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Federico Sborchia

Kai Havertz: storia di una rinascita

Sarà anche la sua Germania.

Se anche non fosse per l’importanza che ha a livello storico, Arsenal-Manchester United del 3 settembre 2023 avrebbe su di sé già un discreto carico di pressione per entrambe le squadre, seconda e terza forza della stagione precedente di Premier League, che nelle prime tre giornate hanno già perso dei punti evitabili – rispettivamente contro Fulham e Tottenham – in una corsa per il titolo che coinvolge una squadra non più perfettibile come il Manchester City. Entrambe le squadre devono vincere; entrambe le squadre hanno su di sé il peso di non ricadere nelle loro banter eras.

 

Poco prima della mezz’ora, su un pallone allontanato dalla difesa, Kai Havertz riceve stringendo da sinistra e con il sinistro cerca di riciclare il possesso verso Ødegaard al centro della trequarti. Il tedesco però tocca in modo scoordinato, con il corpo tutto ingobbito, dando al pallone poca forza e facendolo incurvare e ribalzare piano piano, favorendo l’anticipo di Eriksen, che controlla, se la allunga e manda subito in diagonale verso Rashford, che era partito alle spalle di White. L’inglese controlla con l’esterno del destro, stringe verso il centro, manda a vuoto White con un tocco verso il centro e si apre lo spazio per tirare sul secondo palo. Al suo primo tiro della partita, lo United si trova sopra all’Emirates, nella stessa partita – a campi invertiti – che un anno prima aveva interrotto l’imbattibilità dell’Arsenal. Il tutto neanche 15 minuti dopo che lo stesso Havertz aveva lisciato una palla decisamente comoda davanti alla porta di Onana.

 

Per fortuna di Havertz, lo United si dimostra, per la prima di tante volte in questa stagione, una squadra instabile. Praticamente sul calcio d’inizio Gabriel riesce a trovare Martinelli tra le linee, che apre una combinazione veloce con Zinchenko e Nketiah, riottenendo il pallone in area giusto in tempo per trovare il cutback decisivo su Ødegaard per l’1-1. Tra le due esultanze sono passati 35 secondi.

  

Il fatto che l’Arsenal, pur con discreta fatica, sia riuscito a venir fuori da questa partita con una vittoria – grazie a un gol di Declan Rice nel recupero – ha aiutato Havertz ad attirare meno critiche, ma non gli ha impedito di evitarsele del tutto. Arteta stesso, dopo la partita, ha dovuto esporsi pubblicamente per difendere il tedesco, reduce da due partite molto modeste contro Fulham e Crystal Palace, utilizzando come metafora il suo matrimonio: «Le cose possono essere difficili all’inizio. Quando ho conosciuto mia moglie è stato difficile conquistarla all’inizio. Ho cercato di scriverle e riscriverle e riscriverle e alla fine, quando mi ha detto di sì è stato bellissimo».

 

Questa filosofia, va detto, ha accompagnato il percorso di Mikel Arteta all’Arsenal sin dall’inizio. Pur avendo vinto due trofei nei suoi primi sei mesi, Arteta ha avuto bisogno di più di un anno per cominciare a dare una forma credibile alla sua squadra, passando per fasi in cui è stato contestato anche pesantemente e anche attraverso scelte controintuitive, come la conferma di Xhaka nell’estate 2021 o l’epurazione di Aubameyang nell’inverno 2022. Anche l’acquisto di Havertz è stata una scelta contestata, e anche in questo caso il percorso è iniziato con delle difficoltà evidenti.

 

Dopo la partita con lo United, Arteta ne ha rimesso in discussione lo status – aveva giocato da titolare tutte e 4 le partite precedenti, inclusa la vittoria nel Community Shield col Manchester City – lasciandolo in panchina sia contro l’Everton che nel derby contro il Tottenham in Premier League e facendolo giocare solo nella partita di Champions contro il PSV. Ad aiutarne il reintegro sono poi intervenuti gli infortuni di Rice e Fabio Vieira, che lo hanno fatto tornare titolare contro il Bournemouth a fine settembre, quando Ødegaard e Saka arrivano a cedergli un rigore sul 2-0 per farlo sbloccare. Poi il suo rendimento è cominciato a salire, seppure sempre molto gradualmente.

 

Nella partita dell’8 ottobre contro il City – in cui l’Arsenal si presenta senza Saka e con Martinelli in panchina – comincia nuovamente in panchina, ma subentra a un quarto d’ora dalla fine al posto di Nketiah ed è lui a ricevere da Tomiyasu in area, proteggere il pallone dall’aggressione di Aké e appoggiarlo per Martinelli, da cui partirà il tiro, deviato dallo stesso Aké, che darà alla squadra di Arteta la prima vittoria sul City in Premier dal 2015.

 

La crescita di Havertz all’interno del sistema dell’Arsenal è stata particolare: al suo arrivo dal Chelsea, l’intenzione di Arteta era quella di utilizzarlo come sostituto de facto di Xhaka, ossia quello di una mezzala deputata a ballare tra la seconda e la terza linea, cercando di creare fluidità nell’occupazione dei corridoi di sinistra con Martinelli e Zinchenko. In realtà, questa base teorica ha nascosto in sé un’intenzione più ampia e profonda, riconoscibile anche nel modo in cui è stato usato Jurrien Timber nelle sue partite prima dell’infortunio – in modo praticamente uniforme da centrale, esterno in appoggio a destra e falso terzino a sinistra – e Declan Rice – da lone six davanti alla difesa, da supporto a Jorginho e addirittura come incursore vero e proprio.

 

Insomma, l’idea di base di Arteta era quella di avere a disposizione giocatori tatticamente flessibili, che potessero aggiungere imprevedibilità a una squadra sì efficace ma generalmente ancorata a situazioni molto predefinite, come i triangoli costruiti da White, Ødegaard e Saka a destra e, appunto, da Zinchenko, Xhaka e Martinelli a sinistra.

 

Havertz a questo sistema ha aggiunto una fluidità fuori dal normale: anche nelle partite in cui è partito, nominalmente, da mezzala, ha fatto vedere dei movimenti da centravanti, come i tagli sul primo palo con cui libera Martinelli e Gabriel Jesus nel 4-3 di inizio dicembre contro il Luton – in cui segna anche un gol andando ad attaccare lo spazio centrale aperto dal movimento verso l’esterno di Gabriel Jesus – o il modo in cui si avventa sul secondo palo per segnare il gol decisivo nella trasferta contro il Brentford.

 

È paradossale che queste partite siano arrivate a cavallo di un momento quasi drammatico in Nazionale, in cui Nagelsmann aveva deciso di usarlo come terzino sinistro, quasi sancendone l’inadeguatezza a giocare in quelle zone di campo dove i giocatori diventano qualcuno e di fatto allontanandolo dai due nuovi centri creativi della squadra, ossia Wirtz e Musiala.

 

Proprio nel rapporto con questi due si è consumata l’implosione della reputazione di Havertz: mentre il tedesco finiva ad annaspare nel tracollo tecnico e societario del Chelsea, Musiala era diventato un pilastro del Bayern, con le sue conduzioni leggere e il suo modo di fluire attraverso i difensori, e Wirtz, che lo aveva di fatto sostituito nel Leverkusen, cominciava a diventare la sua versione più cool. In un anno e poco più, insomma, Havertz era passato dall’essere il futuro leader tecnico della nazionale tedesca a diventare il simbolo di una generazione – quella che tra la seconda metà degli anni ’90 e l’inizio del 2000 – dispersa e metaforica di una nazionale acefala, capace di farsi eliminare due volte ai gironi di un mondiale e di uscire in maniera rovinosa da un europeo.

 

Arteta e Nagelsmann si sono quindi trovati davanti allo stesso dilemma ma ne sono usciti con due soluzioni estremamente diverse. Se Nagelsmann ha provato a inserire Havertz in uno stampino diverso sperando di dargli una forma nuova, Arteta ha deciso di non incasellare il suo talento, confidando nel fatto che, in un contesto che da due anni esalta i propri i singoli, avrebbe ricominciato a trovare le sue certezze.

 

Su The Athletic, Michael Cox ha definito quello di Havertz – e parallelamente quelli di Gakpo del Liverpool e, pur con premesse diverse, Julian Alvarez del Manchester City – un ruolo da 8.5: una specie di numero 10 in un’epoca in cui quel ruolo è stato di fatto eliminato dal gioco. Havertz, da piccolo, aveva sempre ammesso di vedersi con il numero 10 sulla schiena e verosimilmente non riuscirà più a diventare quel tipo di giocatore né concettualmente, viste le continue evoluzioni tattiche che lo hanno trasformato in questo particolare ibrido, né praticamente, dato che sin dal suo esordio ha sempre avuto la maglia numero 29 sulla schiena.

 

Questo, per paradosso, rende ancora più sorprendente il fatto che sia riuscito a inserirsi, lentamente ma comunque bene, in un sistema posizionale che avrebbe potuto facilmente rigettarlo da subito. Nel suo processo di ambientamento nell’Arsenal, Arteta ha deciso di lasciargli un ruolo meno codificato, che lo ha trasformato in un agente libero all’interno di una squadra dove le funzioni sono comunque abbastanza ben definite.

 

Nella seconda partita contro il Liverpool di inizio gennaio Havertz ha dato mostra in modo evidente di ciò. In questa occasione il tedesco parte come falso nove e lo si vede spesso impegnato a ingaggiare duelli con Konaté sul centrosinistra offensivo, in una dinamica simile a quella che aveva portato poi all’assist per Martinelli contro il Manchester City a ottobre.

 

Quello che però non siamo abituati a vedere nell’Arsenal – e nell’Havertz degli ultimi due anni – è quello che succede al 14’ del primo tempo, quando viene incontro quasi fino alla trequarti difensiva, riformando il trio di centrocampo teorico con Jorginho e Ødegaard, riceve dal primo e appoggia velocemente su Gabriel, portando su di sé Gakpo e liberando la corsa di Zinchenko sull’esterno.

 

 

Sul tipico 3+2 (White è fuori inquadratura a destra) di costruzione dell’Arsenal, Havertz si abbassa per aprire una linea di passaggio a Jorginho, che riceve da Gabriel.

 

  

Il movimento di Havertz ruba l’attenzione di Gakpo, che lo segue verso il centro del campo aprendo lo spazio per Zinchenko. Con due tocchi di prima, Havertz va da Gabriel e Gabriel manda Zinchenko a invadere lo spazio apertosi alle spalle dell’olandese.

 

Quando la palla arriva sul piede dell’ucraino, Havertz comincia a risalire il campo e appena Zinchenko interrompe la sua progressione, lui scappa alle spalle di Mac Allister, mentre Ødegaard si ferma nel cerchio di centrocampo per offrire lo scarico all’ucraino. Il movimento del norvegese costringe quindi van Dijk a uscire aggressivo, facendogli lasciare una sacca di campo perfetta da attaccare per Havertz e una palla fin troppo facile da dare per Ødegaard, che di prima lo manda solo davanti ad Alisson. Il tiro del tedesco viene parato ma sulla respinta Saka deve solo appoggiare in porta.

 

 

Alexander-Arnold è costretto a uscire su Zinchenko, indicando a Konaté di prendere Martinelli mentre van Dijk tenta di anticipare Ødegaard. Mac Allister, non nel suo ruolo ideale, è poco reattivo a cogliere il movimento di Havertz, che quindi va a prendere lo spazio aperto dai due centrali.

 

 

Ødegaard trova quindi una palla filtrante comoda per lanciare Havertz nello spazio aperto, con Konaté che lo rincorre e Joe Gomez costretto a ripiegare su di lui, lasciando Saka libero di accompagnare l’azione; sarà poi quest’ultimo a mettere in porta dopo la parata di Alisson.

 

La presenza di Saka a evitare che questo diventasse solo uno dei tanti gol sbagliati di Havertz ha contribuito a mantenere in luce tutto il lavoro fatto per creare questo tiro senza nasconderlo sotto la coltre dell’errore finale sul tiro. E questo, in realtà, è simbolico del modo in cui ha senso valutare il tedesco.

 

A distanza di cinque anni dalla sua esplosione come terminale offensivo de facto del Bayer Leverkusen, possiamo dire che Havertz probabilmente non diventerà mai un finalizzatore straordinario e altrettanto probabilmente continueremo a vederlo sbagliare gol in modo anche buffo. Eppure, gran parte delle occasioni che sbaglia sono occasioni che senza di lui e senza il suo affresco di movimenti con e senza palla neanche esisterebbero.

 

In questo sta l’eccezionalità di Kai Havertz: nell’essere un giocatore che fa tante cose nelle sue partite ma che non sono quasi mai tanto evidenti – ed è oggettivamente curioso dirlo di fronte a quella che è di netto la sua miglior stagione per gol e assist in Inghilterra – quanto sono decisive. E se questo può essere parzialmente intuibile quando si tratta di costruire occasioni, lo è sicuramente meno quando sono gli avversari ad avere il pallone.

 

Se oggi l’Arsenal ha per le mani una delle fasi difensive più efficaci in Europa è molto merito anche della qualità che lui e Ødegaard mostrano nella prima pressione, tanto che i due sono tra i migliori centrocampisti offensivi per palloni recuperati in Premier League, rispettivamente con 3.3 e 4.5 per 90’. Questi numeri confliggono con l’idea che si tende ad avere di Havertz come un giocatore con gli occhi spenti, che corre ingobbito, che sembra avere sempre poca voglia di stare in campo e che in molte interviste ha parlato del calcio come di qualcosa di quasi secondario nella sua vita. Risulta per questo ancora più surreale che anche nella sua prima, e penultima, partita da terzino in Nazionale si sia visto un giocatore, per quanto possibile, applicato nell’eseguire le diagonali.

 

Anche nell’autunno 2023, il suo periodo peggiore, Havertz è stato comunque l’unico giocatore in campo nell’Arsenal a dare delle soluzioni per uscire velocemente dalla pressione, sporcandosi le mani nel fare a spallate con i difensori avversari e offrendo appoggi vitali per i lanci lunghi di Raya. Statisticamente parlando, ha quasi raddoppiando le sue medie di duelli aerei vinti a partita – da 1.8 per 90’ del suo primo anno al Chelsea a 3.4 di questa stagione – tanto da diventare anche un giocatore impattante nei calci piazzati, su cui ha segnato il terzo gol nel North London Derby di fine aprile e in cui ha contribuito a costruire la batteria offensiva più efficace dell’intera Premier League.

 

Il percorso che ha riportato Havertz a trovare una credibilità nel calcio di élite è stato molto lungo e lo ha portato fuori dal club dove, al netto del suo picco di splendore con il gol in finale di Champions League, ha sempre dato la sensazione di essere un giocatore incompiuto, apprezzato più per quel gol che non per le sue qualità. Inoltre, se in un contesto emotivamente e tatticamente disfunzionale come quello del Chelsea, Havertz è sempre sembrato il primo a crollare quando la squadra andava in difficoltà; nell’Arsenal, invece, è progressivamente diventato uno di quei giocatori che riescono a tenere alto il livello anche quando i compagni cominciano a faticare.

 

La distanza, tanto simbolica quanto qualitativa tra l’Arsenal e il Chelsea è emersa poi in modo chiaro nel derby di fine aprile, in cui Havertz ha segnato due gol che avrebbero potuto essere anche quattro – su uno è stato impreciso lui, sull’altro è servito un mezzo miracolo di Petrovic – e in cui ogni suo movimento e ogni suo tocco hanno contribuito a qualcosa di utile. Che fosse un appoggio su Thomas Partey per liberare Rice, un triangolo con Tomiyasu sulla sinistra, una sponda di petto per favorire il movimento di Ødegaard verso l’area o un movimento a dettare la linea di passaggio a Ødegaard stesso, Havertz ha puntinato la sua partita di giocate utili anche quando invisibili e come premio ha ottenuto due gol, rispettivamente decimo e undicesimo in Premier League, e il coro dei tifosi dell’Arsenal, che lo hanno celebrato cantandogli, come ormai da inizio stagione il suo coro sulla base di Waka Waka: “Sixty milion down the drain / Kai Havertz scores again.”

 

Nell’Arsenal, Havertz ha trovato sì un contesto tattico favorevole ma anche un ambiente che gli ha dato supporto dal primo secondo anche solo per riconoscere ad Arteta una fiducia ben meritata dopo quattro anni in cui ha ricostruito, pezzo per pezzo, la credibilità dell’Arsenal. E per Havertz avere la sensazione di essere un giocatore importante è stato cruciale.

 

Soprattutto sotto questo aspetto, Arteta non gli ha mai fatto mancare il suo appoggio: dopo la partita con il Chelsea ha indicato nell’intelligenza di Havertz la sua migliore qualità, sottolineando la sua capacità di leggere gli spazi, il tempismo con cui li attacca e il modo in cui si muove in relazione ai movimenti degli avversari. Ecco, guardando le partite di Havertz si nota questo: tanti piccoli movimenti utili, tante corse per portare via uomini e aprire spazi, tanti tocchi semplici che creano superiorità. Un microcosmo di giocate in cui il suo talento diventa strumentale per far brillare quello dei compagni.

 

Il lavoro fatto con Arteta ha poi permesso ad Havertz anche di riprendere in mano il filo della sua narrazione in nazionale. L’esperimento di impiegarlo come terzino, per sua fortuna, si è esaurito dopo le due partite di ottobre 2023; in quelle di marzo, contro Francia e Olanda, Nagelsmann gli ha restituito un ruolo più coerente con quello che ha nell’Arsenal e, anzi, ha proprio parlato pubblicamente in questo senso: “Kai è cresciuto molto. Ha ricevuto molti riconoscimenti dal suo allenatore e dal suo club. Contro la Francia giocherà titolare come centravanti.” Ed effettivamente questo è successo, contro la Francia, Havertz ha replicato tutto il set di movimenti che ha mostrato nell’Arsenal, andando a cercare il duello con i centrali o muovendosi incontro per giocare sulla stessa linea di Gundogan, alternandosi con lui nei movimenti in profondità come spesso fa con Ødegaard e creando questa linea da doppio 10 che gli permette di occupare e creare spazi come più reputa opportuno.

 

Il gol del 2-0 della Germania contro la Francia è un ottimo manifesto della sua funzionalità in questo contesto: su una conduzione di Wirtz a rientrare verso il centro, Havertz viene incontro attirando fuori posizione, lasciando uno spazio che viene rapidamente occupato da Musiala, il quale riceve in profondità da Wirtz e arriva dentro l’area. Qui il controllo di Musiala non è particolarmente pulito e lo costringe a defilarsi, dovendo quindi limitarsi a rimettere in mezzo dopo aver saltato il portiere. Per sua fortuna, Havertz, dopo il movimento incontro, aveva invertito subito la sua corsa, modulandola alla perfezione per arrivare sul pallone e segnare.

 

A distanza di sette mesi dalla partita forse peggiore della sua stagione, in cui il suo status è stato quasi definitivamente distrutto dalle critiche, Havertz è tornato un giocatore in forma straordinaria. Oltre alle cose invisibili con cui riempie le sue partite, sono cominciate a tornare anche quelle più visibili: oggi è il terzo miglior giocatore della Premier per gol e assist nel 2024 – 13, dietro solo a Cole Palmer e Ollie Watkins – ed è tornato a essere un uomo importante sia per il suo club, come non gli succedeva da cinque anni, che per la sua nazionale, come non gli era mai successo. Insomma, la fiducia di Arteta è stata ripagata con un giocatore restituito al calcio nella sua forma più bella, con anche la sensazione che il lavoro con lui non sia ancora finito.

 

Arteta ha rimesso in piedi Havertz, gli ha tolto lo sguardo basso e la postura ingobbita, e lo ha reso un giocatore migliore. Per utilizzare le parole dello stesso Havertz: «Mi ha mostrato un modo diverso di giocare a calcio». Alle porte dell’Europeo della sua maturità, a cui arriva a 25 anni, Havertz non è circondato dall’hype. Lo ha lasciato a Musiala e Wirtz, ma a fari spenti si è ripreso un ruolo importante nella Mannschaft. Nonostante sia andato vicino a perdere il posto a favore del roccioso Niklas Fullkrug, e sarebbe stato in qualche modo significativo della sua parabola, nelle ultime partite Nagelsmann lo sta usando da punta centrale. È troppo prezioso per il gioco di raccordo sulla trequarti, le piccole rifiniture, gli smarcamenti, la sua intelligenza. Il problema di giocare quel ruolo è sempre che bisogna saper sfruttare le proprie occasioni sotto porta, una bella incombenza per uno come Havertz. Il suo percorso ci ricorda in quanti modi diversi si può trovare la propria affermazione nel calcio d’alto livello.

 

 

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Federico Sborchia nasce a Roma nel 1999. Tifoso di Roma e Arsenal. Dal 2015 scrive di calcio inglese e dal 2022 conduce il podcast Britannia.