Non è così frequente, per noi cresciuti a pane e gol di Sergio Ramos al novantesimo, vedere il Real Madrid perdere una semifinale di Champions League dopo essere rimasto in vita per 85 minuti. In quanti, dopo aver visto prima Mount, poi Havertz e infine Kanté mancare il colpo di grazia avrebbero scommesso sulla solita crudele rimonta della squadra di Zidane? Credo quasi tutti si aspettassero di vedere la scena di Game of Thrones in cui “la Montagna” fa esplodere la testa del principe Oberyn con le dita dopo essere stato lasciato esanime a terra, a un passo dalla morte. Perché, come ha scritto Sid Lowe sul Guardian: «È questo quello che fanno: rimangono in piedi». E invece quello a cui abbiamo assistito è stato un lento soffocamento.
Il Real Madrid ha tenuto quasi il 70% del possesso palla per tutta la partita, cercando di scombinare l’avversario ballando come sempre sull’equilibrio impossibile tra fluidità e caos, ma ad ogni passaggio sbagliato, ad ogni giro palla da destra a sinistra, e poi da sinistra a destra senza trovare nessun movimento in profondità alle spalle della linea difensiva avversaria, si trovava con un pochino di fiato ed energie mentali in meno per inseguire le transizioni fulminee del Chelsea, che appena recuperata palla poteva andare dritto per dritto verso Courtois. La squadra di Tuchel ha tolto l’aria agli avversari modulando il pressing, partito altissimo e finito bassissimo, come una marea che si ritrae, lasciando i pesci più distratti a boccheggiare sul bagnasciuga. E così il Real Madrid si è ritrovato all’inizio senza spazi, poi senza idee, e infine senza energie per tentare l’ennesimo clamoroso cliffhanger che l’avrebbe portato in finale senza troppo merito. La squadra di Zidane ha chiuso la partita con una sola vera occasione da gol (il tiro di Benzema dal limite dell’area al 26esimo) e appena 0.6 Expected Goals prodotti: per trovare una prestazione offensiva così scadente in Champions League bisogna tornare al tre novembre del 2015 in una partita ai gironi contro il PSG che, indovinate un po’? Il Real Madrid alla fine vinse per 1-0 con gol di Nacho.
A quasi sei anni da quel momento, il Real Madrid è una squadra più vecchia, più stanca e soprattutto all’inizio di un processo di rinnovamento che chissà dove lo porterà. Alla base della brutta partita della squadra di Zidane infatti è impossibile non citare la prestazione grigia di Hazard, che schierato da seconda punta in un inedito 3-5-2 ha finito per togliere spazio a Benzema senza aggiungere peso all’attacco. Oppure l’assenza di Marcelo, che con la sua sensibilità tecnica e la sua visione di gioco in una partita da 70% di possesso palla nei suoi momenti migliori avrebbe sicuramente potuto creare qualcosa dal nulla. O infine le condizioni precarie di Sergio Ramos, apparso lento e imbolsito di fronte agli inserimenti di Havertz e Werner, che più che correre sembravano planare sull’erba con un hoverboard.
E quindi: il Re è morto! Viva il Re! Perché per un sovrano che abdica, ce n’è uno che ne prende il posto sul trono. E se il passaggio di consegne oggi ci appare inevitabile, non è solo perché il Real Madrid sembra vecchio e superato, ma anche e soprattutto perché c’è stato un Chelsea che lo ha fatto apparire tale. Come ha fatto? Si potrebbero citare tante chiavi: dall’intensità fisica all’aggressività di Rüdiger e Christensen nel proteggere gli spazi ai fianchi dei due mediani, alla capacità della squadra di Tuchel di schiacciare il possesso avversario contro le linee del fallo laterale alla prestazione strabiliante di Kai Havertz. Si potrebbero dire molte cose, insomma. Ma in fondo già lo sapete che la risposta a questa domanda si compone di sole due parole: N’Golo Kanté.
Senza di lui, la strategia di Tuchel sarebbe stata molto più rischiosa di quanto alla fine non è sembrata. Il Chelsea infatti non ha mai cercato di contendere il pallone il Real Madrid - una squadra che come sappiamo con il pallone può farti molto male - nemmeno quando nel primo tempo ha alzato molto il pressing. L’obiettivo infatti non era quello di recuperare il possesso per mantenerlo, ma quello di aspettare che il Real Madrid si disordinasse sul campo nel tentativo di far avanzare il pallone (come d’altra parte fa sempre, puntando sulla fluidità) per poi andare in verticale nel momento in cui era più disorganizzato sul campo. Il primo passo, però, rimaneva sempre quello di lasciare il pallone all’avversario, e per fare questo, Tuchel doveva essere sicuro di non rimanere schiacciato dalla supremazia tecnica del Real Madrid.
Nel primo tempo quindi, forse temendo l’iniziale freschezza atletica degli avversari, Tuchel ha cercato di spingere il Real Madrid a giocare il più possibile vicino alla propria porta con un pressing molto alto. Spingendolo sugli esterni e poi comprimendo il campo verso la linea del fallo laterale con un’intensità fuori scala persino per questo livello di calcio.
Hazard riceve nel mezzo spazio di sinistra, ma viene immediatamente circondato da Havertz, Kanté e Christensen, che aveva iniziato a seguirlo già dalla difesa, mentre Azpilicueta tiene d'occhio Mendy. Il Real Madrid, costretto a giocare sulla linea del fallo laterale, perderà palla.
Ma l’aspetto più curioso è che lo ha fatto con un modulo asimmetrico: una specie di 3-4-3 con un lato molto forte a sinistra, dove Mason Mount faceva la spola tra la trequarti e il centrocampo in un ruolo ibrido tra la mezzala e l’ala. Se a sinistra quindi creare superiorità numerica era semplice per via del contributo difensivo del centrocampista inglese, a destra invece il Chelsea avrebbe potuto teoricamente avere dei problemi, perché non sempre Havertz (o più raramente Werner) ripiegava in tempo se la palla finiva da quel lato, e la catena di destra si sarebbe potuta trovare in inferiorità numerica tra la costruzione di Nacho, la spinta esterna di Mendy, i movimenti incontro di Benzema o Hazard, e il galleggiamento di Kroos. Quello di Tuchel era però, come abbiamo imparato a dire di questi tempi, un rischio calcolato, perché a destra non c’era un normale centrocampista ma N’Golo Kanté. Che, come disse una volta Eden Hazard, è come giocare con due gemelli. In questo senso, quello del Chelsea era di fatto un 3-5-3, che per quanto il Real Madrid girasse il pallone velocemente da una parte all’altra del campo si ritrovava sempre, in qualche modo, in superiorità numerica.
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Questo è un esempio preso pochi minuti dal gol del vantaggio. Il Real Madrid riesce a uscire dalla pressione avversaria proprio a sinistra con un triangolo tra Mendy e Casemiro, su cui Kanté era salito per cercare di spingere il possesso della squadra di Zidane verso la linea del fallo laterale. Il terzino francese teoricamente avrebbe un corridoio alle spalle del centrocampo del Chelsea per puntare la difesa ma dopo poco che inizia a correre si ritrova alle spalle di nuovo Kanté, che dalla trequarti è tornato fino in mediana per sbilanciarlo e recuperare il pallone.
Ovviamente anche il Real Madrid ci ha messo del suo. Le poche volte in cui è riuscita a trovare una ricezione nello spazio accanto a Kanté, infatti, la squadra di Zidane lo ha fatto portando in quella zona sia Hazard che Benzema, togliendo quindi alla difesa del Chelsea l’incombenza di difendere contemporaneamente lo spazio tra le linee e quello in profondità. In questo modo, la squadra di Tuchel non ha mai avuto vere difficoltà nel difendere l’avversario, limitandosi a concedere tiri dalla distanza con scarsa probabilità di realizzazione.
Alla luce delle difficoltà del Real Madrid, è interessante notare come le due squadre siano arrivate a fare due partite opposte partendo da schieramenti e principi sulla carta molto simili. Guardate ad esempio questa azione del Real, arrivata pochi secondi dopo aver subito gol.
La palla arriva a sinistra da Nacho che, sfruttando uno scivolone proprio di Kanté, riesce a servire tra le linee Benzema, che viene immediatamente aggredito alle spalle da Christensen. In una situazione simile, persino un attaccante tecnico come il numero 9 francese è costretto a girarsi verso l’esterno e scaricare verso Mendy, che a sua volta tornerà indietro facendo spegnere l’inerzia dell’azione. Ecco, adesso confrontate questa azione a quella che porta all’1-0 del Chelsea.
Le condizioni di partenza sono praticamente identiche: Christensen parte da destra, a ridosso del centrocampo, e sfrutta uno scivolone di Kroos per raggiungere il compagno tra le linee, che sta per essere preso in consegna dal centrale esterno di difesa a tre (in questo caso Nacho). E quindi qual è la differenza? La risposta è sempre quella: N’Golo Kanté.
Del centrocampista francese si parla solo in relazione della sua velocità e della sua capacità di coprire porzioni enormi di campo, ma ciò che lo rende un giocatore speciale è in realtà come riesce ad abbinare queste qualità (indubitabili ed evidentissime) con un’intelligenza nelle scelte e una sensibilità tecnica che credo in pochi siano disposti a riconoscergli. In questo caso, ad esempio, con una leggera finta di corpo verso l’esterno manda fuori tempo Nacho, va sull’interno con un controllo orientato e infine anticipa il ritorno di Casemiro con l’esterno. E non è finita qui: perché allo stesso tempo chiede e ottiene un triangolo con Werner, porta palla fino al limite dell’area per attirare Militao e infine, al momento giusto, scarica per Havertz, che grazie a lui è ormai solo dentro l’area. Il resto, come si dice, è storia. Se i gol si assegnassero non al giocatore che mette fisicamente la palla in porta, ma a quello che ha creato le condizioni affinché questo avvenisse, beh, allora questo gol sarebbe di N’Golo Kanté.
Il talento del centrocampista francese è quello che, come detto, ha permesso al Chelsea di sembrare sempre in superiorità numerica. Anche nel secondo tempo, quando Tuchel ha deciso di abbassare drasticamente il baricentro, concedendo metri e metri di campo al Real Madrid, che non vedeva l’ora di avvicinarsi all’area per prepararsi al grande colpo di scena finale. Ma anche difendendosi più basso, il Chelsea ha continuato a togliere aria ed energie ai suoi avversari, che ovunque andassero, inspiegabilmente, si ritrovavano tra i piedi Kanté. Nella stessa azione potevi ritrovartelo prima a pressare alto Kroos, e pochi secondi dopo a sbarrare la strada a Vinicius.
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Oppure, con la palla, potevi vederlo ricevere ai fianchi di Kroos dalla difesa, e poi subito dopo ricevere palla sulla trequarti alle spalle del centrocampo avversario.
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La sua onnipresenza, a ben vedere, ha a che fare solo in parte con la sua capacità aerobica, o con la sua velocità, e si deve anche alla comprensione del gioco. Nel sapere un attimo prima degli altri dove andrà la palla e nel correre in quella zona con l’ottimismo inscalfibile di chi è convinto che quell’ennesimo sforzo non andrà a vuoto. In questo senso, più che i grandi mediani degli anni ’90, Kanté mi ricorda quel celebre video di Dennis Rodman, che in The Last Dance sembra sapere esattamente dove cadrà la palla a seconda del rimbalzo sul tabellone. Ovviamente nessuno può prevedere il futuro, né Dennis Rodman né tanto meno Kanté, che deve il suo talento più che altro all’ottimismo. Lo so che sembra una frase motivazionale da Bacio Perugina, ma se vi andate a rivedere il secondo gol con cui il Chelsea ha conquistato definitivamente la finale forse potreste rivalutarla. Perché su un campanile casuale alzato a casaccio da Azpilicueta, dopo 85 minuti di una partita giocata ad un’intensità folle, l’unico tra i 20 giocatori in campo che sta correndo attivamente per andare nella zona dove cadrà la palla contesa tra Ramos e Pulisic, che nel frame qui sotto non è nemmeno ancora entrata nell'inquadratura, è proprio N’Golo Kanté.
Poteva sapere Kanté che Ramos avrebbe smorzato il pallone di testa proprio in quel punto? Che Nacho non avrebbe avuto la forza necessaria per andare sulla seconda palla? Che Kroos non avrebbe cercato di accorciare nella stessa zona? Ovviamente no. Eppure Kanté, con la solita leggerezza, ci è andato per l’ennesima volta, riconquistando il pallone e permettendo a Pulisic di costruire l’assist per Mount.
In questo modo, dopo aver compiuto una delle imprese sportive più incredibili di sempre con il Leicester e aver vinto un Mondiale con la Francia, il centrocampista francese ha raggiunto la prima finale di Champions League della sua carriera, che fino ai 23 anni sembrava impantanata nella Serie B francese. Allora nessuno, tanto meno lui che è umile fino alla negazione della realtà, avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo negli anni successivi. Eppure sono sicuro che, anche sui campi squinternati di Bastia e Brest, Kanté giocava esattamente così.