quella di Massimiliano Allegri.
Mi sembra un nodo interessante, dentro cui si sono impigliate alcune questioni più grandi su come parliamo di calcio e sugli effetti dei discorsi nelle aspettative degli appassionati.
Un nodo che nasce da un equivoco di fondo, e cioè che Thiago Motta sia stato assunto dalla Juventus per ragioni estetiche, per far divertire il pubblico. È un retropensiero che evidentemente esiste, se oggi si rileva con sorpresa il modo in cui gioca la Juventus.
Certo, Thiago Motta è arrivato per cambiare la mentalità della squadra, scrollandole di dosso la cappa di nichilismo allegriano. Questo non significa però che il club volesse un allenatore dal gioco spettacolare ma fragile, divertente e un po’ naïf. Thiago Motta non è quel tipo di allenatore, nonostante da quando è tornato in Italia facciamo di tutto per presentarlo come una specie di stregone eretico che sta portando il calcio ai limiti del conoscibile.
A Thiago Motta non piacciono le squadre che perdono il controllo, che si assumono eccessivi rischi e che giochino sull’onda delle transizioni.
Anzi, diciamo che è praticamente il contrario di così.
Come era già successo con Maurizio Sarri, si sono fraintesi i motivi per cui Thiago Motta è stato ingaggiato dalla Juventus. Non perché il suo gioco è esteticamente appagante, ma perché il suo gioco è tremendamente efficace. E perché questa efficacia è fondata innanzitutto sulla solidità difensiva della sua squadra. E per solidità difensiva qui intendo una cosa semplice: non subire gol.
Se il Bologna lo scorso anno è riuscito a ottenere una storica qualificazione in Champions League è innanzitutto perché non prendeva gol. Con 32 reti subite è stata la terza migliore difesa della Serie A: un gol in più di quelli subiti dalla Juve di Allegri - ma il dato è peggiorato dai 5 gol subiti nelle ultime due partite. In ogni caso il Bologna ha subito meno gol dell’ultima Juventus di Allegri scudettata e della Juventus di Sarri. Se consideriamo gli xG subiti, il Bologna era la seconda migliore difesa del campionato. È un aspetto che su Ultimo Uomo abbiamo sottolineato ripetutamente, con un approfondimento sulla difesa del Bologna lo scorso anno e con uno sulla difesa della Juventus qualche giorno fa.
Il Bologna lo scorso anno giocava la migliore fase difensiva della Serie A, parametrata sui mezzi a disposizione, e questo è il motivo principale per cui la Juventus ha assunto Thiago Motta come allenatore. Lo stesso motivo per cui Maurizio Sarri fu assunto come allenatore dai bianconeri: perché il suo Napoli giocava la migliore fase difensiva del campionato. Perché non prendeva gol.
Se guardiamo ai numeri offensivi del Bologna lo scorso anno, beh: i rossoblù avevano segnato meno della Roma o della Fiorentina di Italiano. Con 54 reti avevano fatto esattamente gli stessi gol della Juventus di Massimiliano Allegri.
C’era poi anche il gioco spettacolare, le grandi azioni, le cavalcate in conduzione di Calafiori, gli scambi di posizione, le rifiniture deliziose di Zirkzee. Tutto questo saltava all’occhio e monopolizzava il discorso. Creava un’associazione nel nostro cervello, tra questi momenti spettacolari e il nuovo rappresentato da una squadra underdog come il Bologna e da un giovane allenatore come Thiago Motta. Un’associazione che ha creato un piccolo fraintendimento. Non dico un fraintendimento totale, perché quel Bologna era davvero bello da vedere, ma un leggero equivoco legato a come parliamo di calcio in Italia. Un cortocircuito su alcuni concetti che abbiamo masticato fino a renderli dei boli mollicci e inservibili.
Cosa intendiamo per bel gioco? Cosa intendiamo per solidità difensiva?
Sono vecchie e velenosissime questioni, che hanno riguardato da vicino la Juventus e il suo allenatore in questi anni. Ci sono dei concetti sedimentati che fatichiamo a superare quando parliamo di calcio. L’idea, per esempio, che una fase difensiva fatta bene consista, in sostanza, nel difendersi vicini all’area di rigore e non perdere l’uomo in area. L’idea che una squadra prudente è una squadra che cede il pallone agli avversari e si limita a controllare gli spazi. L’idea, poi, ammessa sempre più malvolentieri ma che continua a esistere, che una squadra reattiva è una squadra più efficace, più vincente. L’idea che la difesa bassa sia una specie di trucco, un passe-partout universale con cui vincere le partite.
Di converso, tutto un altro insieme di idee. L’idea, per esempio, che tenere il pallone sia di per sé rischioso, che avere più possesso palla significhi produrre un gioco più spettacolare e più offensivo. L’idea che un gioco di possesso sia di per sé un gioco più fragile e più estetico.
Sono due schemi di pensiero che vengono usati in modo rigido per sostenere ideologicamente un lato del discorso. C’è chi è del partito del gioco offensivo e del possesso palla e della riaggressione; e poi ci sono quelli del partito del gioco brutale e semplice. Sono schemi di cui ci stiamo liberando, ma che continuano a pesare inconsciamente nel modo in cui parliamo di calcio.
Si sono creati due schieramenti che hanno usato questi concetti in modo ideologico, per sostenere una parte del discorso. Si sono perse le sfumature e così finiamo per sovrapporre le Juventus di Allegri e di Thiago Motta, e in questa sovrapposizione finiamo per perderci anche in cosa i due si somigliano. Per esempio l’ossessione per il controllo e una certa flessibilità. Entrambi ricercano questi aspetti generali, ma attraverso strade molto diverse. Allegri con uno stile di gioco ormai inefficace e per alcuni versi preistorico - senz’altro negativo (nel senso che nasce a partire dalle debolezze degli avversari più che sui propri punti di forza) e nichilista. Un gioco reattivo e ormai più liquefatto che liquido, in cui l’adattamento all’avversario era diventato ostentato e ideologico, non una condizione a cui adattarsi pragmaticamente in alcuni casi. Motta cura in maniera maniacale una fase difensiva aggiornata, con un pressing a uomo, portato su varie altezze del campo, e il possesso del pallone è anche uno strumento per portare l’avversario fuori dalla sua zona di comfort.
Eppure ci siamo ritrovati sorpresi e delusi di fronte a questa Juventus di Thiago Motta, che si difende col pallone e attacca senza; che usa la palla più per ordinarsi che per disordinare gli avversari. Una squadra che attraverso il controllo del gioco vuole innanzitutto prevenire i rischi. Una Juventus prudente, che non riesce ad andare in verticale, che tira poco e segna poco, il cui possesso palla a volte sembra un esercizio di stile, o peggio una strategia per impedire pure all’avversario di segnare. Un altro modo per prevenire i rischi. Un gioco che riesce davvero, e in modo supremo, ad annullare gli eventi della partita. Cioè ad arrivare all’obiettivo che si prefissava Allegri, senza riuscirci.
Si sono giocate solo 6 partite, ma i numeri sono impressionanti. La Juventus ha subito 1,77 xG in totale; la seconda migliore performance difensiva è quella della Lazio con 3,87. Per capirci: l’Inter ha subito lo stesso numero di xG della Juventus, ma solo nel derby contro il Milan. È una quantità così irrisoria da essere quasi inesistente. In più ottenuta con un calendario che ha già incluso le sfide contro Roma e Napoli. Siamo al punto in cui la Juventus avrebbe potuto quasi giocare senza portiere. L’unica parata rilevabile è stata quella di Di Gregorio su McTominay. In effetti le statistiche sui tiri fanno paura. La Juventus ha concesso solo 2 tiri “chiari” agli avversari, cioè due tiri in cui c’era solo il portiere tra il pallone e la porta. L’altra squadra che ha fatto meglio, la Lazio, ne ha concessi 7. In generale la Juventus ha concesso 33 tiri: 20 meno di quelli concessi dall’Inter.
Certo, poi ci sono le statistiche offensive. Solo il Monza ha creato meno xG della Juventus. Avete letto bene: la Juventus è penultima in Serie A per xG creati, finora. Le statistiche sui tiri anche sono poco confortanti: non è tra le squadre che ha fatto meno tiri, ma ha tirato tanto dalla distanza: è la squadra che tira da più lontano dopo il Venezia. Eppure è la terza squadra col possesso palla più alto. Si dice che tenere il pallone è il presupposto per creare più pericoli verso la porta avversaria, ma per la Juventus sembra vero il contrario. Tanto che forse l'unica statistica offensiva incoraggiante è quella sui tiri generati da situazioni di pressing alto.
Contro il Napoli, in quella che Fabio Barcellona ha definito nella sua analisi “la migliore Juventus della stagione”, si è vista una versione quasi perfetta di questo momento della squadra. Un undici che riesce a dominare il gioco attraverso il pallone, che arriva al 65% di possesso palla, ma che crea un dominio per lo più fine a sé stesso: conservativo nel senso più stretto del termine. Certo, si è vista molta fluidità, una costruzione del gioco fino alla trequarti fatta in modo molto organizzato, ma poi la Juventus non sapeva come fare gol. La palla sembrava soprattutto a servire a restare ordinati, a non concedere spiragli.
Negli ultimi anni di calcio le squadre sono diventate incredibilmente efficienti in transizione offensiva - il Liverpool, il Real Madrid, l’Inter lo hanno dimostrato ai massimi livelli - e prevenire le transizioni è diventata un’ossessione dei migliori allenatori al mondo. Se avete visto Arsenal e Manchester City fronteggiarsi l’altro giorno, o in generale se avete seguito le ultime evoluzioni di Guardiola al City, avrete fatto caso a quanto intensa sia la paranoia per le transizioni avversarie. Controllare l’entropia, farla scendere fino a un margine invisibile, è diventato l’obiettivo di diversi allenatori d’alto livello. Thiago Motta è uno di questi.
In allenamento i centrocampisti della Juventus non perdono il pallone. E tenere il pallone non è importante ma l’unica cosa che conta.
Ripenso a quella partita contro l’Empoli ed è chiaro che anche questo è un processo. Per costruire le fondamenta di una squadra che vuole controllare il gioco si deve prima sistemare la fase di possesso. Riscrivere il codice genetico dei calciatori e abituarli al possesso palla come a una seconda natura. Trovandosi più a proprio agio a dominare il campo col pallone, non sforzandosi più di pensare a come risalire il campo, potranno diventare più coraggiosi e creativi vicini alla porta. Poi si troverà la giusta formula offensiva, Koopmeiners e Yildiz troveranno la reciproca posizione, Nico Gonzalez capirà i tempi di gioco e forse persino Vlahovic troverà un senso - oppure verrà ceduto a gennaio. Si capirà chi dovrà ricevere sulla trequarti, chi dovrà andare in profondità, come si vorrà rifinire e definire l’azione. È un processo.
Thiago Motta ora ha trovato un equilibrio e una stabilità eccezionali, che probabilmente ricercava in questa prima fase, e dovrà capire come smuovere la squadra da questo equilibrio che sembra infrangibile. Accettare di assumersi qualche rischio in più, sacrificare una piccola parte di questa incredibile prevenzione del rischio.
Nel frattempo questa squadra sta mostrando in modo brutale quanto siano logori ormai certi modi di pensare al calcio, quanto sia impossibile usare le vecchie categorie per descrivere il presente.