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09 nov 2015
La vittoria dei Kansas City Royals alle World Series contro i New York Mets ha rappresentato il trionfo di un intero territorio.
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Piantagioni a perdita d’occhio, e poi fattorie. Il Midwest, il cuore rurale degli Stati Uniti d’America, è la parte del Paese che conserva i legami più ancestrali con il gioco del baseball, che affonda le proprie radici proprio nel ciclo delle stagioni ed è strettamente connesso alla terra e ai suoi rituali. Quando in Italia era l’alba di lunedì 2 novembre Kansas City, la parte dell’agglomerato urbano che si trova al di qua del Missouri River, ha trionfato nelle World Series di baseball, battendo i New York Mets 4-1. Il successo dell’America della campagna su quella metropolitana è stato celebrato pochi giorni dopo da una marea colorata “blu reale”, stimata in circa 800mila persone, che si è riversata nelle strade della città del Missouri riempiendo ogni angolo dello spazio tra Union Station e il Liberty Memorial.

Più che la festa di una città (che in fondo conta poco più di 450mila abitanti) è stata la festa di un territorio che ha vissuto in stretta simbiosi con la squadra le ultime due straordinarie stagioni. I Royals sono una squadra con uno spiccato senso d’appartenenza: orgogliosa e spigolosa per ogni avversario. Caratteristiche che si sono sublimate durante la serie finale, permettendogli di mettere fine a un digiuno durato 30 anni.

Raramente si vede un allenatore che corre consapevolmente verso la doccia gelata.

Romanzo nel romanzo

In gara 1 delle World Series il Kauffman Stadium di Kansas City si è trasformato per qualche inning nel teatro di Dioniso di Atene, con protagonista il lanciatore dominicano Edinson Volquez. A poche ore dalla partita il padre 63enne Daniel decide che è giunto il momento di passare a miglior vita. Ne viene informata la moglie Roandy, in realtà la vera eroina tragica della vicenda, posta di fronte al conflitto inconciliabile: decidere se rivelare la notizia al marito, che a 32 anni sta per esordire nelle World Series, oppure no. È inutile ribadire quanto sia delicata la psicologia di un pitcher e quanto saldo debba essere il suo animo durante gli inning in cui rimane in campo. Roandy decide che Edinson non lo deve sapere, alza la cornetta e chiama il GM dei Royals, Dayton Moore, che a sua volta informa dell’accaduto l’allenatore Ned Yost.

Mancano meno di due ore alla partita e Yost decide di allertare Chris Young, nel caso Volquez apprendesse la notizia, che nel frattempo era dilagata sui social network. Tutto il resto dei Royals resta però all’oscuro e la partita comincia. Volquez lancia per sei inning riuscendo a cavarsi d’impaccio da situazioni complicate e consegnando al rilievo un punteggio ancora in parità.

«Avrei voluto abbracciarlo e dirgli quanto ero orgoglioso, ma non spettava a me», ha spiegato Ned Yost a fine partita. Spettava infatti a Roandy, che ha provveduto poco dopo nella pancia dello stadio. Nel frattempo i Royals avevano vinto gara 1, che si era protratta fino al 14.esimo inning, con un sacrifice fly di Eric Hosmer (una battuta che consente l’eliminazione del battitore, ma permette a un compagno di segnare il punto), recuperando una partita che sembrava ormai persa, grazie a un home run di Alex Gordon al nono inning.

Il punto del pareggio segnato da Escobar in gara 1.

Volquez è tornato a lanciare in gara 5, quella che avrebbe sancito il trionfo dei Royals, completando altri sei inning.

Volqez traccia le iniziali del padre sulla sabbia del monte di lancio.

Daniel Volquez, che nella vita faceva il meccanico, si è unito alla lista dei famigliari dei Royals scomparsi durante il 2015. Il 9 agosto scorso un cancro aveva interrotto l’esistenza di Connie Moustakas, la madre del terza base Mike, mentre il 26 settembre un mieloma si era portato via Charles Young, padre del lanciatore Chris.

«Questa squadra è un’unica grande famiglia, e quando qualcuno perde un famigliare questa cosa ha priorità sul resto», ha spiegato Moustakas alla fine di gara 1, «Il baseball resta sempre il baseball, ma situazioni come queste sono più importanti del baseball».

Descrivere i propri compagni di squadra come una famiglia è un tema di cui troppo spesso si abusa nel mondo dello sport, tanto da renderlo stucchevole e perfino banale. Nel caso dei Royals, forse anche perché l’hanno ripetuto centinaia di volte, sembra un po’ più verosimile. Ned Yost, a dispetto di quanti lo considerano un burbero, ha saputo concedere la giusta libertà ai propri giocatori, permettendo loro di dare sfogo alle proprie inclinazioni sia in campo che fuori, ma plasmando allo stesso tempo un’identità precisa che si riflette sulle prestazioni in campo, sia in termini di propensione al sacrificio che nell’attitudine a non mollare mai la presa, nemmeno quando la situazione sembra compromessa.

«Noi non ci arrendiamo mai», ha sintetizzato il catcher Salvador Pérez, premiato come MVP delle World Series, «Non abbassiamo mai la testa e non pensiamo mai: "Ok, questa partita è andata". Ce la giochiamo fino all’ultimo out».

Diversamente non sarebbe spiegabile la resilienza di una squadra che nella serie finale è stata capace di riprendere per i capelli gara 1 e gara 5, pareggiando i conti alla nona ripresa per poi andare a vincere agli extra inning, ma anche di recuperare in gara 4 quando era sotto all’ottavo inning.

Il punto del pareggio di Hosmer in gara 5.

Le rimonte dei Royals al nono inning ormai non si contano più, anche se un passo avanti alle altre resta quella nel Wild Card game del 2014 contro Oakland, quando la squadra fu capace di pareggiare uno svantaggio di 4 punti. Un fenomeno reso possibile anche grazie a un bullpen straordinario che non sembra fatto di uomini, ma di robot, che rispondono ai nomi di Kelvin Herrera, Ryan Madson e Luke Hochevar. Su tutti loro brilla la stella di Wade Davis, "the silent killer", quest’anno schierato closer, capace nella postseason 2015 di giocare quasi 11 inning, concedendo 6 valide, 3 basi ball, mettendo a segno 18 strike out, senza subire nemmeno un punto.

Performance di livello assoluto, paragonabili, se non addirittura migliori, di quelle di un certo Mariano Rivera, che hanno messo alle corde l’omologo dei Mets Jeurys Familia, perfetto per tutti i playoff, ma capace, durante le World Series, di fallire tre salvezze in altrettante circostanze, che fossero finite diversamente avrebbero cambiato faccia alla serie finale.

«Sappiamo di avere un vantaggio se siamo indietro o pari negli ultimi inning», ha spiegato Eric Hosmer prima di gara 5, «Perché sappiamo quanto è forte il nostro bullpen».

#EskyMagic

Quando Alcides Escobar gira la mazza al primo lancio, e soprattutto gioca lead-off, i Royals vincono le partite. Perché? Non c’è un perché, è #EskyMagic.

Il conto di Matt Harvey, il lanciatore dei Mets, in quel momento della partita era: 0 ball, 0 strike, 0 out. Al primo lancio Escobar colpisce profondo, i difensori di New York combinano un mezzo pasticcio e lui corre a casa base, realizzando un peculiare “inside-the-park home run”, ottenendo cioè lo stesso risultato di un fuoricampo senza che la pallina sia effettivamente uscita dal diamante. Questa giocata, che riassume le strabilianti doti atletiche dei Royals, ma anche gli errori in difesa dei Mets (che costelleranno, purtroppo per loro, tutta la serie) spiega anche la filosofia e l’approccio al baseball di Kansas City.

Il venezuelano Alcides Escobar secondo i numeri non è un grande battitore e il suo ruolo non sarebbe quello del lead-off, il primo uomo nell’ordine di battuta, il cui compito è quello di raggiungere la base per permettere ai battitori potenti, che di solito lo seguono, di portarlo a casa. Dopo 125 gare in stagione regolare giocate maluccio, in quel ruolo Ned Yost aveva deciso di sostituirlo nell’ordine di battuta con Alex Gordon o Ben Zobrist, battitori con prestazioni nettamente migliori delle sue. Inspiegabilmente, durante questo periodo i Royals sono andati piuttosto male, tanto da indurre Yost a rimettere Escobar lead-off. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ancora più inspiegabile è la questione del giro di mazza al primo lancio, che di solito scatena il ruggito del pubblico del Kauffman Stadium, che pregusta già la vittoria come un dato ineluttabile. I lanciatori avversari lo sanno che girerà la mazza eppure non possono fare niente. Escobar non soltanto riesce a pizzicarla, ma anche a produrre qualcosa di buono, anche di molto buono, come dimostra quanto accaduto in gara 1. Nemmeno gli esperti di Fangraphs.com sono riusciti a interpretare questo fenomeno.

Chiaramente sull’argomento non conviene chiedere lumi a Ned Yost, un allenatore che secondo la vulgata appartiene alla vecchia scuola e non tiene molto in conto, a differenza delle correnti di pensiero che vanno per la maggiore nel baseball, numeri, statistiche e sabermetrica. «È una specie di mistero», ha detto Yost riferendosi all’#EskyMagic, «Sto aspettando che qualcuno di quelli che ci sanno fare con i numeri mi dica perché funziona così bene. Perché logicamente questa cosa non dovrebbe funzionare».

A dirla tutta Yost, che a 60 anni non aveva mai disputato una gara di playoff e che era reduce da una modesta carriera sia da giocatore che da allenatore, non attirava le simpatie nemmeno dei suoi tifosi, che più volte avevano avuto da ridire sul suo operato, influenzati forse da una certa stampa che bollava come poco scaltre o perlomeno antiquate la gestione dei lanciatori in partita o anche le mosse sul mercato. Tutto ciò, #EskyMagic compreso, ha contribuito a creare attorno ai Royals una visione leggermente distorta delle cose, secondo cui le vittorie della squadra erano figlie del caso piuttosto che di una logica di causa-effetto di derivazione scientifica.

Non è un caso che a inizio stagione gli esperti, corroborati dai dati dei cervelloni computerizzati, stimino i Royals intorno al 50% di vittorie e poi Kansas City sia in grado di smentire puntualmente queste previsioni. Dietro ai risultati di questa squadra però ci deve essere per forza qualcos’altro che non può essere spiegato soltanto con la categoria della fortuna. Qualcosa infatti c’è, come poco più di un anno fa Rany Jazayerli ha provato a spiegare su Grantland. Fasi del gioco come la difesa (Kansas City ne possiede una tra le migliori di tutta la storia del baseball) sono finite sotto la lente di ingrandimento dei sabermetrici solo da poco tempo, perché per la loro stessa natura si prestano con molta più difficoltà a essere condensate in un algoritmo. Evidentemente questo consente ai Royals di ottenere un vantaggio competitivo sugli avversari che semplicemente gli occhi dei più non sono capaci di distinguere.

Inoltre, la capacità di produrre tanti contatti consente alla squadra di Kansas City di contenere i danni che le fastball, a cui con sempre maggiore insistenza le squadre fanno ricorso, sono capaci di arrecare. La serie contro i Mets, che nella rotazione schierava fireballers come Harvey, deGrom e Syndergaard, ne è un esempio lampante. Questo stesso concetto è stato riassunto e analizzato perfettamente da Ben Lindbergh sempre su Grantland. Ciò si traduce in una grandissima disciplina al piatto (fatta eccezione per Escobar), che ha come conseguenza la bassissima percentuale di strike out che i giocatori subiscono, non a caso la più bassa di tutta la MLB dal 2013.

I Royals sono un fenomeno ancora non del tutto esplorato, in cui la magia e il soprannaturale sono forse solo un atteggiamento, un vezzo all’insegna dell’understatement, come se Kansas City volesse rimanere nella penombra. Ciò non toglie che Yost e i suoi sono stati capaci di creare uno dei sistemi di baseball più temibili di sempre, sfruttando le poche armi che avevano a disposizione. Alla potenza di fuoco di battitori e lanciatori hanno opposto un progetto di guerrilla baseball fatto di difesa, di corse e di battute di contatto. Un progetto vincente ormai da due stagioni.

Finito in gloria un campionato è già ora di pensare al prossimo. L’off-season che si prospetta non sarà delle più semplici per i Royals. Cueto e Zobrist sono diventati free agent, ma anche Alex Gordon sembra sul punto di andare. Ci sarà da ricostruire, da faticare chini sull’erba e sulla terra del diamante. Ma per la gente del Midwest questo sicuramente non è un problema.

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