Questo non sarà un pezzo pieno di aggettivi superlativi dedicati ai miglioramenti che hanno portato un ottimo prospetto difensivo incapace di tirare da oltre 5 metri a essere un candidato credibile per il titolo di MVP da difensore dell’anno in carica. No.
Questo è un pezzo dettato dalla preoccupazione per quanto fatto dalla CIA, responsabile di un progetto che mina il futuro stesso della NBA. Il loro assenso a portare avanti con l’idea del loro ex agente e ora capo allenatore degli Spurs, Gregg Popovich, di sostituire il cervello di un giovane rookie di belle speranze con quello di una intelligenza artificiale si è rivelato un gravissimo errore per tutti noi. Il cyborg che ha sostituito Kawhi Leonard si è evoluto pian piano, scalando le posizioni all’interno della Lega—e potremmo essere seriamente vicini alla famosa singolarità tecnologica descritta da Vernor Vinge nel 1993: «Entro trenta anni, avremo i mezzi tecnologici per creare una intelligenza sovrumana. Poco dopo, l'era degli esseri umani finirà».
La prova che il giovane Kawhi sia stato svuotato per fare spazio a una macchina purtroppo non potremo mai averla, ma gli errori della CIA nel corso di questi anni ci hanno comunque lasciato alcuni indizi. Come la famosa risposta secca di Kawhi all’inizio della scorsa stagione: «Hai fatto qualcosa di divertente quest’estate?» «No, non proprio». Solo una macchina non può avere il tatto di venire incontro all’intervistatore per lasciargli almeno uno spiraglio su cui lavorare.
Nel tentativo di cavalcare l’onda della notorietà arrivata con il trofeo di MVP delle Finali 2014, la Nike ha pensato di riservare a Kawhi Leonard il trattamento simile ad altre star della propria scuderia, disegnando un logo ad hoc da stampare sulle sue Jordan. Un logo che gioca abilmente con l’unica caratteristica “brandizzabile” di Leonard: le enormi mani che hanno portato i compagni a soprannominare il giocatore “the Claw” (o se preferite “l’Artiglio”), come l’enorme mano meccanica presente in tutte le sale giochi e che in Toy Story veniva venerato dai giocattoli a forma di alieni.
Il logo, ben riuscito, mostra le iniziali KL e il numero 2 che formano una mano. Eppure inizialmente il soprannome non convinceva Kawhi: se fosse stato realmente umano, difficilmente si sarebbe lasciato convincere a lasciar perdere la questione con una scrollata di spalle, ma essendo una macchina è bastato un rapido passaggio al quartier generale della CIA a Langley Falls per far mettere a posto l’algoritmo—e subito l’idea di ribellarsi al soprannome è sparita. Chiaramente è bastato caricare la patch "Ricordati che sei il nuovo Tim Duncan" per arginare la crisi.
Che poi è la stessa patch che lo fa festeggiare appena (o à la Duncan) una tripla per il +4 a 15 secondi dalla fine nel derby texano.
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Ma l’errore più grande commesso dalla CIA è arrivato proprio quest’estate, quando in una sessione estiva di routine per l’aggiornamento del software il programmatore ha esagerato con i parametri di aggiustamento del tiro—e Kawhi ha improvvisamente iniziato a mettere nel canestro praticamente la metà dei tiri da 3 tentati. Leonard, lo stesso che è sceso fino alla numero 15 del Draft 2011 perché sembrava impossibile costruirgli un tiro rispettabile con quelle mani così sproporzionate, è diventato un tiratore più efficiente di Kyle Korver. Mi spiace, ma quelli della CIA qui si sono traditi da soli. Perché nessuno uomo può passare dal 35% su 192 triple tentate della stagione scorsa a 49% su 127 tentativi di quella in corso, non arrivata neanche a metà strada.
E non mi venite a parlare di duro lavoro in palestra, perché Kawhi al college tirava da 3 sotto il 30%. E non può essere neanche tutto merito di Chip Engelland, che gli ha fatto cambiare meccanica di tiro spostando il punto di rilascio da sopra la testa a poco sopra il viso. Non è plausibile che basti questo a spiegare un miglioramento così incredibile.
Per aggiustare il tiro e tornare ai livelli di due anni fa alla CIA hanno esagerato con il bilanciamento, tirandone fuori una percentuale non spiegabile.
Accettando la mia teoria, non solo si può capire meglio il giocatore Kawhi, ma anche il modo con cui analizza la difesa e riesce a mantenere l’efficienza assoluta nelle scelte di tiro—tanto perfetta da far arrabbiare anche Popovich, che lo ha invitato a tirare di più e ha chiaramente detto che preferirebbe essere lui a decidere quando le scelte di tiro di Leonard sono sbagliate, e non il contrario. Ma come detto, ormai l’intelligenza della macchina è tale da andare oltre il proprio allenatore, e forse il futuro della NBA rischia di essere in pericolo: certo, adesso Kawhi è sotto controllo, ma continuando con la velocità di apprendimento attuale cosa potrà impedirgli nel futuro di trovare l’esecuzione perfetta di ogni gesto, così da far sembrare il “50-40-90 club” (50% al tiro, 40% da tre e 90% ai liberi) un lontano ricordo?
Non sono poi neanche sicuro si possa parlare di un margine di crescita con Kawhi. Non essendo umano può crescere fin quanto lo spazio nel proprio disco rigido possa permettere, e se anche la Legge di Moore—quella secondo la quale la potenza di calcolo raddoppia ogni 18 mesi—è considerata vetusta, rimane comunque una curva di miglioramento superiore a quella dei normali esseri umani.
Se ai primi tempi si poteva immaginare un trend che andasse a migliorare passo dopo passo la capacità di lettura difensiva, poi quella di fare canestro, poi il ball handling e infine magari la distribuzione offensiva, ormai la capacità di apprendimento è talmente più veloce rispetto alla norma da trovarci davanti a un giocatore che aggiunge ogni anno non solo miglioramenti al proprio gioco, ma ruba in toto le giocate agli avversari o ai compagni facendole sue. Leonard impara i movimenti utili adattandoli al proprio fisico e mettendoli nel database, così da poterli tirare fuori all’occorrenza. Ormai è arrivato a un livello per cui se lo fronteggi con un avversario più alto, lui arriva in corsa ed è in grado di eseguire un floater degno di Tony Parker. Se invece gliene opponi uno più basso…
Chiedete a Monta Ellis degli Indiana Pacers.
Anche quando non attacca in situazioni dinamiche, è capace di mettersi spalle a canestro grazie a un fisico potente quanto pochi per il ruolo, e ormai possiede movimenti per fare fronte a ogni situazione possibile. Per intenderci, segna più di un punto per possesso spalle a canestro, terzo in tutta la NBA tra quelli che hanno giocato almeno 70 possessi in post, dietro solo a Kevin Love e Paul Millsap.
Non parliamo di un giocatore istintivo alla Paul George—uno che quando fronteggia può superare l'avversario in qualunque modo, ma che tende ad accontentarsi della soluzione più comoda come il tiro dalla media distanza. L’intelligenza artificiale di Kawhi lo rende un giocatore creativo (pur nei limiti del controllo di quanto è in grado di fare, per ora), in grado di uscire da situazioni all’apparenza impossibili con soluzioni che in diretta sembrano assurde o non proprie del giocatore, ma che poi analizzate al replay risultano magari l’unico modo efficiente per risolverla.
In questo è realmente interessante il dibattito se sia più semplice difendere un giocatore dal talento purissimo, ma istintivo o un giocatore dal talento “costruito” che legge le situazioni, ma che si può limitare mandandolo a eseguire le poche cose che ancora non fa in maniera perfetta. Il nuovo Paul George vs Kawhi Leonard sa veramente di Kevin Garnett vs Tim Duncan sotto questo aspetto.
Guardate le mani degli avversari (soprattutto l’aiuto di Garnett) e vedrete che la soluzione da lui trovata era l’unica sensata per non farsi stoppare. Lui l’ha pensata in una frazione di secondo perché non ha un cervello umano, noi ci arriviamo al terzo replay.
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Non è chiaro se la pazienza con cui Kawhi affronta l’avversario serva per analizzarne le caratteristiche o se sia semplicemente una risposta al sistema voluto da Popovich per integrare LaMarcus Aldridge—con la squadra che ci mette un attimo a prendere le misura in fase offensiva, ma che consapevolmente aspetta almeno due giochi prima di andare su quello con cui vuole veramente attaccare.
Le perfette spaziature permettono al pallone di circolare indisturbato e non deve ingannare che il numero di possessi della squadra sia tra i 5 più bassi (95.6), perché la palla circola ancora alla velocità della luce e solo la pazienza nello scegliere il gioco adeguato per fare più male alla difesa porta la squadra ad attaccare il canestro con tanta calma.
I concetti di pace and space di Popovich si sono quindi evoluti, facendo ora correre solo la palla, dando una sensazione di calma nell’attaccare la difesa. Una calma che appunto vede Kawhi attore consapevole e che, pur potendo virtualmente correre sempre verso il canestro non appena ricevuta palla dalla difesa, preferisce assecondare l’allenatore e andare tranquillo al proprio posto in attesa del momento di essere chiamato in causa—cosa che quest’anno arriva più che mai.
L’usage stima la percentuale di giochi che si concludono con un tiro, fallo subìto o palla persa da parte di un giocatore: ormai un gioco su quattro degli Spurs coinvolge Leonard quando è in campo. Una cifra comunque inferiore alle altre grandi ali come Durant, James, George o Melo—ma per i canoni degli Spurs si tratta di un’investitura importantissima.
Kawhi è solito partire lontano dalla palla, aspettandola per tirare piedi per terra (soluzione che copre ancora un quarto delle azioni del giocatore), oppure andare spalle a canestro a esplorare il mismatch dopo aver fatto ruotare la difesa con la rete di passaggi di cui Duncan e Aldridge—in versione contemporanea delle "Twin Towers" di inizio era Popovich—sono fondamentali.
Giocare in questo modo significa forzare il minimo indispensabile i pick and roll—e infatti gli Spurs sono tra le squadre che li cercano con meno frequenza, pur facendo parte della top 3 per efficienza nell’eseguirli. Kawhi con il pallone in mano prova il pick and roll con il lungo praticamente solo se si trova a destra, dove può andare verso la linea di fondo con la mano preferita.
Il controllo del palleggio è decisamente migliorato, ma ancora non si fida ad andare a cercare pick and roll dal centro (dove non ha ancora una “go move” adeguata a cui affidarsi nel caso di cambio difensivo) o peggio da sinistra, dove praticamente se non può attaccare da subito il canestro prima ancora del blocco del compagno tira sempre. Anche se si tratta del mid range dove ovviamente la difesa vuole mandarlo, visto che le medie si abbassano anche sotto il 40% in alcune zone, nonostante le diverse opzioni a disposizione per attaccare il canestro.
Più scura è la cella, maggiore è la percentuale rispetto alla Lega. Si può vedere bene come solo nel mid range a sinistra colorato di celeste la percentuale è sotto media (per la precisione 27.3% rispetto al 40% della Lega). Per il resto è l’efficienza fatta giocatore, la macchina perfetta nell’era che più premia l’efficienza in un campo da basket.
Leonard oggi non costeggia più le partite (come a volte faceva in passato), ma allo stesso tempo non ha paura di cedere il pallone a un compagno meglio piazzato. La totale assenza di egoismo o manie di protagonismo lo portano a incaponirsi raramente e quindi a rendere l’attacco fluido: se ha la certezza di poter fare canestro, esegue il gesto non appena riceve il pallone; se invece non ne è certo, valuta prima l’opzione e poi esegue; se ancora pensa di non riuscirci del tutto, cede la palla prima ancora di provare un palleggio, aspettando un momento più propizio.
Il fatto che comunque le zone dove la media si abbassa vengono usate il meno possibile da Leonard depone enormemente a suo favore e dimostra che il team di ingegneri della CIA ha lavorato alla grande: Kawhi sceglie la conclusione giusta a seconda del tipo di avversario e dalla distanza che li separa.
Il modo in cui gestisce il pallone lo porta a un incredibile 6.4% di palle perse, meno della metà di Durant e James. Non può essere umano un cervello che porta un giocatore a essere la prima opzione della squadra e al contempo perdere circa un pallone a partita. Perché in questo momento questa è la cifra di palle perse da Leonard: 1.2 in 32 minuti di gioco. Vero che la strategia degli Spurs aiuta il giocatore a sapere sempre dove si trova un compagno, ma qui si esagera.
Che poi, paradossalmente, lo stile analitico del suo gioco suggerisce che il modo migliore per affrontarlo è quello di “sfidarne il processore”: se di macchina si tratta, allora la difesa deve aggredirlo non appena riceve il pallone lontano da canestro, per evitare che lui possa leggere l’1-vs-1 e portare l’avversario spalle a canestro. Più è lontano e meno passaggi facili ha a disposizione, più tempo ci mette il suo processore a elaborare l’opzione di gioco adeguata.
Non essendo un giocatore istintivo, raramente andrà con la corrente sfidando l’uomo sulla ricezione, e quindi lascia spazio anche a un possibile raddoppio che lo costringa a passare il pallone. La tecnica di passaggio è costruita come ogni altro aspetto del gioco offensivo, e quindi può andare incontro a situazioni in cui viene messo in difficoltà. Parliamo comunque di un giocatore in grado di lasciar andare ogni tanto vere chicche per i compagni (da passaggi dietro la schiena mentre è in volo a palloni filtranti battuti a terra), ma non ha ancora installato la patch “Passaggi_1.1”—e quindi costringerlo a pensare con poco tempo a disposizione lo mette in crisi più di quanto possa sembrare.
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Dove non servono patch è ovviamente nella propria metà campo. Lì è dove Leonard si sente più a suo agio, perché non ha più bisogno di ragionare: ormai ha scannerizzato ogni attacco avversario incontrato e “vede” le linee di passaggio prima ancora dei rivali. Gli Spurs quando decidono di fare sul serio amano difendere con uno dei due lunghi all’altezza del “gomito” dell’area per togliere il pick and roll agli avversari, che si trovano sempre davanti una cooptazione lontano da canestro.
Un esterno va in pressione sulla palla (quando è in campo Mills lo fa in modo magistrale, Parker diciamo che ci prova) mentre gli altri due si posizionano accanto al secondo lungo. Di questi due Leonard è il protagonista indiscusso: avendo appunto la patch per anticipare le linee di passaggio e intervenire per rubare palla—i 2 recuperi a partita lo mettono tra i migliori, ma in un sistema più aggressivo andrebbe sicuro sopra le 3, potendo andare a rubare diretto sull’uomo—, potendo quindi gestire al contempo sia l’uomo diretto che tutta la zona di campo dove si trova.
Leonard raramente si trova a marcare il pariruolo per l’intera partita—anzi, cambia spesso avversario a seconda della situazione di gioco e, grazie al suo fisico, può marcare ogni tipologia di giocatore che non sia un centro: per fare un esempio, contro i Clippers ha iniziato marcando Redick, poi è passato a Paul quando la palla scottava e durante la gara ha fatto anche qualche passaggio su Griffin.
Forte com’è fisicamente e con le braccia infinite (“the Claw” non a caso) è un tormento quando va in pressione sulla palla—perché se gli avversari provano a dissuaderlo con una serie di blocchi, lui non ha problemi a passare sopra tutti. Pur non tenendo il primo passo di ogni avversario, ha sia le tempistiche che i mezzi per recuperare all’ultimo e andare a dare comunque fastidio al momento del tiro, se non direttamente a intervenire dopo l’aiuto del lungo.
Non sono riuscito a trovare un punto debole della difesa di Kawhi quest’anno: gli Spurs stanno giocando a un livello di efficienza difensiva incredibile per essere la regular season (92.9 punti concessi su 100 possessi) e certamente tra i migliori mai visti negli ultimi anni (solo gli Spurs 2003-04 hanno fatto di meglio dal 1997 a oggi in una stagione da 82 partite). E a impressionare ancora di più è la naturalezza con cui non si adeguano all’avversario, ma impongono loro stessi il ritmo e le zone dove far tirare, grazie alla coppia di lunghi e a due ottimi difensori perimetrali sempre in campo (due tra Kawhi, Green, Mills e Ginobili).
Forse l’esperienza più gratificante per chi guarda una loro partita è quando, spesso sul finire del primo quarto, c’è il mix tra primo e secondo quintetto formato da Mills, Ginobili, Leonard, Diaw e Aldridge. Questo quintetto riesce a mantenere l’efficienza difensiva (89.3 punti concessi su 100 possessi) grazie al contagioso approccio di Kawhi, con i due esterni che vanno in pressione sul portatore e i due lunghi che, conoscendo i rispettivi limiti atletici, si aiutano a vicenda nei tempi di uscita. Leonard diventa l’uomo ovunque che si barcamena tra gli avversari prendendo in consegna il più forte, ma rimanendo sempre a un metro da lui per poter andare in aiuto su qualunque compagno in difficoltà.
Il tutto con la squadra che dal punto di vista offensivo è un piacere per gli occhi (121.5 punti su 100 possessi), perché conserva la strategia di Popovich aggiungendo però la pazzia di Mills e Ginobili e la creatività di Diaw alle due stelle super efficienti Kawhi e Aldridge. La palla viaggia che è un piacere, con cambi di gioco continui e penetra e scarica da posizioni sempre diverse. La combinazione ha durata breve—71 minuti in stagione, comunque il terzo quintetto più utilizzato finora e quello col Net Rating migliore, +34.8—perché prevede un dispendio anche di energie nervose enorme, ma quando carbura vale da solo la visione della partita.
Pensandoci bene, il fatto che Kawhi sia stato in grado di imparare talmente in fretta da aver assimilato da Duncan anche la capacità di giocare in un contesto in cui in campo ci sono più artisti che ingegneri, senza portare minimamente fuori strada la corrente della squadra, mi tranquillizza rispetto alle paure sulla singolarità tecnologica. L’esperimento di Popovich avallato dalla CIA ha messo in piedi una cosa enorme di cui forse stiamo ancora vedendo solo la punta dell’iceberg, ma l’intelligenza artificiale dentro Leonard sta imparando nel contesto giusto—e se deve nascere da qui il futuro del basket, non mi lamento. Un giocatore con quel fisico che usa tanto la testa non può che essere un bene per questo gioco. Intanto la patch “Diventa_MVP_come_Duncan” è ancora in lavorazione—e per le altre squadre la cosa deve fare ben più paura della singolarità.