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Koulibaly si è guadagnato il rispetto sul campo
01 feb 2018
Koulibaly ha acquistato sicurezza negli anni, diventando "un gigante che compare ovunque ci si volti".
(articolo)
9 min
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Da ragazzino Kalidou Koulibaly era rappresentante di classe. Per il campo scolastico chiese e riuscì a ottenere delle porte da calcio, in aggiunta ai canestri. Poco lontano da lì c'era un altro terreno di gioco. È il campo sintetico del suo quartiere, Kellermann. Dove ha avuto inizio la sua formazione e dove lui è stato notato dalla squadra locale, l'FC Saint-Dié. Kalidou ci andava a giocare con i ragazzi più grandi, finché non scendeva la notte, ogni sera d'estate. Su quel campo di Kellermann è tornato a giocare con gli amici, nell'estate in cui passò dal Genk al Napoli. È qualcosa di umano, voler accarezzare le radici prima di espandersi e aggiungere distanza.

Oggi, alla quarta stagione con la maglia azzurra, Koulibaly è uno dei più apprezzati difensori d'Europa. Puntato dai migliori club del mondo, benedetto da Lilian Thuram, esaltato da Maradona («È il miglior calciatore del campionato. Se fosse bianco, giocherebbe al Barcellona o al Real Madrid»).

“Una vera spugna” lo descriveva Olivier Perrin, il suo allenatore a Metz, l'uomo a cui Miralem Pjanić chiese consiglio prima di firmare con la Roma, per sapere se fosse adatto al campionato italiano. Kalidou imparava in poco tempo quello su cui altri impiegavano anni. “Se sbagliava una cosa la prima volta, sistematicamente la seconda volta la correggeva”. Ascoltava suggerimenti anche da giocatori che per loro stessa ammissione erano più scarsi di lui. Di recente ha teorizzato che “per crescere bisogna ascoltare le critiche” e ha ammesso di essere un perfezionista.

In volo (foto di Francesco Pecoraro / Stringer).

“Viva, viva 'o Senegal”, cantava Pino Daniele nel 1991, l'anno in cui Kalidou Koulibaly nasceva da genitori senegalesi in una cittadina della Lorena, a pochi chilometri dal Reno e dal confine tedesco. È un déodatien di Saint-Dié-des-Vosges, ventimila abitanti, famosa per i suoi monasteri e santuari e per la mappa del cartografo Waldseemüller (1507), dove per la prima volta si usò la denominazione "America" e per la prima volta il continente venne separato dall'Asia. A marzo 2015 Koulibaly ha ricevuto un'onoreficenza dal sindaco, in quanto eccellenza locale.

Cresce nel quartiere popolare di Kellermann, dove vivono gli stranieri della cittadina (1 ogni 5 abitanti). Quest'estate di Kellermann si è parlato per una serie di incendi dolosi, che si è scoperto poi essere stati appiccati da un volontario dei vigili del fuoco. Koulibaly cresce con quella che chiama “una doppia cultura”. I genitori sono arrivati in Francia, dal Senegal, prima della sua nascita. Il padre ha trovato lavoro come operaio, la madre come cameriera. I suoi amici sono prevalentemente africani, soprattutto algerini e senegalesi. La sua lingua è il francese, ma se la cava anche con la lingua fula. Molto tempo dopo, diventato genitore a sua volta, Kalidou manderà il figlio alla scuola italiana, convinto che “l'unione tra le culture possa essere la soluzione contro il razzismo”.

Era un bravo studente, e ha continuato a esserlo a lungo. In un momento critico arrivò a mettere il calcio in secondo piano, rispetto all'obiettivo di diplomarsi. E dopo aver preso quel diploma, pensò di iscriversi all'università: Matematica. Se non avesse fatto il calciatore, avrebbe voluto lavorare in banca o in una compagnia assicurativa. Sui soldi è molto preciso e intelligente, amministra non solo i propri ma anche quelli dei familiari, a detta del suo agente.

Estate 2011, torneo di Tolone, ventenne con la maglia della nazionale francese (Valerio Pennicino / Stringer).

A quattordici anni entra nella scuola di formazione del Metz. Ci resta per due anni, tra i suoi compagni c'è appunto Pjanić. Ma lui fatica a trovare fiducia in sé stesso e a superare i propri limiti. A posteriori, sarà molto netto: “Il mio livello non era all'altezza, quindi non mi hanno tenuto”.

Torna indietro. Di nuovo all'FC Saint-Dié. Di nuovo a contrastare persone molto più grandi di lui, trenta e quarantenni, padri di famiglia, invece che coetanee promesse del calcio francese. È una prova complicata, che lui all'inizio prende male: “Ero insopportabile, sia con gli amici che con i miei genitori”.

Secondo la fidanzata storica, Charline, quella sconfitta personale gli ha dato la forza necessaria per crescere. E infatti nel 2009, tre anni dopo, il Metz torna sui suoi passi e la carriera di Koulibaly si mette in discesa.

Charline è diventata la madre di suo figlio. Il bambino che a maggio scorso lo accompagnò sul prato del San Paolo, insieme a un amichetto: il miglior momento della stagione, secondo Kalidou.

Il 2011 segna il punto di svolta. Titolare in Ligue 2 con il Metz (in quella squadra ci sono i futuri compagni di nazionale Sadio Mané e Diafra Sakho), a dicembre arriva a indossare la fascia di capitano contro il Monaco, scambiandosi il gagliardetto con Ludovic Giuly. E quell'anno indossa la maglia francese al prestigioso torneo di Tolone e poi ai Mondiali U20. Qui in particolare gioca da titolare fino alla semifinale col Portogallo, che per lui ha due facce: un primo tempo perfetto, un secondo tempo con due errori decisivi che costano l'eliminazione.

L'umiltà, la semplicità e la disponibilità all'ascolto sono i concetti su cui insiste chiunque abbia conosciuto Koulibaly prima che diventasse uno dei migliori difensori in circolazione. È sempre lo stesso da quando aveva 8 anni, ha spiegato un amico d'infanzia.

In campo questo si tramuta, all'inizio, in una certa timidezza e nella paura di imporsi. Poca personalità. Così lo ricordano nel primo passaggio a Metz, così lo ricorda il compagno di reparto Sébastien Faure al Mondiale U20 (“Restava in punta di piedi”). Proprio il selezionatore di quella rappresentativa aveva invitato Koulibaly “a forzare il suo temperamento”.

I due anni in Belgio cambieranno le cose, anche se non immediatamente. Pian piano Kalidou diventerà un leader, sublimando le caratteristiche naturali che i compagni avevano avvertito subito ma nei primi mesi erano rimaste soffocate dai suoi silenzi.

Aveva lasciato la sua regione e la Francia, nel 2012, perché il Metz era retrocesso e il Genk poteva essere il contesto giusto per crescere. Glielo aveva consigliato l'amico Steeven Joseph-Monrose, che oggi guida l'attacco degli azeri del Qəbələ. Il settore giovanile dei Blauw-Wit, d'altronde, all'epoca aveva già valorizzato giocatori come De Bruyne, Courtois e Ferreira-Carrasco (e oltre a lui avrebbe valorizzato Milinković-Savić e Leon Bailey).

All'arrivo al Genk, un dirigente gli spiega che dovrà sistemare una difesa fragile per farsi accettare. E lui stesso, tempo dopo, riconoscerà che nel calcio “il rispetto si guadagna sul campo. Se fai il fico, non può funzionare. Se sei generoso, gli altri saranno generosi con te”.

Il piano individuale, a Koulibaly sembra interessare solo relativamente. Anche in occasioni più recenti, ha sottolineato l'importanza dello spirito di gruppo, e ha parlato espressamente di solidarietà.

Settembre 2013, con il Genk a Kiev per una gara di Europa League. Più o meno in questo periodo, il Napoli inizia a corteggiarlo (foto EuroFootball / Stringer).

“K2” l'hanno soprannominato a Napoli, mettendo insieme le sue iniziali e l'immagine classica del difensore invalicabile come un muro o una montagna. Da ragazzino, fin dai pulcini, sul piano fisico dominava gli altri. Oggi in realtà è meno grosso di quanto sembri. Nella conferenza stampa di presentazione a Napoli, significativamente, venne specificato che Koulibaly fosse alto 187 cm e non 195 come diceva Wikipedia. Il fatto è che la sua forza atletica, abbinata al senso del tempo e all'aggressività, lo rendono onnipresente come un gigante che compare ovunque ci si volti.

Maturo e imponente, eppure Kalidou ha ancora tratti infantili. Nel periodo in Belgio eseguiva ogni mattina lo stesso rituale: guardare i cartoni animati, prima di uscire di casa. La scelta di rappresentare il Senegal l'ha presa in un confronto che riuniva la famiglia. E ora che l'infortunio di Ghoulam l'ha privato, oltre che di un vero amico, del compagno con cui divide la stanza, Koulibaly dice di soffrire la solitudine: “Per me è dura da sopportare”.

2016. Nella famiglia che è il Napoli.

L'arrivo a Napoli nell'estate 2014, per meno di otto milioniè frutto dell'intuito e della tenacia di Rafa Benítez. Il tecnico lo tempesta di chiamate fin dal dicembre 2013. Le prime due volte Koulibaly gli attacca il telefono in faccia, convinto che sia uno scherzo. “Mi pareva del tutto surreale. Dopo ero imbarazzato, continuavo a scusarmi”.

La prima stagione in Italia non è positiva, l'adattamento è complicato. Anche se a scuola aveva studiato l'italiano. Anche se l'estate del trasferimento si giocava la Coppa del Mondo, e quindi il centro sportivo era abbastanza vuoto per poter familiarizzare con calma e non lasciarsi impressionare “da stelle come Callejón e Hamšík”.

“Oggi sono un altro calciatore” riconosce. È trascorso il tempo, lo ha saputo far fruttare. Grazie a Sarri, alle sue critiche, al lavoro, ha compiuto passi giganteschi.

E a Napoli è amatissimo, nonostante il suo ruolo accenda meno rapidamente l'immaginario (“Noi difensori facciamo un mestiere ingrato”). Talmente amato da non poter camminare in certe zone per quanta gente lo ferma (“Credo che la mia famiglia conosca la città meglio di me”). Addirittura è successo che Diego Armando Maradona chiedesse la sua maglia con il numero 26 e la mostrasse in foto.

Sembra l'uomo perfetto per abbassare i toni, in stagioni delicate come quelle che ha vissuto e sta vivendo col Napoli. Perfetto per dare equilibrio quando la lotta al vertice del campionato può destabilizzare l'ambiente. “Non si esaltava per una buona gara, non drammatizzava quando le cose andavano male” lo ricorda il tecnico Dominique Bijotat a proposito di Metz. E poi l'adrenalina gli piace e la pressione non lo turba: anzi, dice che lo fa giocare meglio, perché la sa gestire.

In volo, a novembre scorso: il Senegal aveva staccato il biglietto per Russia 2018.

Durante un Lazio-Napoli di due anni fa, alcuni tifosi lo prendono di mira a colpi di ululati. Allora chiede all'arbitro, e ottiene, che la partita venga sospesa. Al fischio finale un bambino laziale si scusa con lui per quello che è successo, Koulibaly gli regala la maglia. “È triste che la gente paghi il biglietto per urlare contro di me” dirà poi. Al turno successivo, gli spalti del San Paolo si riempiono di immagini con la faccia di Koulibaly. Che si commuove: “Non lo dimenticherò mai”.

Pochi giorni dopo, il Ct francese Deschamps spiega che sta seguendo K2 in prospettiva di una convocazione. “Si è perso qualche passaggio” commenta lui.

Sì, se l'è perso. Perché a settembre 2015 Koulibaly ha esordito con il Senegal. La Francia si è messa fuori gioco, ci ha pensato troppo prima di chiamarlo in nazionale maggiore. E di fronte ai tentennamenti, Koulibaly ha fatto una scelta. D'altronde, osserverà: “Avevo ventiquattro anni e avevo perso già abbastanza tempo”.

Con i Leoni della Teranga andrà in Russia, sedici anni dopo l'unica partecipazione ai Mondiali. Aliou Cissé, capitano della squadra che nel 2002 si fermò solo ai Quarti, sarà il più giovane Ct della manifestazione. Per Koulibaly è un girone equilibrato, dove il Senegal avrà tante possibilità di passare quanto gli altri (Polonia, Colombia e Giappone).

Durante le Qualificazioni, si diceva molto ottimista e vedeva solo un ostacolo psicologico, per coprire la distanza tra il talento e la meta: “Bisognerà non dubitare delle nostre qualità”.

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