Da dove cominciare? Da dove partire per raccontare un momento di Karim Benzema? Il momento è quello arrivato dopo un’ora della finale di Nations League tra Francia e Spagna, con la Francia sotto di un gol. Ma potrebbe essere numerosi altri momenti nella carriera di Karim Benzema. Da dove dovrei iniziare a parlare di Benzema, che a trentatré anni, quasi trentaquattro, è tornato da pochi mesi in Nazionale dopo un’esclusione che sembrava perpetua, così lunga che a un certo non era neanche più chiaro perché era stato escluso inizialmente; e che da quando è tornato ha già segnato 6 gol, di cui 4 in un Europeo finito agli ottavi di finale. Benzema che ha cominciato in maniera straordinaria la stagione 2021/22, segnando 10 gol (e realizzando 5 assist) in 10 partite giocate tra club e nazionale. Dietro un momento come questo c’è tutta la sua storia, certo, ma al tempo stesso è vero anche che una parte del talento di Benzema è rimasto uguale e immutabile, resistente agli anni, anche se adattabile a seconda del contesto, in continua evoluzione.
Forse ogni volta che tocca palla dovremmo ricordarci di quel giorno di più di dodici anni fa in cui tornando di corsa a casa, su richiesta del padre, a Lione, si è ritrovato Florentino Perez in salotto. Andare indietro con la memoria a quel coatto problematico, campione d’Europa Under 17 (insieme al resto della sfortunata generazione ‘87 francese), che ha esordito in Ligue 1 a sedici anni e che dopo un paio di stagioni segnava già più trenta gol. Dovremmo comprimere (perdendo per forza di qualità, però, come per le tracce musicali digitali) quegli anni in cui segnare molti gol non è potuta essere la sua priorità, perché in squadra ne aveva uno che di gol ne segnava cinquanta, sessanta; anni in cui ha imparato l’arte del comprimario, del miglior attore non protagonista, salvo poi ritrovarsi di nuovo, a trent’anni, a fare da uomo-reparto, uomo-squadra. Ma dovremmo anche cercare di non dimenticare di quando è stato fatto fuori dalla Nazionale, mancando l’Europeo giocato in casa nel 2016 e il Mondiale vinto nel 2018, delle polemiche con Deschamps che secondo Benzema (ispirato da Cantona) ascoltava «la parte razzista del Paese», Deschamps che aveva detto che non avrebbe «mai dimenticato» quelle parole, ma che poi lo ha perdonato in cinque minuti.
Questa specie di doppio passo, che è più un passo di danza, è come quando un coatto finge di darti uno schiaffo per farti chiudere gli occhi.
Benzema era ancora fuori per la ragione iniziale, cioè la partecipazione al ricatto subito da Valbuena per un filmino amatoriale pornografico, portato avanti da un amico di Benzema? Adesso le parti in causa non vogliono parlarne. Deschamps ha detto di aver cambiato idea dopo una chiacchierata di cui ha giurato di non divulgare «neanche una parola», come se il pubblico non avesse diritto di sapere, come se quel buco, quell’assenza lunga quasi sei anni, non facesse parte della storia calcistica francese ormai, come se non riguardasse tutti. Ecco, dovremmo tenere conto di tutto questo, e del fatto che fin da quando era un giovane rasatino della periferia di Lione, Benzema portava con sé più classe di quella che la sua apparenza comunicava, un’eleganza che stava mano nella mano con la brutalità di tutti i centravanti, anche se lui - dieci anni dopo lo sappiamo - non è mai stato solo un centravanti.
Prendiamo un altro momento, precedente a quello con cui ha messo la firma nella sua prima finale giocata con la maglia della Francia. Il 28 giugno scorso, nella partita più pazza di tutto l’Europeo, Benzema aveva segnato due gol (dopo averne segnati altri due in quella con il Portogallo, rispondendo alla doppietta di Ronaldo), e ce lo siamo dimenticato per via delle cose successe dopo, il rigore di Mbappé, il balletto di Pogba dopo il terzo gol della Francia, il gol del 3-3 di Gavrinovic o la partita di Xhaka, ma il primo gol è stato eccezionale, un colpo di genio improvviso. Mbappé gli aveva dato una palla arretrata, in ritardo sulla sua corsa tra i centrali difensivi svizzeri, una palla a mezza altezza che, se fosse stata diretta a qualsiasi altro attaccante, gli sarebbe semplicemente sfilata alle spalle. Benzema invece frena la corsa e allunga all’indietro la gamba sinistra, arpionando e schiacciando a terra (con il tacco interno del piede girato a novanta gradi per avere più superficie con cui colpire il pallone) il passaggio di Mbappé. Autolanciandosi, mettendosi la palla davanti quanto bastava per arrivarci prima del portiere, Sommer, in uscita, che ha scavalcato con un pallonetto su misura. Era solo pochi mesi fa, eppure ci siamo dimenticati di un gesto così fuori dal comune.
Non convenzionale, come tutto ciò che riguarda Benzema. Che, invece, sembra un tipo persino troppo convenzionale, se non addirittura lo stereotipo del coatto francese in tuta, che usa parole inglesi a caso come se la sua vita fosse una canzone trap - o spagnole, come il suo nueve strascicato che ripete come un mantra - che parla accarezzandosi la barba e guardandosi allo specchio, indurendo lo sguardo in realtà piuttosto dolce e salutando con il gesto della pistola nei video sul suo canale YouTube. Sui pregiudizi di chi lo guarda Benzema ha costruito una carriera intera, sulla possibilità di passare inosservato, di poter essere dato per scontato, salvo poi fare qualcosa non da lui.
Dopo la semifinale con il Belgio dello scorso fine settimana - un altro suo grande momento - in un’intervista sul quotidiano sportivo madridista AS, gli è stato chiesto se è tipico dei geni essere riconosciuti come tali dopo anni di scetticismo. Benzema, col solito pragmatismo degli sportivi, ha risposto che quello che conta è che la gente ora apprezzi «il mio calcio». E a quanto pare persino suo padre, fino a qualche tempo fa, non lo apprezzava, pensando segnasse troppo poco. Ma già a vent’anni in realtà, nei primi servizi della tv francese in cui si parlava di lui come di una giovane speranza del Lione, dopo che aveva giocato un paio di stagioni in prima squadra, Benzema diceva che le persone che non pensavano avesse le qualità per farcela adesso le vedevano.
«La verità è che l’ho fatto apposta», quando gli è stato chiesto di questo controllo di schiena/spalla.
Un altro momento utile per capire Benzema e il suo inizio pazzo di stagione è quello del 22 settembre appena passato. Contro il Mallorca ha segnato il suo 200esimo gol in Liga controllando con la schiena un lancio della difesa, in mezzo ai centrali avversari. Sembra un gesto casuale, fortunato, ma guardandolo al replay se ne capisce l’intenzionalità, le spalle di Benzema inclinate come quelle di un giocoliere che sta facendo scivolare la pallina dietro al proprio collo, con una sensibilità tecnica davvero da ginnastica artistica. La palla gli scivola davanti, sulla destra, e lui può concludere incrociando il tiro come ha fatto un migliaio di volte forse in carriera, con la precisione di quei gesti automatici, che non richiedono più attenzione perché quotidiani.
In questi anni Benzema ha accumulato una quantità di esperienza tale che, probabilmente, si orienterebbe in area di rigore anche bendato. Saprebbe come incrociare il tiro anche dopo aver fatto dieci giri su se stesso. Contro il Belgio, in semifinale di Nations League, ha segnato incrociando di sinistro mentre cadeva, coordinandosi per il tiro con le spalle alla porta, senza vedere il portiere o i difensori che aveva dietro, ruotando sul piede perno come un compasso aperto. La Francia perdeva 2-0 e lui ha dato il via alla rimonta, controllando e gestendo con agilità la palla in mezzo all’area, evitando l’intervento di Witsel con un tocco di esterno destro e poi, praticamente sul posto, spostandosela in avanti con il sinistro e calciando poi con lo stesso piede, buttandosi a terra forse per tenere il peso del corpo, e quindi la palla, il più in basso possibile.
Benzema ha sempre avuto la capacità di giocare nelle parti molli delle partite, trasformandole in momenti decisivi, approfittando dei tempi morti in cui le difese se lo dimenticavano, comode nella loro falsa sicurezza. Un giocatore che dà il proprio meglio quando è messo alle strette, spalle al muro, circondato. Che è in grado di accendersi mentre gli altri dormono - perché lui non dorme mai, lavora in campo e poi lavora a casa - e di restare freddo quando intorno a lui la tensione è alle stelle. «La cosa più importante è vedere le giocate rapidamente. Devi avere l'azione successiva in testa prima ancora che quella precedente sia terminata, e poi devi eseguirla alla massima velocità», ha detto sempre dopo la partita con il Belgio. «So quello che devo fare prima ancora di ricevere la palla. Viene dalla mia infanzia, da quando giocavo con ragazzi più grandi di me, più forti, più veloci. Ero obbligato a giocare come faccio ora: a pensare velocemente e ad agire appena ho la palla tra i piedi».
All’esperienza del coatto timido che deve farsi rispettare da coatti più grandi di lui (il Lione lo ha tolto subito da casa sua, unico tra i giovani cresciuti in città a dormire nella struttura del club, ma quando ha compiuto 18 anni è tornato nel suo quartiere, anche se già guadagnava bei soldi) Benzema ha aggiunto quella derivata da dodici anni passati in uno dei club più ricchi al mondo, dalla frequentazione, cioè, di alcuni dei giocatori più straordinari mai esistiti. A proposito di momenti che valgono per tutti gli altri: il 28 giugno 2020 Benzema ha fatto un assist di tacco a Casemiro che sembra una citazione di quello che, dieci anni prima, il 30 gennaio 2010, aveva fatto a lui Guti; solo che Guti lo ha fatto a tu per tu con il portiere, in modo controintuitivo e sorprendente, quasi come vezzo, e Benzema lo ha fatto con un uomo alle spalle, a cui ha fatto passare la palla sotto le gambe, sentendo il movimento di Casemiro alle sue spalle, tracciandolo con il fiuto. Benzema è cresciuto all’interno del suo stesso talento con il tempo e la pazienza, lavorando i suoi gesti, scoprendo a poco e affinando il proprio talento.
Non ha mai avuto l’ansia di essere il migliore, sapendo che giocare con continuità, nel Real Madrid, era già una conferma del suo valore. Sapendo anche che in Francia, Paese convenzionale fondato sulla ripetizione di gesti e strutture vecchi di secoli, non lo avrebbero apprezzato comunque. Oggi a trentatré anni e ha convinto quasi tutti. Se non è lui il migliore in assoluto, è comunque difficile trovare qualcuno chiaramente migliore di lui. Oggi è riconoscibile tanto quanto Ronaldo e Messi. Non solo per quella fasciatura al polso destro che mette in mostra ormai da qualche anno, e che qualcosa su di lui la dice, in ogni caso. Ha affrettato il ritorno in campo dopo un’operazione, dice, e adesso per non operarsi di nuovo deve fasciarsi. Rimandando l’operazione a quando smetterà di giocare, come qualcuno che senta di non avere tempo da perdere, che il suo momento è adesso. Come un ragazzino con entrambi i genitori che lavorano e che passa il pomeriggio a giocare sul cemento, con le ginocchia piene di croste e ogni tanto un braccio rotto. E aspettando il Mondiale del prossimo inverno, Benzema ha vinto il suo primo trofeo con la Francia (per quel che vale la Nations League), segnando in semifinale e in finale, pareggiando contro una Spagna che fino a quel momento aveva fatto meglio.
Una Spagna che era riuscita ad annullarlo, raddoppiandolo, triplicandolo, costringendolo a giocate forzate. Ma Benzema trova sempre l’attimo giusto per fare qualcosa di inaspettato, qualcosa che non ci si aspetta da lui, anche se in realtà lo ha già fatto. Di gol a giro sul secondo palo Benzema ne ha segnati parecchi, di destro e di sinistro, e il il 31 gennaio 2015, contro la Real Sociedad ne ha segnato uno simile a quello con la Spagna. Calciando di prima, quasi dallo spigolo dell’area di rigore, con una parabola morbida, da disegnare col curvilineo. In quel caso la palla è passata lontana dalla mano del portiere, mentre il portiere spagnolo Unai Simon riesce appena a toccarla, aggiungendo qualcosa a mio avviso a un gol splendido, forse un po’ di umanità, permettendoci di misurare la perfezione del tiro di Benzema con l’inutilità del suo tentativo di evitarlo.
La carriera di Benzema è ricca di gol e gesti tecnici apparentemente non da lui, che però solo lui avrebbe potuto fare, sfruttando la sua apparenza da numero nove classico per cogliere di sorpresa tutti, spettatori compresi. La sua sensibilità tecnica e la rapidità del suo gioco di gambe, le coreografie che disegna, si direbbe, in punta di piedi in mezzo all’area di rigore piena di ostacoli, sono espressione di un talento unico e raro, che ha avuto la fortuna e la capacità di svilupparsi in un contesto altamente competitivo, resistendo molti anni a un livello dove altri cedono dopo poco. Un numero dieci che si è finto numero nove, oppure un numero nove che ha imparato a giocare da numero dieci, fate voi. Ci sono numeri nove migliori di lui, più prolifici, più intensi, più autosufficienti; e ci sono anche numeri dieci migliori di lui, con più visione, più dribbling, più corsa palla al piede. Ma nessuno è al tempo stesso un numero nove e un numero dieci al livello di Karim Benzema.